Le parole per dirlo
di Antonio Tabucchi
Questo tipo di indulto è passato, e amen. Ma vale la pena di esaminare come è stato sostenuto da due forti voci mediatiche su organi di sinistra e di destra. Comincio da Sergio Staino, che su l’Unità di domenica 30 luglio dà il suo apporto all’indulto con un paginone di disegni intitolato «Il Beriatravaglio». In realtà le sue tavole dell’indulto parlano poco, sono invece una non motivata aggressione a Marco Travaglio, che coerente con dieci anni di lavoro spesi a smascherare corrotti e corruttori agli occhi di Staino è «reo» di opporsi a un indulto che includa i reati finanziari.
E che denuncia oscuri accordi fra Forza Italia e i DS (fra l'altro, su la Repubblica del 29 luglio, l'ex-procuratore Gerardo D'Ambrosio, oggi senatore DS, contrario a questo indulto, in un'intervista a Travaglio, alla domanda se riuscirà a portare i DS sulle sue posizioni, così aveva risposto: «Purtroppo no, c'è una sordità assoluta. Hanno stretto accordi blindati con Forza Italia che mi sfuggono, non vengono spiegati né a me né agli elettori. Non capisco nemmeno la convenienza politica. I voti che perde Forza Italia li recupereranno An e Lega. Noi invece pagheremo pedaggi altissimi: si parlava di provvedimenti di indulgenza legati a misure strutturali, ma chi le ha viste?»). Se voleva centrare un vero bersaglio, Staino avrebbe dovuto disegnare un Beriadambrosio, ma alla fonte preferisce il collega Travaglio, raffigurandolo come un corvaccio nero che si è posato surrettiziamente sulla spalla del suo personaggio Bobo, traviandolo. Anzi, travagliandolo. Per sommi capi: il corvo Beriatravaglio, che fra l'altro «ha un archivio» (e forse anche un fax), gli fa sospettare «inciuci» fra gli amati dirigenti del suo partito e Forza Italia, lo conduce verso la perdizione dei cosiddetti «movimenti», gli fa balenare davanti agli occhi una cosa peccaminosa chiamata «società civile» che vorrebbe opporsi alla verità delle segreterie dei partiti, lo arruola nella «brigata Micromega» (si noti la considerazione per i costituzionalisti, i giuristi, i filosofi e gli intellettuali che scrivono su quella rivista), gli fa odiare addirittura Berlusconi e soprattutto gli fa odiare chi è favorevole all'indulto, cioè i suoi amici più cari come Adriano Sofri. Finché il Bobo, che ha un cuore grande così, probabilmente capisce che coloro che non vogliono mettere sullo stesso piano il povero extracomunitario e Previti-Tanzi-Ricucci e Consorte sono davvero dei grandi cattivi, e riprendendo coscienza si chiede: sarò ancora di sinistra? La falsa autocritica del Bobo, che ricorda in burletta le confessioni forzate dei processi di Praga degli anni Cinquanta, finisce ovviamente con un falso quesito. Che il Bobo sia di destra o di sinistra è per noi lettori una questione del tutto irrilevante. La vera questione è la storia disegnata da Staino. Aver dipinto come un corvo, e per di più chiamandolo Beria, un giornalista che a suo rischio e pericolo, da solo o con Peter Gomez, in questi anni ha denunciato in libri inattaccabili e con documenti non smentibili i mafiosi, i paramafiosi, i corrotti del craxismo, del berlusconismo e di altri ismi, mi pare solo una offesa di basso livello. E che il basso livello sia di destra o di sinistra non fa differenza. Inoltre, ho pensato, in queste tavole i volatili sono due: se su una spalla il Bobo ha un corvo, sull'altra ha un usignolo che canta con voce melodiosa. Solo che Staino ha dimenticato di disegnarlo.
