Ghetto o sicurezza: Padova si blinda dietro al «muro»
Il degrado di via Anelli: gli immigrati, lo spaccio e l’esasperazione degli abitanti.
La sinistra alla prova
di Susanna Ripamonti
DICIAMO SUBITO che il cosiddetto «muro» è l’ultimo dei problemi del ghetto padovano di via Anelli, piaga incancrenita, che da almeno 15 anni esiste, nella sostanziale indifferenza delle giunte locali che si sono alternate al governo della città.
È una brutta barriera
di lastroni metallici, che sostituiscono e rappezzano una rete con tanto di filo spinato, innalzata una decina di anni fa dai bianchi indigeni e rafforzata dalla precedente amministrazione di centrodestra. Brutto e simbolicamente inaccettabile, perché un muro, per quanto fragile e permeabile, è il segno inequivocabile della separazione e della ghettizzazione. E soprattutto è inutile, perché dovrebbe servire a facilitare il controllo e la repressione dello spaccio di droga, che ovviamente si è già trasferito altrove (l'altra notte c'è stata una rissa nella zona del «Piovego») e perché scavalcarlo è un gioco da ragazzi: gli abitanti del ghetto, nigeriani e nord-africani, hanno già messo comode scalette per passare da una parte all'altra.
Per la giunta di centro sinistra che si è insediata da due anni, la soluzione non è il muro, ma l'abbattimento del ghetto, spiega il vice-sindaco Claudio Sinigallia. Tre delle sei palazzine a quattro piani, totale circa 600 appartamentini di 27 metri quadri ciascuno, sono già state sgomberate e i residenti sono stati trasferiti in abitazioni sparse per la città. La quarta verrà sgomberata entro l'anno e a fine 2008 la bonifica dovrebbe essere ultimata. Marco Carrai, assessore alla polizia municipale, dice che «la recinzione è solo una soluzione contingente» per evitare che gli spacciatori e i loro clienti sconfinino nella zona limitrofa: villette abitate da gente esasperata, che da troppo tempo subisce un degrado incontenibile.
Padova fornisce droga a tutto il Nord-est, ma in via Anelli ci sono solo i pesci piccoli: dall'estate scorsa la polizia ha fatto 22 blitz, 149 arresti, sequestrando in tutto cinque chili tra hashish, marijuana, eroina e coca: è chiaro che il problema non inizia e non finisce qui. Andrea, operatore sociale del Comune, spiega quello che gli ha raccontato un ragazzino magrebino: «Mi ha detto che lui fa solo il palo, avvisa quando arriva la polizia e per questo porta a casa 350 euro al giorno». Decisamente più remunerativo del lavoro nero nei cantieri.
Daniela Ruffini, assessore alla casa e all'immigrazione ci guida all'interno del ghetto. Il quartiere «La Serenissima» nacque negli anni '80 quando Padova, città universitaria, scoprì il business delle case per gli studenti. Quegli appartamentini erano perfetti per ragazzi che avrebbero trascorso i 5 anni degli studi nella città di Giotto. Poi, dopo la laurea i genitori che li avevano comprati per loro, li hanno affidati a immobiliari e un po' alla volta alla popolazione universitaria si è sostituita quella immigrata. Gli esosi padovani chiedono affitti che vanno dai 400 ai 1000 euro, spiega Ruffini e l'operazione di bonifica è rallentata dai loro ricorsi al Tar. «Appena svuotiamo una palazzina dobbiamo agire in tempi record per evitare che blocchino tutto. Per questi appartamenti, degradati e inutilizzabili, vogliono 70 mila euro. Noi siamo disposti a pagarli a prezzi di mercato, poco meno della metà e qui si incaglia tutto». Carrai mostra le cantine trasformate in fogne maleodoranti, che si intravedono attraverso le grate del cortile. Gli scarichi dei gabinetti sono spesso ostruiti, i padroni di casa incassano i quattrini dell'affitto, ma non si sono mai occupati della manutenzione. Per far fronte agli affitti, in appartamenti angusti per una sola persona, si sono ammassate intere famiglie che condividono lo spazio. A casa di Robinson, nigeriano, muratore, manca l'aria. Jerry è considerato il sindaco della «Serenissima». Nel suo appartamento vivono in quattro e il profumo del bucato non riesce a coprire il tanfo nauseante che arriva dalle scale: «L'unica speranza - dicono - è andare via di qui. Aspettiamo che il Comune ci trovi una casa». Nell'attesa dividono un affitto di 600 euro al mese. Malek, presidente dell'associazione culturale Rahma è l'imam della moschea che occupa un piano terra e che il 26 luglio è stata devastata dai nigeriani: «Nessuno scontro di religione - spiega - anche i nigeriani al 90% sono musulmani. Era una vendetta contro gli spacciatori di droga nord-africani, attuata colpendo il simbolo più importante per la nostra comunità. Poi sono venuti a chiederci scusa e noi abbiamo perdonato, perché così insegna la nostra religione». Però non si parlano e nel cortile occupano spazi ben separati.
