Semplicemente Onesto
di Corrado Stajano
Il 27 settembre il sindaco Walter Veltroni conferirà al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la cittadinanza onoraria di Roma capitale. In occasione della visita ufficiale alla città, Ciampi terrà a battesimo una nuova strada, il Largo Giorgio Ambrosoli, all’interno di villa Paganini, sulla Nomentana. Un evento di grande rilevanza simbolica del quale saranno testimoni la moglie e i figli dell’avvocato di Milano assassinato l’11 luglio 1979 da un killer della mafia, su mandato di Michele Sindona e della politica sporca.
Perché, ventisei anni dopo, la morte di un uomo che si fece uccidere in nome dell’onestà, che disse di no alle compromissioni, agli ambigui patteggiamenti, alle lusinghe, alle minacce, ha conservato tutto il suo significato morale, civile, politico? Perché anche in Italia esiste un passato che non passa e che non aiuta a progredire se la rottura con le vecchie pratiche della corruzione e dell’oscuro agire non sarà al centro di un programma di governo capace di ridare forza e fiducia a una parte consistente della comunità nazionale che spesso non ne vuole più sapere e si chiude in casa minata dalla delusione.
Quelle intercettazioni tra banchieri, spicciafaccende e prestanome, pubblicate quest’estate - le Opa della Banca di Lodi, dell’Unipol, la scalata della Rcs e del Corriere della Sera - hanno risuscitato purtroppo i fantasmi di quel che accadde alla fine degli anni Settanta. Senza cadaveri, per fortuna, ma purtroppo simile, nei toni, nel linguaggio, nell’intrigo, nell’arroganza dei protagonisti, sicuri delle loro alte protezioni, ai fatti d’allora. Solo che nel 1979 la Banca d’Italia tenne duro, fu indipendente e lo sa bene Ciampi che ne era il direttore generale. Il governatore Paolo Baffi e il capo della Vigilanza Mario Sarcinelli pagarono a duro prezzo il loro limpido agire in nome della Repubblica. E fu tragicamente diverso, rispetto al meschino presente, il comportamento dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore delle banche mandate in rovina da Sindona. È sufficiente rileggere la lettera che l’avvocato, nominato a quella carica dal ministro del Tesoro nel 1974, scrisse neppure un anno dopo alla moglie. Un testamento: «Sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo (...) che il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che in ogni caso pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese. Ricordi (...) le speranze mai realizzate di far politica per il Paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell’interesse del Paese, creandomi ovviamente solo nemici. (...) Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo; dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali abbiamo creduto. (...) Abbiamo coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa».
Sono anni insanguinati dalla violenza e dal terrorismo. Nel 1979 viene assassinato a Milano Emilio Alessandrini, valoroso magistrato che scoprì oscure trame indagando sulla strage di piazza Fontana. È l’anno dell’uccisione di Mino Pecorelli, del finto sequestro di Sindona che proprio nel periodo in cui viene assassinato l’avvocato Ambrosoli scorrazza indisturbato per Palermo e per la Sicilia. È l’anno dell’assassinio del capo della Squadra Mobile palermitana Boris Giuliano e del giudice Cesare Terranova.
E il 1980 è l’anno della cattura di Patrizio Peci, misterioso brigatista che svela i segreti delle BR, è anche l’anno del caso di Marco Donat Cattin, il comandante Alberto di Prima linea, figlio del vicesegretario della Dc, e del processo, in Parlamento, in cui il presidente del Consiglio Cossiga, accusato di favoreggiamento - i conversari col padre del terrorista assassino - viene scagionato.
È anche l’anno in cui la Loggia massonica P2, che si è movimentata dopo le elezioni del 20 giugno 1976, terrorizzata per il grande successo del Pci, affiliando ministri, i capi dei servizi segreti, generali, banchieri, direttori di giornali, parlamentari, fa la sua comparsa ufficiale.