L'altra voce mediatica strenuamente favorevole a questo tipo di indulto è stata quella di Adriano Sofri. Non si può certo dire che Sofri fosse favorevole pour cause o, per dirla meglio, pro domo sua, perché se in qualche modo ne può beneficiare uno dei più stretti amici del suo editore di Panorama o altri che attualmente sono sotto processo, lui non ne beneficia affatto. Né mi è parso che le sue argomentazioni riguardassero strettamente gli eventuali disegni delle diverse segreterie politiche. Piuttosto, dai suoi articoli si evince una fortissima carica filantropica vissuta con slancio cristiano e illustrata con toni biblici ed evangelici: «Dice Isaia: “Come sono belli i piedi del messaggero dei lieti annunzi” (...) Dice il Vangelo di Luca: “Lo spirito del signore mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista”». («Correrete il rischio del bene», la Repubblica, 31 luglio). Un moto d'animo di solidarietà per i compagni più fortunati di lui che gli fa confessare nello stesso articolo: «E il perdono, la pacificazione e il ricominciamento che il perdono promette a chi lo riceve e a chi lo concede, a una comunità intera che si apre alla fiducia? (...) I 61.000 detenuti italiani hanno aspettato la notizia appesi alle inferriate, attaccati alle radioline che trasmettevano il silenzio dal Senato - come avrei voluto essere dentro sabato sera». «Galeotta nostalgia!», diceva Montale. Solo che nella sua sete di indulto costi quel che costi, comprese le ricattatorie condizioni poste da Forza Italia, Sofri deve «ingoiare un rospo». «Il rospo», come spiega Eugenio Scalfari in un lucidissimo articolo («Un ricatto di nome Previti», la Repubblica, 29 luglio) «ha un nome abbastanza ostico, si chiama Cesare Previti». Continua Scalfari: «Il problema Previti ha rappresentato una spina costante per Forza Italia, che ha cercato di liberarsene in tutti i modi. Soprattutto con un'aggressione continua e durata un decennio intero contro la magistratura italiana nel suo complesso e quella milanese in specie e con leggi ad personam che hanno rappresentato una delle più umilianti stagioni politiche del Parlamento italiano. Nonostante questi innumerevoli tentativi di manipolare e impedire l'azione della giurisdizione, l'obiettivo è stato raggiunto solo in parte: una condanna c'è stata, un reo è stato assicurato alla giustizia. E come lui parecchi altri in analoghe condizioni. Ora, l'indulto che il centrosinistra propone oggi alla Camera con l'accordo di Forza Italia, realizzerà ciò che non era riuscito al governo Berlusconi». Eh sì, certi obiettivi si raggiungono solo in modo bicamerale, direbbe un maligno che Staino trasformerebbe subito in corvo. Ma come se la cava Sofri? In un articolo molto rispettoso verso Scalfari in cui invoca la propria «angoscia», così: «Ecco i miei argomenti, che chiamerò per una volta di emergenza. Comincio da Previti. Costui non è in galera né metterà più piede in una cella di carcere. Ma una legge per lui irreversibile lo ha assegnato alla detenzione domiciliare (...) l'indulto di tre anni avvicinerebbe per lui, benché non necessariamente di molto, la prospettiva dell'affidamento in prova ai servizi sociali. Questo è il rischio massimo dell'indulto sul destino personale di Previti» («A favore dell'indulto in nome dell'umanità», la Repubblica, 25 luglio). Ma Sofri con Previti comincia e con Previti finisce, eludendo il problema squisitamente etico-politico che Scalfari gli pone. Davvero strano per uno che ogni giorno si propone (sulla stampa libera e non) quale fine analista politico. Il problema, Sofri lo risolve con un'equazione di questo tipo: siccome Previti in galera non c'è (grazie alla legge Cirielli che gli hanno cucito addosso) il problema non esiste. Scalfari liquida il «sofrisma» (chiedo scusa ma ci sta bene) affettuosamente ma con fermezza: «Voglio farti una domanda, caro Adriano. Se per ottenere la necessaria maggioranza qualificata fosse necessario essere clementi con i pedofili o con gli stupratori, tu che faresti? Non sarebbe un vulnus assai grave all'etica pubblica? E non ha la stessa gravità graziare o alleggerire la pena per chi ha ridotto lo Stato ad una stalla, utilizzando le istituzioni pubbliche come la propria vigna privata? Io avrei fatto diversamente, avrei dato l'indulto e anzi l'amnistia a tutti i reati con pene edittali sotto i tre anni e basta». E poi conclude quasi con fastidio: «Ciò detto, fatelo questo indulto ma poi non venite più a discutere sul deficit di moralità pubblica che ci vede purtroppo agli ultimi posti nel mondo delle democrazie» (la Repubblica, 29 luglio). Il che sarebbe quasi un paterno invito a cessare le lezioni (sulla stampa libera e non), con cui Sofri sta insegnando al popolo italiano come deve pensare per essere politicamente ed eticamente corretto su tutto lo scibile umano.
