Lo strano caso di San Patrignano
di Luigi Cancrini
Ho avuto l'ardire di chiedere al ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, se è vero che alcune delle comunità inserite nell'apposito albo istituito a norma di legge presso il suo ministero, fra cui quelle di San Patrignano e quelle «Incontro» di Don Gelmini, non hanno messo in atto delle convenzioni con il servizio sanitario nazionale. Non pensavo mai di suscitare un vespaio così irritato di proteste fra i parlamentari di An e di Forza Italia che mi hanno più volte interrotto gridando, né a livello delle Comunità da me citate che mi hanno inutilmente offeso con i loro comunicati.
Il problema che io ho segnalato è un problema molto reale. Nasce con la legge Craxi-Iervolino del 1980 perché in quella legge si decise di considerare separatamente, in un apposito albo istituito presso il ministero di Grazia e Giustizia, le comunità terapeutiche presso cui il ministero poteva inviare i detenuti che avevano ricevuto il beneficio di una misura alternativa alla pena. A questa disposizione ne corrispondeva una a livello di bilancio perché è il ministero di Grazia e Giustizia, non il servizio sanitario nazionale, quello che paga le rette in questi casi. Per entrare in questo albo era necessario ovviamente il riconoscimento regionale che qualificava la struttura come ente ausiliario operante nel suo territorio. Quello che non era obbligatorio tuttavia era il rapporto di convenzione con il servizio sanitario nazionale.
Quello che è accaduto negli anni successivi può essere utile, forse, per comprendere l'irritazione destata dalla mia richiesta. Il servizio sanitario nazionale, infatti, ha progressivamente alzato gli standard di personale necessari per poter essere qualificati come strutture terapeutiche o riabilitative.
Ad oggi la gran parte delle comunità terapeutiche attive in Italia in convenzione con servizio sanitario nazionale dispongono di personale qualificato, dotato dei titoli necessari, cui vengono corrisposti stipendi nel rispetto delle leggi vigenti. Se ciò non accade, e le Regioni vigilano su questo punto, la convenzione col servizio sanitario nazionale decade. Tutto ciò è ovviamente giustissimo dal punto di vista degli utenti ma ha comportato e comporta notevoli problemi per le associazioni che devono affrontare dei pagamenti in tempi certi mentre assai incerti sono sempre i tempi di pagamento delle rette da parte delle Asl. Con problemi sempre più gravi di gestione delle strutture e con rischi importanti di chiusura per molte di esse.
Curiosamente esenti da tutto questo insieme di controlli e di normative, le strutture iscritte all'albo del ministero di Grazia e Giustizia che non intendono convenzionarsi con il servizio sanitario nazionale, si trovano evidentemente in una situazione molto più semplice. In alcune di esse la dotazione di personale è molto inferiore, qualitativamente e quantitativamente, a quella richiesta dal servizio sanitario nazionale. Per tutte, il pagamento viene fatto direttamente dal ministero che ha una disponibilità sufficiente per assicurare a tutte le comunità un numero congruo di utenti e una sostanziale puntualità dei pagamenti. Configurando una situazione che non ha nulla di illegale ma che va, a mio avviso, rapidamente modificata. Perché sicuramente è vero, come affermato ancora ieri da San Patrignano nella sua nota inutilmente polemica, che la struttura in parola non riceve soldi né dagli utenti, né dal servizio sanitario nazionale.
Il problema è, tuttavia, che le rette sono pagate comunque dallo Stato, dal ministero di Grazia e Giustizia. Se ciò non accadesse, d'altra parte, perché mai dovrebbero gli utenti di queste strutture non poter usufruire di quello che il servizio sanitario nazionale a loro in quanto tossicodipendenti dovrebbe riconoscere? E come farebbero, ancora, strutture non finanziate da nessuno ad erogare servizi che, ove ben organizzati con personale all'altezza, hanno comunque dei costi?
La verità è che quella verso cui dobbiamo andare è una unificazione completa degli elenchi. A mio avviso, quello che il ministro potrebbe decidere tranquillamente con un suo Decreto è che i detenuti tossicodipendenti possono entrare, per la misura alternativa alla pena, in una qualunque delle comunità accreditate e/o in rapporto di convenzione con il servizio sanitario nazionale. D'intesa, sempre, con i servizi territoriali cui il tossicodipendente dovrà comunque fare riferimento negli anni successivi. Con uno spostamento progressivo del fondo a disposizione del ministero presso il Fondo sanitario nazionale mentre si compie il passaggio a quest'ultimo di tutta la sanità carceraria, gestita direttamente o in convenzione, decisa con una legge dello Stato già nel 1999.
Per ciò che riguarda le comunità di Muccioli, di Don Gelmini e di altri che si trovano nelle loro condizioni nessuno pensa che debbano essere escluse da nulla. Debbono solo, a mio avviso, adeguare i loro standards a quelli richiesti dal servizio sanitario nazionale mettendosi sulla stessa linea di quelli che lo hanno già fatto. Una attività terapeutica o riabilitativa non può più basarsi, nel 2006, sul carisma messianico di un capo, religioso o laico che sia. Quelli di cui abbiamo bisogno sono professionisti seri, disponibili ad entrare in rete con i loro colleghi del servizio pubblico. Senza sconti e senza privilegi cercati attraverso la vicinanza o la propaganda politica perché le comunità davvero terapeutiche non possono essere né di destra né di sinistra. Debbono porsi, più semplicemente, al servizio degli utenti e delle loro famiglie.
In questo caso d'accordo con cancrini (di solito un po' timidino sulle questioni della droga)