Questo stralcio del "
documento" congiunto di direzione cittadina e direzione provinciale dei DS di Milano, firmato dal fior fiore (si fa per dire) del centrosinistra locale, è un condensato di autocritica feroce e senza compromessi. In un qualunque Paese civile avrebbe avuto una conseguenza logica: dimissioni immediate della classe dirigente e di chiunque avesse partecipato alla sequela di fallimenti descritti. Ma qui siamo in Italia e la conseguenza che questa accozzaglia di [
metti l'aggettivo che vuoi] ha saputo produrre è la seguente:
«Siamo convinti che la discussione non debba più vertere sul "se" procedere o meno sulla strada della riaggregazione di un soggetto politico riformista, oggetto dello scorso percorso congressuale dei Ds, ma l’attenzione debba concentrarsi sul "come" e sul "quando"».
Chiaro no? Prima lasciano la città alla destra per 15 anni, poi si accorgono che tra sei mesi ci sono le elezioni e si inventano un candidato impresentabile, quindi lo segano perché gli elettoeri insorgono, ne trovano uno più presentabile ma lo boicottano, perdono malamente elezioni già vinte e consegnano per altri 10 anni la città alla destra. Un quarto di secolo da perdenti. Ma la loro unica preoccupazione è il "partito democratico". Ah, già, dimenticavo, c'è anche un'altra ragione:
«sono riemerse le difficoltà, le resistenze, i limiti di una cultura politica non compiutamente riformista». Non abbiamo perso perché i politici locali sono delle mezze calzette, ma perché la cultura politica non è abbastanza "riformista".
Domanda alle persone di buon senso che compaiono tra i firmatari: ma non vi vergognate?