Con gli assessori si può girare liberamente, ma da soli no. La polizia (una trentina di uomini per ogni turno, distribuiti ai tre accessi del ghetto) più che sconsigliare, proibisce il contatto tra giornalisti e immigrati. «Lo facciamo per la vostra incolumità» dicono premurosi. Eppure sembra abbastanza improbabile che in una gabbia recintata e presidiata dalle forze dell'ordine anche il più irascibile degli immigrati possa tentare un'aggressione. Un giovane marocchino di Marrakesh è seduto in terra e parla, malgrado la presenza di un poliziotto che controlla e ascolta come nel parlatoio di un carcere: «Le sembra una bella cosa quel muro? Non siamo delle bestie».
Per raggiungere la zona libera del quartiere, quella in cui vivono i «bianchi» bisogna girare tutto intorno, superare tre sbarramenti fatti con le transenne di cemento che vengono normalmente utilizzate in autostrada. Al di là del muro la gente alla finestra indica i buchi nell'inutile recinzione, spiega che anche nella notte appena trascorsa si sono arrampicati. Come gatti? «No, come scimmie. Ma noi non siamo razzisti» dice la signora Trevisan, che cerca di zittire il Boroli, uno che non tenta nemmeno di ostentare tolleranza: «Bisogna cacciarli, spedirli al loro paese, ma non in aereo: con una barca di legno e quando arrivano dove il mare è più profondo, annegarli». La signora Trevisan si dissocia. Un'altra, dai piani alti, urla. «Anche stanotte non abbiamo chiuso occhio». Il muro di ferro è diventato uno strumento micidiale per dar voce alla protesta degli abitanti del ghetto: lo hanno preso a randellate fino a stancarsi le braccia.
E in tutto questo il governatore regionale Giancarlo Galan strepita che il muro è una vergogna, dimenticandosi che il ghetto, che sta dietro al muro è la vera sconcezza. Paolo Manfrin del comitato di quartiere dei residenti gli risponde a distanza: «Polemiche sterili, quel muro lo abbiamo voluto noi e le giunte di centro destra non hanno fatto niente per risolvere la situazione. Questi almeno ci stanno provando e hanno già sgomberato tre palazzine».
Che situazione del cavolo, a Padova è successo proprio ciò che sarebbe necessario evitare, la ghettizzazione, lo sfruttamento dei proprietari di immobili, l'intolleranza.
Ed alla fine sono riusciti a fare anche un'apartheid all'italiana...:-(
ricordo l'amministratore unico dell'intero complesso, quello che faceva da intermediario tra i 'paroni' delle case e gli inquilini: macchinone extralusso e catene d'oro al collo.
si faceva pagare affitti d'oro e non faceva fare nessuna riparazione: risultato, niente riscaldamento, niente acqua calda...
io ero li' a una manifestazione con Moni Ovadia, razzismo stop e vari altri cani sciolti. guardavamo l'amministratore non credendo ai nostri occhi. come poteva circolare impunemente un tipo cosi'???
...poi l'hanno messo dentro.
inutile dire che i paroni che fanno i soldi ammassando la gente come galline sono tutti locali italiani. gli stessi che strepitano contro 'l'immigrazione'.
dopo anni di giunta di destra in cui non si e' fatto nulla - se non fare retate a tappeto e grande esibizioni muscolari di elicotteri in volo sulla zona durante la notte, continuamente abbattendo le porte dei vari appartamenti etc etc.
adesso da vari mesi si e' provveduto a parcellizzare le presenze sul territorio comunale, offendo altre case in affitto ai molti regolari.
il fatto che i padroni si oppongano fieramente alla soluzione del problema e' scontato. senza immigrati da sfruttare i loro lauti guadagni vanno a farsi benedire.
il fatto che la destra accusi l'attuale giunta e' invece patetico.