A questo punto Sofri lascia perdere Scalfari e cambia giornale (e anche tono). Il 26 luglio, sul Foglio, un suo articolo così esordisce: «Lo squadrista Marco Travaglio scrive su Repubblica di ieri una sequela di falsità indegne, allo scopo di galvanizzare l'indignazione pubblica contro l'indulto. Il quale, improvvisamente, diventa anche responsabile del mancato risarcimento ai caduti sul lavoro (...) L'articolo di Travaglio che fa dire agli avvocati di parte civile, i quali avranno le migliori intenzioni, le cose più spericolate...». Eccetera. Una prima osservazione che è un punto fermo. Sofri può, evangelicamente, chiamare squadrista chi gli pare. Ma non può farlo dal Foglio di Giuliano Ferrara. Più che per il comune senso del pudore, che se non c'è non c'è, per il primo principio della logica, il principio di non contraddizione. Insomma, da quel pulpito lì non c’è cristo che tenga che possa scagliare la prima pietra, e nemmeno la seconda. E amen. Però si può capire il concetto di Sofri, nel senso che, nonostante il suo editore Berlusconi e il suo amico Ferrara in questi anni avessero in mano l'Italia, Travaglio li ha torchiati a dovere. Non soddisfatto, il 27 luglio Sofri pubblica un articolo sull'Unità («Cattivi pensieri», titolo quanto mai adeguato, forse per far dimenticare a Furio Colombo la cortesia che il Foglio gli usava quando definiva l'Unità un giornale omicida), assai poco evangelico di lessico e piuttosto sconnesso di contenuti che va dalle insolenze rivolte ai contrari all'indulto («contestatori per rendita» la cui indignazione è «pretestuosa e demagogica»), a una breve arringa a favore del caso Previti, allo sbeffeggiamento del licenziato Santoro (senza farne il nome) perché canticchiava Bella Ciao ma invece di andare in montagna era andato da Celentano, e infine una difesa mica male del berlusconismo, perché «non occorreva coraggio per opporsi al centrodestra, non pendevano la galera o l'esilio o le bastonate sui dissidenti» (sic). Provvedimenti cui si spera Berlusconi non presti orecchio nel caso che ritorni al potere, come quando l'avvocato Previti promise che in caso di vittoria non avrebbero fatto prigionieri.
Ma a questo proposito avrei qualcosa da dire. Forse, come sottolinea Sofri, non occorreva coraggio per opporsi al centrodestra, ma in compenso si poteva prendere paura, e non tutti avevano voglia di prendersi paura. Faccio osservare a Sofri che quando il suo amico Ferrara, con grande iattanza, si vantò di essere stato un delatore della Cia negli anni Ottanta, all'epoca in cui insieme facevano Reporter, e io osai stupirmi sull'Unità del fatto che nessuno si fosse stupito, parendomi ciò il segno di un Paese impaurito, il Ferrara uscì con un articolo in cui si diceva così: «Attenzione, se un giorno mi ammazzeranno, i mandanti linguistici sono Furio Colombo e Antonio Tabucchi in concorso fra di loro». E poi invitava qualche sconosciuto «a metterci una pezza». Probabilmente a Sofri una cosa del genere non fa nessuna impressione, perché forse fra di loro si usa così, ma a me, lo confesso, non piacque punto, soprattutto la faccenda che qualcuno ci dovesse «mettere una pezza», con tutta la gentaglia che c'è in giro. Anche perché, e questo Sofri lo capirà bene, un libero cittadino ha il telefono e riceve posta, non è come in galera dove da certe cose sei protetto tuo malgrado, perché il telefono non c'è e la posta te la filtrano.
