Lettera di un Ebreo a Israele
di Moni Ovadia
Yad Vashem è il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, il sacrario della Shoah, ma per gli israeliani è ben altro che questo. Quel luogo è per molti aspetti, il topos del senso stesso dell’esistenza di Israele come stato ebraico. Ogni cittadino, ogni fanciullo, ogni soldato, si reca in pellegrinaggio in quel luogo per assumere il pieno statuto identitario di ebreo israeliano. Ogni persona, dal semplice turista o viaggiatore, al più illustre politico in visita in Israele, quale che sia la ragione della sua presenza, sa che ha il dovere di rendere omaggio alle vittime dello sterminio nazista recandosi a Yad Vashem.
Con quel solenne pellegrinaggio, il visitatore riconosce il suggello con cui lo stato d'Israele assume su di sé un'intera eredità.
Per un grandissimo numero di ebrei che si riconoscono nelle istituzioni ufficiali, Israele diviene acriticamente e senza mediazioni, passato, presente e futuro. Per essi la diaspora perde significato in sé per divenire appendice di un ritorno in pectore anche se procrastinato sine die. Di fatto, essi si sentono israeliani in standby. Le recenti drammatiche vicende mediorientali, richiedono una rimessa in questione di questi assetti israelo-ebraici e delle dinamiche psicologico-culturali che vi sottostanno. Il movimento sionista ha avuto fra i suoi obbiettivi primari quello di normalizzare gli ebrei, collocandoli in una terra con la quale avevano un'antico legame e facendone un popolo come gli altri. Quando il primo ebreo fu arrestato per furto e messo in prigione nella neonata entità statuale ebraica, il padre fondatore e primo capo del governo, David Ben Gurion, esultò: «Siamo un paese normale!». Mai affermazione fu più rovinosamente scentrata. Israele è tutto fuorché un paese «normale». La sua collocazione geografica è in Medio Oriente ma in questo momento la sua vocazione è occidentale. Per certi aspetti potrebbe essere uno stato degli Stati Uniti, anche se più di metà della sua popolazione viene da stati arabi e il 17% di essa è arabo-palestinese. La sua politica, in grande misura coincide con quella delle amministrazioni americane. È stato fondato da scampati alle persecuzioni antisemite zariste e degli stati autoritari centro-orientali e da sopravvissuti alla Shoà, ha piena dunque titolarità a quella eredità, ma gli ebrei sterminati dai nazisti erano quanto c'è di più lontano da quello che è oggi l'ebreo israeliano. Quelli parlavano lo yiddish ed erano a proprio agio in molte altre lingue, vivevano a cavallo dei confini, erano cosmopoliti, ubiqui, inquieti, refrattari alle logiche militari, poco interessati, quando non ostili ai nazionalismi, erano smunti, fragili, dediti allo studio, alle professioni liberali, intellettuali, al piccolo o grande commercio, appartenevano alla categoria dei paria perseguitati emarginati, erano dalla parte degli sconfitti. L'israeliano delle nuove generazioni si esprime in ebraico moderno, una lingua costruita desantificando l'ebraico biblico e piegandolo alle esigenze di una nazione e la sua seconda lingua è l'inglese. L'israeliano sta con i vincitori, è forte, determinato, orgogliosamente nazionale, militarmente molto preparato, capace di essere agricoltore e soldato quanto intellettuale e tecnico, ma anche taxista, ingegnere, negoziante o impiegato, operaio e persino occupante e poliziotto di un altro popolo, cosa inconcepibile per un ebreo della diaspora che subì lo sterminio.
Oggi, che nuovamente un leader fanatico di un paese islamico chiede la cancellazione dello stato sionista dalla carta geografica, in Israele e nella diaspora, si evoca il legame con la Shoà in modo univoco e schematico quasi a volere stabilire un parallelo inaccettabile con il ghetto di Varsavia. Ma ancorché Israele viva in stato di grande difficoltà e subisca il terrorismo e l'aggressione di Hezbollah sulla carne della propria gente, pensare di rappresentare la tragica eredità dello sterminio solo con un modello rigido per giustificare l'uso indiscriminato della propria soverchia forza militare e radere al suolo intere città provocando quasi esclusivamente morti civili, è scambiare etica per propaganda.
Se Israele vuole assumere l'eredità di quell'ebraismo ridotto in cenere, deve assumerne la piena eredità morale, cessare di vessare ed imprigionare un altro popolo, diventare più piccolo, molto più democratico, abbandonare la mistica della potenza, diventare leader del processo di pace ed assumere la funzione di ponte fra occidente e Medio Oriente.
Io amo Moni Ovadia.
Lucido come sempre.
Strano che berja ancora non gli abbia dato del nazi-maoista anti-semita.
da quanto il nome berja è inflazionato dalla discussione sofri-travaglio con quel po'po' di casino si è un intimidito!
non sapeva di essersi spinto così avanti e adesso si è fatto cauto e accorto, insomma è diventato un tranquillo blogger in odor di pensionamento!
mar
Niente di meglio che qualche insulto tra commentatori di lungo corso, in fondo sono segni di affetto: chissà se finiremo come i vecchi inaciditi nelle osterie.
berja nella discussione sofri-travaglio? cià, andiamo a vedere se si è intruppato anche lui nel branco o se l'è cavata in qualche modo originale
antonio non svegliare can che dorme!
maria
ma ce l'avete una vita a parte che scrivere cazzate qui sopra?
E bravo mentre te ne stavi in vacanza il torrente in piena del daje daje aizza aizza, costruiamo nuove carceri e poi gettiamo la chiave, me lo sono beccato io (non che nessuno mi obbligasse in effetti).
Oramai i tempi sono maturi anche da noi per un Kaczynski in salsa mediterranea, altro che grande centro.
Perfetto come quasi sempre, Moni Ovadia.
Peccato che Olmert non capisca niente di quello che dice Moni e si diverta ad ammazzare bambini.
Moni Ovadia ha perfettamente ragione.Peccato che mentre migliaia di civili libanesi morivano, il rabbino capo e la comunità ebraica di Roma pensavano ad esprimere solidarietà a Israele; Purtroppo moltissimi abitanti del Ghetto sono bravi solo a dire che chi è contro Israele è antisemita, è d'accordo con Ahmadinejad è vuole uccidere tutti gli ebrei.Se leggessero di più scrittori israeliani come Grossmann,Oz,Shalev,Avnery,Yehoshua Kimmerling e tanti altri.Persone che tengono alto il nome di Israele,e di cui ogni ebreo dovrebbe essere fiero.
Per fortuna Israele è una democrazia, dove più culture convivono: ovvio che intellettuali di alto livello possano dire la loro senza essere tacciati di antisemitismo.Facile per Ehud Gohol dire che è antisemitismo criticare Israele.Vorrei dirgli"Ha mai pensato di querelare un docenti universitari come la Rheinart, Kimmerling e Gordon?O forse di fronte a costoro sta zitto perchè sono Israeliani "?
E' stato esemplare l'intervento del Papa, il quale ha affermato che ogni spargimento di sangue è contro Dio, e nessuna ingiustizia, come nessuna ragione di sicurezza, lo può mai giustificare.La guerra è sempre da condannare.
Hanno tutti le mani sporche di sangue davanti a Dio: sia Hassan Nasrallah sia Ehud Olmert.Io li porterei entrambi davanti al tribunale dell'Aja.