«Noi palestinesi invisibili vittime come i libanesi»
La parlamentare Hanan Ashrawi: a Gaza si muore abbiamo bisogno di una forza internazionale
di Umberto De Giovannangeli
«CI STANNO TRASFORMANDO in un popolo invisibile. Eppure nella Striscia di Gaza si continua a morire e a soffrire. Un milione di persone vivono ingabbiate, in un lembo di terra isolata dal mondo, trasformata in una prigione a cielo aperto. In questa guerra assieme al popolo libanese c'è un'altra vittima che sta pagando il prezzo della politica dei due pesi e due misure che gli Stati Uniti hanno imposto e l'Europa ha fin qui subito in Medio Oriente: quella vittima è il popolo palestinese». A parlare è Hanan Ashrawi, già ministra dell'Autorità nazionale palestinese, la prima donna ad essere stata portavoce della Lega Araba, paladina dei diritti umani e civili nei Territori, oggi parlamentare palestinese: «Un Parlamento dimezzato - sottolinea Ashrawi - dagli arresti compiuti arbitrariamente da Israele. Un fatto di una gravità enorme che la comunità internazionale ha avallato con un silenzio complice».
Nel Libano continua la guerra di Israele contro Hebollah…
«No, non è più la guerra di Israele contro Hezbollah, è la guerra di Israele contro il popolo libanese. Perché tale si configura una guerra che mette in ginocchio un Paes; una guerra che sta provocando un disastro umanitario, una guerra che Israele ha trasformato in una punizione collettiva inflitta a un popolo colpevole di non ribellarsi a Hezbollah. È la stessa logica che Israele ha adottato conto i palestinesi, colpevoli di non essersi rivoltati contro Hamas».
Hezbollah in Libano e Hamas nei Territori hanno insediato uno «Stato nello Stato»…
«Il problema è che Israele non ha alcuna intenzione di interrogarsi sulle ragioni che hanno portato alla crescita del consenso ad Hamas e Hezbollah. E questa riflessione stenta a manifestarsi anche in Europa. Ma davvero c'è qualcuno che ritiene che il popolo palestinese si sia trasformato in un popolo di fanatici integralisti dediti alla Jihad? O che il popolo libanese abbia deciso di divenire un appendice dell'Iran? Israele preferisce agitare l'idea del complotto jihadista per non fare i conti con una politica fallimentare imperniata su una logica militarista e una cultura colonizzatrice che ha finito per rafforzare i gruppi estremisti in Palestina come in Libano».
Da palestinese cosa imputa a Hezbollah e a quei Paesi - Iran e Siria - che lo sostengono?
«Vede, c'è un filo conduttore che caratterizza sin dalla nascita dell'Olp il rapporto tra la questione palestinese e l'uso che di essa hanno fatto le leadership arabe: quel filo è rappresentato dal tentativo dei vari raìs o movimenti arabi di usare in proprio la questione palestinese al fine di una legittimazione interna, ovvero per logiche di potenza regionali o come forte strumento di proselitismo e di propaganda armata. In questo contesto rientra anche Hezbollah. Non è certo dal 12 luglio (inizio della guerra con Israele, ndr.) che il leader di Hezbollah, Nassan Nasrallah, si erge a paladino della causa palestinese, esaltando la resistenza armata contro Israele e sostenendo apertamente la linea della contrapposizione frontale fra Hamas e il presidente Abu Mazen. E non dimentichiamo che a sostenere Hezbollah vi sono due regimi, quello iraniano e il siriano, che da sempre hanno cercato di cancellare la nostra autonomia politica. E su questa strada hanno incontrato Israele che ha sempre operato per delegittimare la controparte palestinese: avvenne così nella prima Intifada, è accaduto con l'Anp di Yasser Arafat ed oggi con la presidenza Abu Mazen e con le istituzioni scaturite da elezioni democratiche».
È tempo perché nasca un nuovo Medio Oriente, ha affermato Condoleezza Rice da Gerusalemme.
«Se non vuol essere un esercizio retorico, tanto più inopportuno di fronte alla tragedia di due popoli, questa affermazione dovrebbe essere confortata dai fatti. E per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, dovrebbe comportare da parte americana la constatazione del fallimento degli accordi di Oslo- Washington (settembre 1993, ndr.) e l'avvio di un percorso negoziale fondato, da subito, sulla chiarezza del suo sbocco e sulla certezza dei tempi di attuazione….».
La chiarezza dello sbocco: quale?
«L'unico che possa supportare l'idea di una pace giusta, duratura, tra pari. Quello di un accordo globale fondato su due Stati, e dunque sulla nascita di uno Stato palestinese indipendente, pienamente sovrano su tutto il suo territorio nazionale. Uno Stato vero e non una sorta di riedizione in chiave mediorientale dei bantustan dell'epoca dell'apartheid».
E nell'immediato?
«Fermare la guerra. Proteggere le popolazioni civili. Nella Striscia di Gaza, in Libano. Sono pienamente d'accordo con quanto proposto dal ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema: la forza internazionale deve essere dislocata non solo nel Sud Libano ma anche nella Striscia di Gaza. Sarebbe un primo, concreto passo per ristabilire quel minimo di calma necessario per ridare la parola alla trattativa».
Una trattativa lasciata alla buona volontà delle parti ?
«Se fosse così, la trattativa morirebbe sul nascere. La forza di interposizione ha senso solo se è il primo atto di una nuova politica di Stati Uniti ed Europa in Medio Oriente. Altrimenti quella forza si troverebbe a difendere l'indifendibile: il mantenimento di uno status quo che non regge più. Un secondo atto di pari importanza sarebbe l'indizione di una Conferenza internazionale di pace sotto l'egida del Quartetto (Usa, Onu, Ue, Russia, ndr) che affronti tutti i nodi irrisolti che sono alla base dei conflitti che segnano il Medio Oriente».