Quanto a Travaglio, non gli mancano certo le parole, e ha replicato da par suo sull'Unità del 29 luglio, spiegando che le notizie da lui fornite, che Sofri definiva «falsità indegne e ciniche», sono assolutamente autentiche e non smentibili. Di che cosa si è dunque reso “reo” Marco Travaglio? Di aver intervistato l'avvocato Bonetto, parte civile per le vittime da amianto della multinazionale svizzera Eternit, il quale si è visto interrompere le trattative per il risarcimento alle vittime. È raro che all'omicidio colposo si possano dare più di tre anni di carcere. I responsabili dell'Eternit sanno di cavarsela e dunque non pagano più. (E a Bonetto, Travaglio non «fa dire», come vorrebbe Sofri: è Bonetto che dice). Travaglio non solo ha un archivio, ma anche un magnetofono! direbbe allarmato il Bobo di Staino. E che la notizia fornita da Travaglio sia la sacrosanta verità, lo confermo io. Anzi, lo testimonio. Ritengo di meritare totale credibilità in qualità di testimone. C’è qualcuno che mi vuole smentire?
esattamente come pensavo, gli addetti ai lavori come il giudice d'ambrosio sanno perfettamente che questo indulto non è stato fatto per gli emarginati ma per ben altro.
non si possono mettere in libertà contemporaneamente migliaia di persone detenute, in pieno agosto, con i servizi sguarniti di personale, per le ferie, senza aver minimante predisposto dormitori, fondi di reintegro sociale per chi non ha mezzi di sostentamento, sert e comunità per gli alcoolisti e i tossicodipendenti, è un atto molto plateale, di grande risonanza pubblica, ma disumano.
vi pubblico quanto ho preso sul sito del gruppo abele oggi , pubblicato solo il 3 agosto e perciò una settimana dopo la data di approvazione dell'indulto:
Per assistere i detenuti che hanno usufruito dell'indulto e non sanno dove andare, il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha convocato per lunedì pomeriggio le associazioni di volontariato. Fra queste, il Cnca, il Gruppo Abele, la Caritas, l'Arci. Il ministro ha ricordato che domani prima del Consiglio dei ministri si incontreranno i responsabili dei dicasteri coinvolti nella materia, "proprio per affrontare" i problemi successivi all'indulto. "E' indubbio - ha detto il ministro Ferrero - che ci siano persone che sono uscite e non hanno alcun punto di riferimento. Voglio ragionare con le associazioni e attivarci immediatamente per creare una rete di sostegno. Vogliamo - ha precisato - che chi esce non sia solo e non rischi così di ritornare a delinquere.
questo è quello che hanno cercato di dirci il giudice d'ambrosio e caselli.
giustizialisti anche loro?
caro sofri , se tu hai la coscienza sporca da lavare e hai bisogno di sentirti gratificato dall'aiutare i poveri disgraziati che delinquono per sopravvivere e non hanno avuto la fortuna di essere nati con la tua intelligenza, con i tuoi mezzi, con le tue amicizie, non è questo l'aiuto giusto che potevi offrire loro, è ben altra la strada che si deve percorrere per evitare che si compiano delitti per campare.
prima di tutto trovare un letto, cibo decente e soldi all'uscita di carcere!
previti e gli amici del quartierino, invece, hanno contribuito non poco, con i loro servigi, a impoverire le casse di quei servizi che oggi avrebbero potuto aiutare quelli che ipocrita-mente oggi dici ci difendere.
essere di sinistra significa offrire dignità di esistenza e non carità pelosa di un piatto di minestra in coda ad una charitas.
maria
Quanto mi piace leggere articoli così...
Bravo Tabucchi!
E bravo Alberto che li posta!!!