è veramente terrificante che una giunta di centrosinistra abbia un'insensataggine tale da fare una cosa del genere...perdonatemi ma questo inizia ad essere un problema serio per tutto il nord a prescindere dalla schieramento politico, la questione razziale e la questione dei migranti sono cose di cui si parla con poca determinazione e con molta demagogia, la sinistra non può permetterlo
C'è una demagogia di Sinsitra, una sorta di falso garantismo (che finisce nell'indulto pro-ladri dai colletti bianchi) unito al buonismo che direbbe che una giunta di Centro-Sinistra non può fare azioni contro la malavita, se la malavita è extra-comunitaria, una sorta di razzismo al contrario insomma.
A parte questa demagogia vediamo come risolvere il problema della criminalità in modo pragmatico.
Soluzioni possibili del problema di via Anelli:
1) il "rinforzo della recinzione" tramite lamiere d'acciaio non ha funzionato, gli spacciatori sembra che saltino il muro. Va costruito un muro più alto, possibilmente in cemento armato (appaltiamo la costruzione agli Israeliani);
2) il principio del muro è corretto, solo che è errato chi deve contenere. Bisogna tornare al Medioevo, le mura della città devono contenere i cittadini onesti e fuori la feccia, dannati Savoia che nell'Ottocento abbatterono le mura storiche delle città d'Italia.
3) il muro non basta, va vigilato e se uno spacciatore o un magnaccia viene preso al check-point lo si arresta e tiene in galera;
Ops, la soluzione 3, ma certo, se si arrestassero gli spacciatori e i magnaccia e poi li si tenesse in galera, beh forse non serviva neanche costruire il muro.
Lapalissiano: effettivamente il muro non è la soluzione, basterebbe la LEGALITA'.
MA CHE CAVOLO DITE. CHI CAZZO VOLETE METTERE IN GALERA. IN GALERA NON CI VA NESSUNO IN ITAGLIA
Leggere di questa storia mi aveva subito fatto suonare un campanello d'allarme: tutti lì a paragonarlo al Muro di Berlino e io che non capivo il perchè; piuttosto -ho pensato- lo paragonerei al "cosiddetto muro" che lo Stato di Israele ha eretto al confine con i territori sotto il controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese.
Oggi il Sindaco di Padova rilascia un'intervista a Repubblica e sembra quasi rispondere ai miei pensieri: "prima di tutto smettiamo di chiamarlo muro perchè si tratta di una recinzione di lastre di metallo che nulla hanno a che vedere con il muro di Berlino o addirittura con il muro che gli israeliani stanno costruendo attorno ai territori palestinesi". Probabilmente Zanonato non lo sa, ma se parli con i politici e gli intellettuali israeliani più vicini alla sinistra (quelli, per capirsi, che nulla hanno da obiettare sull'idea di separazione fisica temporanea tra Israele e Palestina e che in alcuni casi -non sempre- si limitano a contrestarne il tracciato deciso da Sharon), se parli con queste persone e chiedi loro cosa pensino del muro ti sentirai subito dire "first of all, it isn't a wall but a fence": non è un muro, ma una recinzione. Prima -curiosa- analogia.
Dopo aver provato a respingere la similitudine con il muro (pardon, la recinzione) israeliana sulla base di una motivazione nominalistica, Zanonato prosegue cercando una differenziazione più sostanziale, parlando dello scopo per cui è stata eretta: "è solo una barriera che impedisce agli spacciatori e ai loro clienti di vendere e comprare droga sotto le finestre di cittadini che hanno diritto a tranquillità e sicurezza". Evidentemente Zanonato se lo scorda, ma la recinzione (io preferisco muro, ma fa lo stesso) costruita da Israele ha il solo scopo di impedire ai kamikaze di farsi esplodere -per usare le parole di Zanonato- sotto le finestre di cittadini che hanno diritto a tranquillità e sicurezza. Seconda -tragica- analogia.
Zanonato infine rassicura tutti, dicendo che entro un anno sarà rimossa la recinzione. E qui purtroppo le analogie finiscono, perchè a Padova un anno probabilmente sarà sufficiente, mentre temo che per una soluzione che consenta di rimuovere il muro tra Israele e Palestina ci vorrà molto più tempo. Prima infatti bisognerà sconfiggere avversari ben più potenti della malavita organizzata: odio, intolleranza, razzismo, paura.