«Con le bombe su Beirut altro odio contro Israele»
di Umberto De Giovannangeli
SHULAMIT ALONI, più volte ministra nei governi a guida laburista, leader pacifista israeliana, è tra le voci contro la «guerra giusta». Al premier israeliano Olmert dice: «Attenti, distruggendo il Libano trasformiamo la disperazione di un popolo in un odio che rafforzerà i gruppi che vogliono la nostra fine»
Voci da Israele. Voci contro la «guerra giusta». Voci di chi non crede che esista una soluzione militare definitiva per eliminare la minaccia di Hezbollah. Voci da Israele. Voci di chi rivendica il diritto di andare contro corrente rispetto alla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica che continua a sostenere la linea della fermezza portata avanti dal governo del primo ministro Ehud Olmert. Tra queste voci c'è quella della leader storica del Meretz, la sinistra laica israeliana, fondatrice dei «Peace Now» il movimento pacifista israeliano che «non a caso nacque sull'onda del rigetto morale prim'ancora che politico della disastrosa invasione del Libano nel 1982, e della condanna senza appello di una delle pagine più terribili della storia di Israele: il coinvolgimento, sia pure indiretto, nel massacro di Sabra e Chatila». A parlare è Shulamit Aloni, più volte ministra nei governi a guida laburista, coscienza critica della sinistra israeliana, più volte minacciata di morte dall'estrema destra israeliana per le sue posizioni in favore della pace. «Attento Israele - avverte Aloni - distruggendo il Libano trasformiamo la disperazione di un popolo in un odio che rafforzerà i gruppi che vogliono la nostra fine».
La guerra in Libano non accenna a placarsi. Il premier israeliano Ehud Olmert afferma che Israele ha il diritto di difendersi con la massima fermezza da un nemico che lo ha attaccato senza ragione. Le cose stanno proprio così?
«No, non stanno proprio così. Sia chiaro: di Hassan Nasrallah (il leader di Hezbollah, ndr.) penso il peggio possibile, lo ritengo un personaggio cinico, senza scrupoli, che per bramosia di potere non ha esitato a sacrificare il Libano e a mettere in ginocchio il popolo libanese. Il problema, però, è un altro e lo sintetizzerei in questa domanda: Israele ha davvero fatto il possibile per togliere a Hezbollah tutte le giustificazioni per far passare agli occhi dei libanesi le sue azioni armate come atti di resistenza all'occupazione israeliana?…».
Questa è la domanda. Olmert risponderebbe che Israele si è ritirato unilateralmente dal Libano meridionale nell'estate del 2000.
«Si tratta di una verità parziale. Perché l'altra parte della verità, quella più difficile da ammettere, è che Israele ha inutilmente provocato Nasrallah mantenendo il controllo delle stupide fattorie di Shaba che per noi non hanno alcun significato, e di certo non contribuiscono alla nostra sicurezza nazionale» (Il riferimento è al lembo di terra alle pendici del Monte Hermon che Israele ha occupato nel 1967 e che nel 2000, quando ha completato il ritiro dal Libano sotto la supervisione delle Nazioni Unite, non ha abbandonato considerandole parte del Golan occupato, ndr.).
Ma Lei ritiene che Nasrallah si sarebbe accontentato della restituzione di quel lembo di terra per porre fine agli attacchi contro Israele?
«Non posso darle una risposta certa, non sono nella testa di Nasrallah, ma di una cosa sono sicura: se Israele avesse accettato le richieste libanesi relative alle fattorie di Shaba gli Hezbollah avrebbero visto venir meno una straordinaria arma propagandistica contro l'"occupante israeliano"».
Come ci sente a essere controcorrente rispetto agli orientamenti della stragrande maggioranza dei propri connazionali?
«Non è la prima volta che mi accade, e non sarà la prima volta che un orientamento che appariva granitico viene progressivamente intaccato dalla prese d'atto che non è con la sola potenza del suo esercito che Israele potrà garantire la propria sicurezza. Penso agli oltre 700mila libanesi costretti a fuggire dai loro villaggi bombardati e abbandonare le loro case ridotte a un cumulo di macerie. Penso a loro e chiedo al mio Paese, a Israele: quale immagine quei 700mila avranno di Israele? Quella del "liberatore" dalla morsa di Hezbollah o, come è più realistico, quella del distruttore contro cui indirizzare oggi la propria rabbia, una rabbia che un domani non lontano finirà per ingrossare le fila dei gruppi dell'Islam radicale armato? Quelle abitazioni distrutte, quei villaggi devastati, quei civili in fuga disperata sono uno "spot" straordinario per i fautori della Guerra Santa contro Israele e l'Occidente che lo sostiene».
Lei si è dichiarata a favore della liberazione di detenuti libanesi in carcere in Israele in cambio dei due soldati rapiti. Non le pare un cedimento a Hezbollah?
«Ritengo che sia preferibile riportare indietro sani e salvi i due soldati rapiti piuttosto che veder rientrare tanti ragazzi in divisa chiusi nelle bare. Mi lascia aggiungere che Israele respinse stoltamente la richiesta del presidente palestinese Abu Mazen di liberare detenuti palestinesi come segnale che il dialogo poteva portare a risultati concreti molto più che azioni militari o terroristiche. Ariel Sharon rifiutò salvo poi, qualche mese dopo accettare di trattare con Hezbollah lo scambio tra prigionieri palestinesi e sciiti e i corpi di tre soldati israeliani e la liberazione di un civile dal passato torbido. Il no ad Abu Mazen e il sì a Hezbollah furono due segnali devastanti mandati da Israele ai palestinesi».
Quali furono questi segnali lanciati da Israele?
«Che alla fine ciò che conta non è la disponibilità al dialogo ma sono i rapporti di forza. Una logica che ha finito per rafforzare Hamas e Hezbollah».
Intanto la popolazione della Galilea vive l'incubo permanente dei razzi sparati da Hezbollah, che hanno già provocato molte vittime civili.
«Piango per quei morti ma non credo che rafforzeremo la nostra sicurezza ed eviteremo altri lutti bombardando a tappeto il Libano, distruggendone le infrastrutture civili, causando la morte di centinaia di civili. Non è punendo un intero popolo che Israele farà giustizia e onorerà la memoria dei propri caduti».
Ha ancora un senso la parola «dialogo» nel martoriato Medio Oriente?
«Deve esistere, perché l'alternativa è la distruzione, è fare di questa regione un enorme cimitero».
Da quale punto a suo avviso occorrerebbe ripartire?
«Dalla questione palestinese, la ferita più grave aperta tra Israele e il mondo arabo. Occorre battersi per una pace negoziata, fondata sul principio di due popoli, due Stati. Una pace che non nascerà certo dall'unilateralismo forzato che spinse Sharon al ritiro da Gaza. L'unilateralismo è una via senza uscita».
Perchè non si ripropone l'esposizione ai nostri balconi della Bandiera della pace???
Basta alle guerre infinite! ogni reazione con le armi, dimenticando che siamo uomini e ci si può parlare, è segno di inciviltà, di prepotenza, di orrore! Ci sono persone che soffrono, che muoiono solo per egoismi e brutalità dei governanti da ambo le parti!
Basta a tutte le guerre! Basta alla guerra in medio-oriente..in Iraq..in Afganisthan..in Africa...BASTA A TUTTE LE GUERRE!
E' così breve il passaggio dell'uomo su questa Terra: perchè questa violenza???? Che resterà per chi viene dopo di noi?