L’8 ottobre 1980 esce sul Corriere della Sera un’intervista di Maurizio Costanzo, affiliato alla Loggia, al Gran maestro Licio Gelli. Qualche giorno prima il direttore del Corriere Franco Di Bella, altro piduista, dice al caposervizio di lasciare libera per la prossima domenica la spalla della terza pagina. Una prenotazione al buio. Non spiega di più. Passa un giorno e il vicedirettore dice al caposervizio, Cesare Madail, che quella spalla di terza è destinata a un’intervista a Licio Gelli, il capo della P2. Il testo viene consegnato al caposervizio il venerdì, con il titolo, il sommario e l’occhiello già fatti. «Parla, per la prima volta, il signor P2», è il titolo. «Il fascino discreto del potere nascosto», è l’occhiello. Il sommario è più articolato: «Licio Gelli, capo indiscusso della più segreta e potente loggia massonica, ha accettato di sottoporsi a un’intervista esponendo anche il suo punto di vista». E poi una specie di programma che si ritroverà nel «Piano di rinascita democratica» trovato (fatto trovare) nella borsa della figlia di Gelli a Fiumicino e che anni dopo sarà in parte realizzato dal governo Berlusconi.
Cesare Medail, dunque, ha l’ordine tassativo di non tagliare neppure una riga. Per le illustrazioni gli viene detto di farsi consigliare da Maurizio Costanzo, l’intervistatore, allora direttore dell’Occhio, un catastrofico quotidiano popolare della Rizzoli che durerà poco, Costanzo consiglia Cagliostro e Garibaldi, i precursori. Cagliostro è in un ritratto ovale. Succede che il testo cresca di venti righe rispetto all’impaginato. Il direttore e il vicedirettore, quel sabato pomeriggio non ci sono. Il caposervizio chiede lumi al redattore capo. La decisione è di tagliare Cagliostro, non Gelli, sacrale. Il petto di Cagliostro. Da ovale il ritratto diventa una specie di mezzaluna.
Tutto dimenticato? Guai a chi parla della P2. Un Club di gentiluomini, lo definisce l’attuale presidente del Consiglio. Peccato che gli allora giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone siano arrivati alle liste di Gelli indagando sulla mafia, sul finto rapimento di Sindona in Sicilia e sull’assassinio Ambrosoli.
Fastidioso anche l’uso della parola morale. Lo spiegò bene Enrico Berlinguer, con l’ostinazione e con la fatica che gli costarono la vita, come la questione morale sia l’essenza della questione politica.
È un buon segno, quindi, un piccolo segno importante, dopo quest’estate in cui si è risentito l’odore di marcio di più di vent’anni fa, che Carlo Azeglio Ciampi faccia da padrino a Roma alla via dedicata a un uomo semplicemente onesto.
“Perché, ventisei anni dopo, la morte di un uomo che si fece uccidere in nome dell’onestà, che disse di no alle compromissioni, agli ambigui patteggiamenti, alle lusinghe, alle minacce, ha conservato tutto il suo significato morale, civile, politico?”
Corrado Stajano in un articolo odierno pubblicato da L’Unità, dà una riposta squisitamente politica a questo interrogativo, affermando “Perché anche in Italia esiste un passato che non passa e che non aiuta a progredire se la rottura con le vecchie pratiche della corruzione e dell’oscuro agire non sarà al centro di un programma di governo capace di ridare forza e fiducia a una parte consistente della comunità nazionale che spesso non ne vuole più sapere e si chiude in casa minata dalla delusione.”
Ma in questo caso la politica è anche interconnessa con la morale e con l’etica delle istituzioni, che hanno dimenticato la ‘questione morale’ posta da Enrico Berlinguer, frettolosamente messa in un cassetto dopo la usa morte prematura.
Io desidero invece dare un contributo come semplice cittadino e nel contempo servitore umile delle istituzioni, che ha vissuto quegli anni e che vide sfilare sotto i propri occhi quasi sotto silenzio quel barbaro assassinio.
Non va dimenticato che l’anno 1979 era quasi il culmine della parabola del terrorismo sanguinario ed assassino, che sarebbe caduto sotto i colpi delle confessioni di Patrizio Peci e di tutti gli altri che seguirono il suo esempio, che era anche l’anno del massimo ‘fulgore’ della forza assassina del terrorismo.
Chi scrive era all’epoca direttore del carcere di S. Gimignano (Si), veniva inviato in missione in molti carceri della Toscana, per ultimo gli istituti penitenziari di Firenze, dai quali veniva allontanato (contro la propria volontà) perché minacciato direttamente dalla BR (non c'erano ancora le autovetture blindate, si viaggiava in macchine non protette ed a rischio della propria e della altrui vita).
