L’ex ministro degli Esteri dell’Anp: aspettiamo da tempo una soluzione simile a quella trovata per il Sud Libano
«Quando i caschi blu anche nella Striscia di Gaza?»
di Umberto De Giovannangeli
«Quindicimila caschi blu verranno dislocati nel Sud Libano. Bene, se questo può servire a garantire l'integrità territoriale del Libano e la sicurezza ai confini con Israele. Ma cos'altro deve accadere perché la Comunità internazionale, e in primo luogo Stati Uniti ed Europa decideranno di inviare una forza di interposizione anche a tutela del popolo palestinese? O la sofferenza dei civili di Gaza, delle donne, dei bambini palestinesi ha meno valore delle altre? La guerra in Libano non deve far dimenticare che c'è un popolo, quello palestinese, che continua a vivere sotto occupazione e in condizioni disperate».
A ricordarlo è Nabil Shaath, già ministro degli Esteri e vice premier dell'Autorità nazionale palestinese, uno degli artefici di quella «diplomazia sotterranea» che portò al reciproco riconoscimento fra Israele e l'Olp e alla firme degli accordi di Oslo-Washington (settembre 1993). «Bene ha fatto il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema quando ha incontrato a Roma il presidente Abbas (Abu Mazen, ndr.) - rileva Shaath - a ribadire che quella palestinese resta la questione tra le questioni irrisolte in Medio Oriente».
Dopo il governo di Beirut, anche quello di Gerusalemme ha approvato la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco in Libano. Qual è la sua valutazione?
«Ritengo che Israele si sia reso conto che può pretendere di fondare la propria sicurezza solo sulla forza del suo esercito. Al contempo questo devastante mese di guerra ha evidenziato come l'unilateralismo non paga, soprattutto quando esso si fonda sulla delegittimazione della controparte. Questo vale per il Libano come per la Palestina. Israele deve rendersi conto che minare la credibilità e la legittimazione di una leadership pragmatica, ma non succube, creato un vuoto di direzione che alla fine viene riempito da forze radicali, oltranziste: è il caso di Hezbollah in Libano e di Hamas nei Territori».
Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata approvata all'unanimità una risoluzione che impegna la Comunità internazionale sul fronte israelo-libanese. Non è un segnale importante anche per i palestinesi?
«Vede, le risoluzioni oltre ad essere scritte e votate vanno anche applicate. E questo non sempre accade, soprattutto quando le risoluzioni impegnano Israele. Noi palestinesi ne sappiamo qualcosa di risoluzioni - la 242, la 338 e altre ancora - approvate all'unanimità ma rimaste lettera morta. Risoluzioni che stabilivano un principio ancora oggi del tutto valido: quello della pace in cambio dei Territori arabi occupati. Oggi Stati Uniti ed Europa si ritrovano assieme nell'impegno a applicare al risoluzione 1701 sul campo, anche attraverso una forza di interposizione di quindicimila uomini. Mi chiedo perché la stessa determinazione e un impegno analogo non debba manifestarsi anche nei Territori».
Ciò che chiede è una forza di interposizione nella Striscia di Gaza?
«Non siamo solo noi palestinesi ad avvertirne l'urgenza. In questo senso si è espresso chiaramente e a più riprese anche il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema e altri leader europei. Una forza di interposizione può aiutare a ristabilire la calma e creare le condizioni per la ripresa di un serio negoziato di pace».
Al quale associare anche Hamas?
«A questo stava lavorando Abu Mazen prima del precipitare della situazione. La base di un accordo esiste ed è rappresentata dal "documento dei prigionieri" (elaborato da leader di Al Fatah e Hamas detenuti nelle carceri israeliane, ndr.). Una evoluzione politica di Hamas è nell'interesse di tutti, anche di Israele».
La guerra in Libano ha oscurato la situazione nei Territori.
«Una situazione che si aggrava di giorno in giorno. I palestinesi uccisi dall'esercito israeliano nell'ultimo mese sono stati oltre 160, la stragrande maggioranza civili. A Gaza oltre un milione di palestinesi vivono in condizioni disastrate, in una emergenza umanitaria a cui fino ad ora non è stata data risposta. Ma una risposta va data e per ragioni politiche e non solo umanitarie. Senza una giusta soluzione della questione palestinese - e una pace fondata su due popoli, due Stati - il nuovo Medio Oriente non potrà mia vedere la luce».
Va bene mandiamo altri 10.000 soldati italiani anche in palestina, anzi andiamoci tutti e facciamola finita. Ci vado anch'io così almeno non avrò più il problema di visite mediche che non arrivano mai e la preoccupazione dell'affitto che fatico a pagare con la mia pensione di merda.
Cristo santo. Ma che cavolo volete ancora? Il vostro Arafat è morto con un patriminio in miliardi di dollari mandato dai nostro governi e che sarebbero dovute essere distribuiti a voi; ne volete ancora? Ma lasciate che Israele vi paghi e piantatela con sta cazzo di guerra. Anche a ma fanno pena donn, vecchi e bambini che ci lasciano la pelle. Prendetevela con i vostri capi che la pace non la vogliono e lasciateci morire in pace nel nostro brodo
Buona giornata, sul mio blog sto cercando di realizzare un incontro tra persone diverse per un concreto dialogo sul rapporto con la cultura islamica, L'Islam, la cultura italiana e la sua dimensione religiosa e civile.
Ho realizzato alcune interviste che reputo interessanti (Magdi Allam, Hamza Piccardo, Palazzi). Spero possiate essere miei ospiti e contribuire a questo dialogo, che reputo sempre più indiispensabile.
cordialmente
don paolo padrini