Fra sicurezze e ansie di fragilità
di Massimo Franco
L a conferenza sul Medio Oriente è stata un successo: se non politico, di immagine, per un'Italia e un governo appesi alle liti interne. Ma Romano Prodi tende a considerare le tensioni fisiologiche, più che patologiche. Il modo in cui ieri ha difeso la propria coalizione non lascia dubbi. «Non ho intenzione di cambiare direzione, nè squadra, anche se ogni tre-quattro mesi c'è il tormentone su maggioranze diverse» ha avvertito, con un sarcasmo che mescola una certa sicurezza e il timore di una crisi della sua leadership.
È una trincea nella quale trova un alleato in Fausto Bertinotti, presidente della Camera ed ex leader del Prc; ma anche nel resto della sinistra radicale. Un articolo su Liberazione,
organo del Prc, ieri elencava i presunti «avversari di Prodi». Una lista pesante, nella quale è stato inserito perfino il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, reo di avere sconsigliato la fiducia sull'Afghanistan insieme al presidente del Senato, Marini. A ruota il vicepremier Rutelli, il sindaco di Roma, Veltroni, e il ministro dell'Interno, Amato, sospettati di trame per la grande coalizione.
Si tratta di uno scenario arbitrario, ma indicativo del nervosismo nella maggioranza. Lo «scarto limitato» ammesso da Prodi al Senato alimenta i sospetti di manovre inconfessabili. Nel modo perentorio col quale il premier ribadisce «che la nostra coalizione funziona e opera bene», si coglie una punta di fastidio verso alleati convinti che alla lunga l'«autosufficienza» si rivelerà un azzardo.
Le minacce di dimissioni ministeriali delle ultime ore segnala il rischio di un logoramento progressivo. Dopo l'«autosospensione» di Antonio Di Pietro contro l'indulto, ieri a lanciare ultimatum è stato Clemente Mastella. Il ministro della Giustizia ha chiesto a Prodi di difenderlo dagli attacchi dell'ex pm. E Fabio Mussi, ds, ministro per la Ricerca, ha minacciato uno strappo per i tagli all'Università. Ma sono microconflittualità che il premier è certo di riassorbire.
La logica di maggioranza per lui è una necessità per non aprire scenari sfuggenti. Così, la doppia fiducia sull'Afghanistan, decisa per oggi e domani al Senato, è un corollario del «credo» unionista. Per il centrodestra, simboleggia la subalternità alla sinistra antagonista. Ma per Prodi è un'assicurazione sulla vita della coalizione. E, comunque, non è facile dar torto al premier quando ricorda che anche «la maggioranza bulgara» di Silvio Berlusconi ricorse più volte alla fiducia. E il governo del Cavaliere, sembra dire Prodi ai suoi, durò per tutta la legislatura. Ma i numeri, appunto, erano «bulgari».
Il premier loda la sua coalizione anche se tre ministri minacciano dimissioni.
Io non posso dimettermi da cittadino italiano? :) :/