Quindi la morte di questo avvocato civilista passava quasi sotto silenzio, si confondeva con tante altre morti di matrice diversa, che Staiano ha richiamato nel proprio articolo odierno.
La portata fortemente simbolica di quel comportamento, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, è emersa solo dopo, quando la vicenda è stata ricostruita proprio da Corrado Stajano in un suo libro che deve, a mio giudizio, stare in ogni biblioteca, pubblica e privata ed essere fatto leggere e studiare nelle scuole.
Ne emerge la figura di un uomo onesto, ma forte, coraggioso, incrollabile, presago di quanto gli poteva accadere e poi si è veramente verificato, che non ha adbicato alla propria coscienza nemmeno di fronte al pericolo di essere ucciso, che non ha mai avuto un cedimento, non ha mai perso la lucidità e non è mai arretrato dalla frontiera della propria coscienza.
Un esempio che è stato riscontrato in tanti servitori dello Stato, nella lotta contro i terrorismi e le organizzazioni criminali, mafiose o di sola criminalità comune.
Valgano per tutti le figure dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Certo, se la politica avesse dato una risposta alle esigenze di moralizzazione delle istituzioni e della vita del paese, Giorgio Ambrosoli sarebbe stato sicuramente ricordato ancora e sempre, ma senza quel senso di pena che dà la constatazione che nulla è significativamente cambiato dal 1979 ad oggi.
Giorgio Ambrosoli, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono figure eroiche, delle quali ogni italiano si deve sentire fiero dell’appartenenza al proprio paese, che sono entrate nella coscienza comune e vi devono restare.
Quest’ultimo è un compito che non può non essere assegnato alla scuola, altrimenti la polvere del tempo finirà con il depositarsi anche su queste memorie.
Voglio chiudere questo mio intervento ricordando che Patrizio Peci, detenuto nel carcere di Alessandria del quale ero il direttore, non era affatto una figura misteriosa, ma, per quanto mi è stato dato di capire, solo un terrorista che aveva messo nel conto la cattura e programmato il da farsi in tal caso.
Quanto a Marco Donat Cattin, anch’egli detenuto nel carcere alessandrino, era solo figlio di un uomo politico importante (all’epoca ministro del Lavoro) che abbracciò la ‘lotta armata’ solo per noia ed in modo, mi par di ricordare, non molto significativo.
che bello il film sull'eroe borghese.
Carolina
Quel film fu fatto anche con i soldi di Mediaset. Ricordo una dichiarazione di Placido a tale proposito. Non lo dico per polemica: mi pare solo un fatto singolare.
A parte questa notazione, forse certe tragedie nazionali (che per la mia generazione stanno nel limbo di quelle vicende che non sono nè storia nè cronaca) vengono in qualche modo sterilizzate dopo un po' di tempo.
Ha fatto bene, anche per questo, Veltroni ad usare ancora una volta la toponomastica come strumento politico (nel senso alto del termine).
OT: bentornato Luigi, complimenti per il tuo bel commento.
Grazie, Pino. Era comunque presente.
Ambrosoli era una persona seria, non ne sono rimaste molte nel panorama nazionale.
xc9500: leggi il 3d più sotto "la nostra memoria storica"
ormai qua siamo troppo avanti ,
non fa in tempo a parlare e già è castigato .
carcere di Alessandria del quale ero il direttore
notoria fucina di democrazia e liberta'.
del resto i nomi dei due detenuti "eccellenti" dicono tutto.
chissa' perche' questo intervento ha solo l'aspetto di una bandierina messa li' per dire "io c'ero".
Berja, io non raccolgo nè raccoglierò mai più le tue provocazioni.
Ti dico solo che vorrei ci fossi stato tu al posto mio, io mi sarei sentito certo molto meglio di quanto puoi immaginare e tu molto peggio di quanto mai ti potrebbe accadere, salvo ad assaggiare un po' di patrie galere, il che ti farebbe passare la voglia di fare il provocatore.
Da adesso per me tu non esisti.
Alberto, vigila.
salvo ad assaggiare un po' di patrie galere, il che ti farebbe passare la voglia di fare il provocatore
bella frase, veramente, almeno cala la maschera di falsa benignita' scoprendo il turpe carceriere che c'e' dietro.