«Ridurre Beirut in macerie non ci renderà più sicuri»
Lo scrittore israeliano Meir Shalev: giusto difenderci e colpire Hezbollah ma non bombardando case e civili
di Umberto De Giovannageli
«IL NOSTRO DIRITTO a difenderci è fuori discussione. Su questo non sentirà alcuna voce critica in Israele. Mettere in discussione questo diritto è semplicemente folle. Ma il punto è un altro e voglio essere molto chiaro, al limite della brutalità dialettica: i morti non sono tutti uguali. Uccidere i miliziani di Hezbollah è nella logica della guerra, costoro vogliono annientarci, la nostra risposta non può che essere la più ferma, determinata, conseguente. Ma il fatto è che in questi dieci giorni di guerra a morire in Libano sono nella quasi totalità dei civili. I nostri caccia non hanno bombardato, come era giusto che fosse, solo le postazioni di Hezbollah. I nostri aerei hanno colpito e la nostra artiglieria ha cannoneggiato le infrastrutture civili, distruggendo ponti, strade, con un bilancio di vittime civili altissimo, inaccettabile. Sotto attacco, Israele si stringe attorno ai suoi governanti, ma a costoro chiede non solo fermezza ma lungimiranza. Fare di Beirut un ammasso di macerie non garantirà la nostra sicurezza». A parlare è Meir Shalev, tra i più impegnati scrittori israeliani contemporanei. «In momenti drammatici come questo -rileva Shalev- il mondo della cultura non deve “disertare”. È necessario far sentire la nostra voce contraria alla distruzione di obiettivi civili in Libano».
La guerra in Libano sembra inarrestabile. Olmert ha ribadito che non si tratta con un’organizzazione terroristica come è Hezbollah.
«Alla fine anche Olmert sa che con Hezbollah Israele sarà comunque costretto a fare i conti anche in futuro. Annientare Hezbollah significa occupare stabilmente il Libano, e questo avrebbe un costo in vite umane assolutamente inaccettabile. Altra cosa è porsi l’obiettivo di intaccare pesantemente le capacità militari di Hezbollah, cosa che mi vede del tutto favorevole. Nulla da eccepire agli attacchi contro le strutture militari dei miliziani sciiti, fa parte di un incontestabile esercizio del diritto di difesa. Ma è il resto che trovo inaccettabile...».
Il resto?
«Mi riferisco ai raid contro le infrastrutture civili del Libano, alla distruzione di ponti, vie, centrali elettriche. Non credo che il rivendicare e praticare il nostro diritto di difesa porti a giustificare l’altissimo numero di civili libanesi uccisi né può farci chiudere gli occhi di fronte alla tragedia dei 700mila sfollati. Il diritto di difesa non può trasformarsi in un desiderio di vendetta. D’altro canto, non penso che la messa in ginocchio del Libano possa essere ritenuto un inevitabile “danno collaterale” di una guerra giusta».
Ma i vertici di Tzahal ribattono che i miliziani usano i civili come scudi umani.
«Ciò può essere vero, ma questo può portarci a decidere di essere noi a distruggere quegli “scudi”? Stiamo parlando di esseri umani, donne, bambini, che sono ostaggio di miliziani armati. Israele deve porsi il problema di come liberare anche questi ostaggi, assieme ai due nostri soldati rapiti. L’uso della forza militare ha senso se apre la strada ad una soluzione politica, altrimenti rischia di rivelarsi, per tutti, una tragica, sanguinosa illusione».
Resta il fatto che la stragrande maggioranza si riconosce nella linea di fermezza praticata dal governo Olmert.
«Dietro questa condivisione non c’è solo la percezione di una minaccia mortale ma c’è anche una sensazione di forza che rischia di inebriare Israele e di trasformarsi in qualcosa di molto pericoloso, distruttivo: un’insaziabile sete di vendetta. Per questo, nella mia testa vi sono domande che chiedono ancora una risposta: cosa intendiamo per vittoria? Cosa intendiamo per “neutralizzazione” di Hezbollah? La nostra reazione intende limitarsi agli esecutori o anche investire i loro mandanti (Iran e Siria)?».
C’è chi accusa gli intellettuali israeliani di essere silenti di fronte all’uccisione di decine di civili libanesi.
«Non è facile farsi ascoltare quando a dominare è il linguaggio della forza. Le parole rischiano di perdersi nel fragore delle armi. Resto convinto che la cultura è il miglior antidoto contro il virus della demonizzazione dell’altro da sé, e che il ruolo degli intellettuali sia quello di costruire ponti di dialogo e non di contribuire a rafforzare i muri dell’odio. Gli uomini di cultura israeliani dovrebbero ricordare al Paese che il Libano non è il regno del Male e che quello che abbiamo di fronte non è un popolo che si identifica in Hezbollah. Ciò di cui avverto il bisogno è una iniziativa di cui gli uomini di cultura potrebbero, dovrebbero farsi promotori perchè sia posto fine almeno agli attacchi contro obiettivi civili. Lo dobbiamo a noi stessi, al senso di giustizia che Israele non deve mai smarrire, proprio perchè sappiamo bene cosa significhi essere un popolo perseguitato, che ha conosciuto sofferenze indicibili. Ma porre fine agli attacchi contro obiettivi civili è anche un investimento sul futuro. Distruggere Beirut non garantirà la nostra sicurezza».
La destra oltranzista torna a invocare il pugno di ferro anche contro la Siria.
«Costoro hanno sempre usato il senso di insicurezza per coprire le proprie velleità espansioniste. Non sono dei falchi, sono dei pericolosi irresponsabili».
È d’accordo su una forza d’interposizione internazionale ai confini fra Israele e il Libano?
«Ben venga se serve a creare le condizioni sul campo perchè la politica possa riprendere la parola. La disponibilità manifestata in proposito da Peretz (il ministro della Difesa, ndr) mi sembra che vada in questa direzione. Quella giusta».
Ragazzi vorrei segnalare una battuta presa dal sito di Daniele Luttazzi, secondo me geniale come sempre.
Libano
Il mio cagnolino ha le zecche. Ieri una zecca mi ha punto, così io ho bombardato il mio cagnolino. Ho il diritto di difendermi.
http://www.danieleluttazzi.it/?q=node/254
A margine: ho letto ora con calma anche la riflessione iniziale su Israele - Libano.
Notevole davvero.
Alberto, se ti va dacci un'occhiatina:
http://www.danieleluttazzi.it/?q=node/255
Non posso essere d'accordo con la frase: "i morti non sono tutti uguali".
E' proprio perchè alcuni morti sono più morti degli altri che non c'è la pace.
ecco, questo è uno scrittore (fa LIBRI, come Amos Oz, come David Grossmann, come Abraham Yehosua e altri), impegnato politicamente e che dissente apertamente con la leadership del suo Paese anche in materia bellica e durante la guerra.
mi auguro proprio che non si accuseranno lo stesso gli Israeliani di nazismo!!!
Carolina
Questo signore che parla di esercitare legittimamente il diritto alla difesa dove vive? A Topolinia?Lo trovo un pochino distante dalla realtà delle cose, che si svolge in un medioriente dove israele con la scusa del terrorismo fa terrorismo indisturbato. E noi stiamo qui a dire che fa bene. Figata. Ah, a proposito, i palestinesi e i libanesi sono esseri umani. Distruggere delle vite, se non vogliamo chiamarlo nazismo perchè manca solo la svastica, dobbiamo chiamarlo eccidio,omicidio,pulizia etnica e strage. Questi sono i nomi. E chissenefrega del termine nazismo in se.