Solo in Italia così tanti privilegi per la «casta» degli speziali
Farmacisti-padroni, di nome e di fatto
di Vittorio Emiliani
La gente in Italia non lo sa, ma una aspirina costa da noi due volte più che in Francia e quattro volte più che in Germania. In Grecia, al turista italiano sbalordito può capitare di vedersi offrire spontaneamente, per appena 0,58 euro, il depon, un medicinale equivalente alla tachipirina la quale da noi costa 7,20 euro. Adesso si capisce perché, sul solco tracciato dai tassisti, i farmacisti proprietari (da non confondere coi loro commessi laureati) continuino nella lotta dura ai decreti Bersani sulle liberalizzazioni. Eppure l'antica corporazione degli speziali non viene investita in modo decisivo dalla liberalizzazione. Con essa si consente la vendita nella grande distribuzione - ma in appositi settori e alla presenza di farmacisti laureati - dei cosiddetti farmaci “da banco”, vendibili cioè senza ricetta. Farmaci i quali rappresentano in Italia una quota modesta del fatturato delle nostre farmacie: appena l'11,3 per cento (al Sud è molto meno), contro il 25 per cento della vicina Svizzera, il 24 del Regno Unito o il 20 circa della Francia. Fra l'altro, non è detto che la messa in vendita nei supermercati e negli ipermercati dei prodotti da banco eroda per intero quella quota di fatturato.
Una seconda misura governativa permette la formazione, entro certi limiti, di catene di farmacie gestite da società, come avviene all'estero, in numerosi Paesi. Una terza misura riduce a due anni (dai dieci attuali!) il tempo di attesa consentito agli eredi di una farmacia per subentrare con la vedova, con un figlio o con un nipote laureato in Farmacia nella titolarità dell'esercizio ereditato. Perché, allora, tanta durezza nella protesta?
Perché i farmacisti proprietari temono il gioco del domino, paventano cioè che queste siano le prime carte destinate a far cadere poi l'intero mazzo. Ma, anche questo effetto non è attribuibile all'attuale governo. Dal 1861 in qua si è creata nell'Italia delle farmacie una situazione sempre più lontana dall'Europa dove vige da decenni una ben più attiva concorrenza fra gli esercizi farmaceutici, dove questi non sono una concessione pubblica divenuta vendibile ed ereditabile (in modo protetto). Difatti, il 28 giugno scorso, la Commissione Europea ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia giudicando la sua legge sulle farmacie incompatibile con la libertà di stabilimento e con la libera circolazione di capitali.
Il governo Prodi, quindi, ha intrapreso come strategia la liberazione del Paese da blocchi e privilegi corporativi, ma lo sta facendo in linea con l'Unione Europea. Non per conto proprio.
I farmacisti proprietari obiettano che in Italia vengono meglio tutelati i diritti della salute. Cosa che poteva essere vera fino agli anni 60, prima cioè che la farmacia diventasse un luogo, garantito certo, di smercio, in cui però si vendono, assieme ai farmaci, tutti i possibili prodotti di bellezza, i profumi e i balocchi. Il che ha corroborato i bilanci delle farmacie divenute un poco più numerose (ma siamo sempre lontani da quell'indice di 1 ogni 3.000 abitanti reclamato dai socialisti Prampolini e Turati nel remoto 1913). Al punto che spetta al nostro Paese il record europeo nel ricavo medio della distribuzione farmaceutica: + 34 per cento rispetto alla media UE, più del doppio rispetto al Regno Unito.
Non basta: siamo fra gli ultimi nella vendita di farmaci “generici” equivalenti, di minor costo e di pari efficacia. Evidentemente poco consigliati, spontaneamente, nelle nostre farmacie: essi infatti rappresentano appena il 4,2 per cento delle loro vendite, contro il 6,2 del Portogallo, il 12-13 di Austria e Francia, mentre in Germania essi costituiscono un terzo e nel Regno Unito addirittura la metà del totale.
Lontani dall'Europa, quindi. Quell'Europa che in Olanda, Regno Unito, Svizzera, Norvegia, Irlanda consente catene di farmacie; che in almeno otto Paesi permette già la vendita fuori dalle farmacie dei medicinali senza ricetta, con una punta record dell'84,4 per cento in Olanda. Da sottolineare il fatto che in Italia il decreto Bersani impone comunque la presenza del farmacista anche al supermercato, mentre in numerosi altri Paesi della UE essa non è prevista, trattandosi spesso di self-service, magari installato presso un benzinaio. La soluzione prescelta in Italia è dunque meglio garantita per i cittadini ed apre le porte dell'occupazione a parecchi laureati: la sola Coop progetta di aprire 250 punti-vendita con tre farmacisti per ciascuno, quindi 750 posti di lavoro garantiti. Non è poca cosa. Con più servizi agli utenti per queste cosiddette cure libere.
