Regime sì, regime no: più dubbi meno certezze
Caro direttore,
leggo sull'Unità dell'11 agosto la lettera di Giuseppe Alù che rimprovera Sofri di essere «rimasto un po' indietro» perché contesta Fulvio Colombo nella sua definizione di berlusconismo come «regime», da lui (Sofri) materializzata «con la pratica della violenza fisica». Ognuno ha le sue idee, voglio solo osservare in linea generale che dobbiamo stare attenti a non riprodurre la vecchia impostazione (stalinista, per quello che ci riguarda come ex-Pci) di ragionare per analogie. La parola «regime» ha vari significati, per esempio la scuola medica salernitana lo poneva alla base della prevenzione delle malattie usandola in senso buono, come sinonimo di «dieta»; abbondano gli storici che definiscono «regime» cicli politico-istituzionali di segno diverso, dall’ancien régime pre-Bastiglia (vedi Tocqueville) ai «regimi» democratico-liberali italiani dell'era post unitaria, ai governi dei paesi dell'est e di Cuba, alle esperienze welfariane europee post-1929, tutti diversi l'uno dall'altro, ma accomunati dall'uso della parola regime come «regola». In questo senso in Italia viviamo in un regime democratico. Regime è parola che non vuol dire niente nella misura in cui vuol dire tutto: se si estende troppo il concetto non ci si capisce più, ed è per questo che auspico un approccio «scientifico» alla terminologia, nel senso che dalla scienza impariamo che le parole che definiscono un fenomeno devono avere un significato univoco in cui si riconosca la stragrande maggioranza delle persone che vogliono colloquiare. Se vogliamo capirci, dobbiamo restare su un terreno politico-scientifico: il «regime» per antonomasia in Italia è quello fascista, cioè del ventennio fascista, con le caratteristiche di violenza fisica che conosciamo (confino, bastonature, carcere politico...). Fenomeni che in Italia non ci sono più dal 1945, salvo tentativi perseguiti talvolta con parziali successi da chi ha governato il Paese dopo la Resistenza. Il governo di Berlusconi va combattuto, e le sue radici estirpate, non per essere stato «regime», ma per atti e risultati specifici e concreti, per altro riscontrabili (non per giustificarli, tutt'altro) nella prassi di tanti altri governi a regime democratico, dagli Stati Uniti alla Francia alla Gran Bretagna per non fare nomi. Colgo l'occasione per ricordare che Adriano Sofri vive in carcere ma merita anche lui quelle espressioni garbate cui ha giustamente diritto Furio Colombo. Suggerirei poi, dall'alto dei miei 75 anni, di coltivare le proprie idee con meno certezze e con più dubbi.
Gianni Barro, Perugia
Regime allora è anche questo attuale, in particolare mi riferisco al regime imperialista imposto da padoa-schioppa, vedi a questo proposito:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=2406&mode=thread&order=1&thold=0
Beh, se lo dice Sofri che il regime è dove c'è violenza, essendo stato l'ideologo di un movimento (Lotta Continua) che ammazzava e si autofinanziava con le rapine...
Perchè ascoltiamo ancora questi cattivi maestri?
Il primo obiettivo della Sinsitra dovrebbe essere censurare Sofri e non farlo parlare.