Purtroppo i cittadini italiani ignorano per lo più quale sia la situazione dei loro omologhi europei in materia di servizi farmaceutici e i media, specie i telegiornali, li lasciano in tale ignoranza dando voce, in pratica, ai soli proprietari di farmacie.
Un fatto gravissimo, un deficit di informazione decisamente pericoloso. Quanto ai proprietari di esercizi farmaceutici, essi si sono cullati per decenni in una condizione di privilegio ereditata da tempi lontani, quando l'Europa si liberalizzava e noi ci chiudevamo nell'autarchia fascista e corporativa.
Il grido «Ridateci Storace!» levatosi dai camici bianchi alla manifestazione di mercoledì e la presenza attiva alla stessa dei vari La Russa e Alemanno dice qualcosa in materia.
Vadano avanti Prodi e Bersani, reclamino semmai che le posizioni del governo siano correttamente spiegate su giornali, tele e radiogiornali dove le “veline” che passano sono ancora quelle del governo Berlusconi, del tutto inerte in fatto di liberalizzazioni all'europea.
La serrata dei farmacisti può e deve essere un boomerang. I cittadini finalmente possono capire che molti articoli venduti in farmacia li possono trovare a prezzi notevolmente più bassi nella grande distribuzione, ma anche nel negozio sottocasa ( es. latte artificiale, omogeneizzati, pannolini, cosmesi, igiene orale, ecc.). Per i farmaci veri, quelli indispensabili ( poche centinaia di principi attivi) ci sono le farmacie comunali (che i comuni dovrebbero potenziare) le farmacie di turno e le farmacie notturne. La serrata alla fine si rivelerà solo un danno economico e di immagine della categoria, se impareremo tutti a rifornirci in modo alternativo, almeno delle puttanate non indispensabili, che non sono affatto garantite se vendute in farmacia. Anzi. Basta leggere la composizione delle varie creme ecc.
"la Coop progetta di aprire 250 punti-vendita con tre farmacisti per ciascuno, quindi 750 posti di lavoro"
ma non capisco, la coop, bersani, oggi, ieri berlusconi, mediaset. Ma non è possibile la manifestazione di qualche conflittuccio, tanto condannato ieri?
aldilà, dei colori che se ne ricavano, da una scelta, credo di essere dalla parte dei farmacisti, meglio qualche euro in più che lo sputtanamento della commercializzazione liberal dei farmaci.
Onebloger, alcune precisazioni:
1) non si parla di liberalizzare TUTTI i farmaci ma solo quelli da banco, che non portano indicazione di prezzo e che già oggi sono venduti senza ricetta medica;
2) attualmente il farmacista è solo un commesso, che risponde alla prescrizione medica e alla richiesta del cliente in modo acritico;
3) ci sono notevoli differenze tra i costi nelle farmacie italiane e quelli in tutti gli altri paesi europei ed extaeuropei. Esempio personale: Apirina in Italia 20 cpr euro 3,95, negli U.S.A. 1000 (!) cpr dollari 4,99 pari a euro 3,91. Costo per cpr Italia 0,1955 U.S.A. 0,00391.
Se invece si prendono in considerazione i farmaci salvavita, negli U.S.A. i costi sono nettamente superiori rispetto all' Europa ed al Canada.
Ripeto per tutte le altre puttanate non è necessario andare in farmacia.
I prezzi dei farmaci non sono stabiliti dai farmacisti, ma dalle ditte in accordo col governo e per legge non si possono scontare i farmaci "etici". I prezzi del faramci da banco sono "liberi" per le ditte. In farmacia arrivano col prezzo stampigliato sopra, che il farmcista può ora scontare. A volte la stampigliatura del prezzo è nella banda ottica ma compare sl display della cassa appena ci passano sopra la pennina che legge la banda ottica. Non ci sono farmaci di nessun genere con l'etichetta col prezzo appiccicata dal farmacista.
Siccome questo lo possono costatare tutti articoli come quello sopra sono in evidente malafede.
Le Coop potranno vendere le "aspirine" a prezzo minore perchè faranno ordinativi colossali direttamente alle ditte. Ma non solo, le Coop pagano anche meno tasse come cooperative, anche se qualcuno dice che sono spa, cosa che non è per gli altri supermercati.
Ma la questione è più complessa, Bersani oltre a favorire le sue Coop, obbedisce agli interessi dell'industria farmaceutica che si lamentava un po' di tempo fa che in Italia si vendessero molti meno farmaci da banco che nel resto d'Europa. E non solo, mira anche ad aprire la strada a Admenta la holding della Celesio, il colosso tedesco della distribuzione in Europa, asso pigliatutto sia a Est che a Ovest, che si è comperato le 86 farmcie comunali del comune di Milano e altre in Lombardia (ma la questione è stata impugnata) - e il trend è quello della vendita delle farmcie comunali. L'ingresso sul mercato di società proprietarie di catene di farmacie non favorirà affatto il consumatore (In America è tutto in mano a tre grossissime società, e le farmcie private dipendenti sono minoritarie).
Quando Bersani dice "come nel resto d'Europa" mente, perchè la situazione è differenziata, e solo in pochi paesi si vendono farmaci fuori dalla Farmacia, come in Danimarca dove però c'è una farmacia ogni 17.000 abitanti.
Comunque tra Farmindustria, Coop e Celesio si possono pagare tutta la propaganda che vogliono, no?
CORREZIONE: farmacie private INDIPENDENTI, in America
Due articoli dell'economista Forte
La farmacia non è una coop rossa
di FRANCESCO FORTE
Per anni si è criticato Berlusconi per il conflitto di interessi. Ora, silenzio di tomba di fronte al conflitto di interessi del ministro Bersani, che fa gli interessi delle Coop rosse, fingendo di liberalizzare i farmaci acquistabili senza ricetta, sino ad ora venduti in farmacia, in realtà assegnandoli alla sola grande distribuzione, col trucco della presenza obbligatoria del farmacista al bancone del supermercato. Anzi, di più, si dipinge come corporativo lo sciopero dei farmacisti, mentre è corporativo il decreto Bersani, in questo campo, dato che favorisce la lobby della grande distribuzione rossa, a danno dei farmacisti e delle altre imprese del settore distributivo. Il conflitto di interessi di Bersani risalta anche per il metodo con cui è stata trattata la questione. Mentre per i taxi, Bersani, dopo ampi colloqui, si è rimangiato quasi tutto il suo progetto, ai farmacisti ha opposto non solo un rifiuto totale di modifiche, ma si è anche rifiutato di riceverli, come se Ferderfarma fosse fatta di appestati. Ma una larga fetta dei tassisti è iscritta ai Ds e alla Cgil, mentre Federfarma non ha il fazzoletto rosso e la Lega della Coop preme su Bersani, perché il testo passi così come è. Cosa accaduta, in Senato, tramite il voto di fiducia, senza cui l'intero decreto andava a carte quarantotto (perché in esso ci sono aberrazioni di Visco, peggiori di quelle di Bersani). Il testo che ora va alla Camera è del tutto anomalo, in Europa. Infatti, nei 15 Paesi europei facenti parte dell'Unione prima dell'entrata dei dieci ex comunisti, ce ne è solo uno, l'Olanda, dove si consente la vendita extra farmacie di tutti i farmaci acquistabili senza ricetta. E, comunque, in Olanda non vi è obbligo di farmacista per la vendita extra farmacie: essa viene attuata da tutti gli esercizi. È, dunque, una vera liberalizzazione, non un privilegio assegnato alla grande distribuzione. Ci sono poi altri cinque Paesi dell'Unione Europea che consentono la vendita extra farmacie di una lista selezionata di farmaci acquistabili senza ricetta: Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Portogallo. Ma solo in Portogallo, per la vendita extra farmacie, si richiede la presenza ai banchi di vendita di un farmacista, come nel testo neo corporativo bersaniano. Fuori dell'Unione Europea, fra i Paesi dove si può vendere, in esercizi diversi dalle farmacie, una lista di prodotti medicali acquistabili senza ricetta, ci sono la Norvegia e Svizzera: anche qui non è richiesta la presenza del farmacista. Dunque a chi si è ispirato Bersani, per il suo testo ? Non agli Usa, perché ivi farmaci acquistabili senza ricetta si trovano al distributore di benzina e al piccolo "drug store" della stazione di autobus, dove non c'è certo un farmacista. Pertanto, o si è ispirato al piccolo Portogallo o, più probabilmente, agli amici delle Coop. Questa è una insidiosa concorrenza sleale. E i farmacisti hanno ragione a sostenerlo. Il farmacista che venderà farmaci al bancone delle Coop non è titolare dell'esercizio, a differenza del farmacista titolare della farmacia. Pertanto, non avrà una responsabilità per la qualità dei prodotti venduti, essendo un mero impiegato. Questo fatto ingannevole di concorrenza sleale rientra fra quelli che sarebbero proibiti dall'articolo 2598 del codice civile. E si tratta di concorrenza sleale anche con riguardo ai prodotti simili, che non sono considerati medicinali. Infatti, il far vedere che c'è un farmacista che vende un bene, poniamo pillole per digerire o collutorio per i denti, che chiunque può acquistare senza ricetta, genera un inganno, circa la sua natura, in confronto ai beni rivali non definiti come medicinali, che hanno analoghe funzioni. E ci sono ditte di produzione di tali beni, che anelano al nuovo commercio ingannevole. C'è poi un inganno finale, il maggiore. Si dice che ciò gioverà al cittadino, che pagherà di meno questi prodotti acquistabili senza ricetta. Ma si dimentica che le farmacie attualmente svolgono un servizio finanziario rilevante a favore del Sistema Sanitario pubblico, in quanto anticipano il denaro dei farmaci, ottenuti gratis dai cittadini, su ricetta del medico della Asl. I rimborsi arrivano con mesi di ritardo, dalle Regioni. Se i farmacisti perdono fatturato nei prodotti extra Servizio Sanitario nazionale, avranno bisogno di un maggior margine per poter continuare ad anticipare alle Regioni il costo dei farmaci gratuiti. E sarà, alla fine, Pantalone a pagare il conto, con le imposte, per tale rincaro dei farmaci gratuiti. Altro che beneficio per i consumatori
Hanno liberalizzato le farmacie per creare il monopolio delle coop
di Francesco Forte-
Chiamatela pure liberalizzazione dei farmaci da banco ed automedicali. Io questa liberalizzazione pelosa la chiamo "favore monopolistico alla grande distribuzione della Lega delle cooperative". Che lo sia, lo si capisce benissimo, perché le Coop sono in festa. Dichiarano che son pronte a vendere l'aspirina (o meglio un prodotto equivalente, perché il nome "aspirina" è della Bayer) scontata, col proprio marchio, facendola fabbricare da case minori a ciò interessate. Nulla da obbiettare sulla libertà delle coop di vendere aspirina, Benagol, pillole per digerire e antidolorifici, se non han bisogno di ricetta medica. E quindi sono comuni derrate, per il cui uso basta il foglio illustrativo. Ma perché stabilire che il negozio che vende queste merci, comprabili da chiunque, senza rischio, senza ricetta, possa farlo solo tramite un farmacista, laureato e iscritto all'ordine professionale dei farmacisti, ancorché operante nel supermarket?
I casi sono due: o queste sono merci che, non avendo bisogno di ricetta del medico, sono comprabili, a piacere, da tutti e allora non si capisce perché a porgerle ci debba essere un farmacista iscritto a un ordine, oppure queste merci, in quanto farmaci, non possono essere comprate da tutti liberamente e allora o ci vuole la ricetta medica o ci vuole un qualche sistema restrittivo, come la vendita in appositi locali, quali le farmacie.
Ma è chiaro. L'obbligo del farmacista rende difficile a una drogheria o a un tabaccaio di vendere l'aspirina o l'analgesico, come accade nei Paesi di vera liberalizzazione. Questa regola, apparentemente liberista, è pelosa: favorisce i supermercati rispetto alla piccola distribuzione e in particolare le Coop, che possono permettersi farmacisti, perché hanno la catena distributiva più grossa, coordinata dalla Lega delle Coop, con relativa assicurazione (Unipol), banca (Unipol Banca) etc.
Dunque s'intacca un monopolio per rafforzarne un altro. Ma questa norma che obbliga a tenere il farmacista iscritto all'ordine per vendere un bene che chiunque può comprare, senza limiti, appare illegittima e suscettibile di ricorsi agli organi giudiziari italiani ed europei. Infatti lo stesso decreto Bersani abroga, in quanto discriminatorie, tutte le regole che limitano la lista di beni vendibile nei vari esercizi commerciali o che richiedono particolari titoli di studio per vendere tali beni, salvo per le merci pericolose. Dunque il decreto imponendo un farmacista per vendere beni di libero uso "che non hanno bisogno di ricetta" introduce una discriminazione vietata dallo stesso decreto, in via generale, in un'altra norma. Se non ci vuole la laurea in lettere per vendere i libri, perché ci vuole la laurea in farmacia e l'iscrizione all'ordine per stare nel supermarket a vendere Benagol? E poi perché occorre un farmacista e non un laureato in medicina o in scienze biologiche? Che cosa si vuol dimostrare con questa limitazione? Forse si vuol far supporre che quel bancone di supermarket è "come una farmacia, pur non essendolo": e che, quindi, bisogna avere fiducia nelle merci a prezzo scontato, simili a quelle che si trovano "nella vera farmacia". Un po' come quando si vendevano le auto con le pinne, per dare l'idea che fossero "aereo dinamiche", come gli aerei. Nessuna obiezione, ma allora si consenta, agli altri esercizi, di vendere questi beni, senza farmacista iscritto all'ordine. O c'è libera concorrenza o no.
http://www.stampa.unibocconi.it/articolo.php?ida=1076&idr=1