«Guerra sbagliata, accuso il governo del mio Paese»
di Umberto De Giovannageli
«LA SOCIETÀ ISRAELIANA non esce rafforzata da questo conflitto. E il maggiore responsabile è il governo, dimostratosi assolutamente inadeguato a far fronte a una situazione del genere. Quando il fumo della battaglia si sarà dissolto, Olmert e Peretz
dovranno dar conto al Paese del loro operato». A lanciare questo appassionato e argomentato j'accuse è uno dei più affermati scrittori israeliani contemporanei: Meir Shalev. «Il mandato morale che avevano avuto dall'opinione pubblica israeliana e di buona parte di quella mondiale - sottolinea Shalev - era di colpire Hezbollah distruggendone le infrastrutture nel Sud Libano e non di distruggere il Libano trasformando la guerra contro un'organizzazione terroristica in una guerra contro un popolo». «Non si tratta solo di impreparazione: questo governo ha mostrato insensibilità nei confronti degli strati più deboli della popolazione, quelli destinati - come è avvenuto - a subire le conseguenze più disastrose della guerra. Ed è ancor più grave che a dimostrare questa insensibilità sia stato un leader della sinistra, Amri Peretz, che pure aveva fatto della pace e della giustizia sociale gli assi portanti del "nuovo" partito laburista».
Questa guerra percepita come «senza scelta» sembrava avere riunito l'opinione pubblica israeliana. Ma già si intravedono le prime brecce a questo muro di unitarietà. Come esce la società israeliana dalla guerra?
«Purtroppo, la società israeliana non esce rafforzata da questo conflitto. E il maggiore responsabile di questo è il governo il quale, proprio come ha fatto in tempo di pace, anche in periodo di guerra non ha saputo preoccuparsi veramente dei suoi membri più deboli. In situazioni simili nel passato Israele aveva saputo mettere in moto quegli ingranaggi organizzativi che assicuravano lo sgombero e l'incolumità di civili in pericolo; ci è riuscita perfino quando ancora non esisteva uno Stato. Questa volta invece, lo sgombero dei civili sotto il fuoco dei razzi dei Hezbollah è stato fatto tardi e malamente. Per molti, questo fallimento è da imputare a impreparazione e disorganizzazione, ma io temo che si tratti soprattutto di insensibilità nei confronti degli strati più deboli della popolazione. Una insensibilità della quale il governo dovrà rendere conto quando il fumo della battaglia si sarà dissolto».
Molto si parlerà delle ricadute politiche di questa guerra, che ha forse messo allo scoperto l'inesperienza del neo-governo di Olmert. Quanto ha influito questo elemento sul corso del conflitto?
«Più che l'inesperienza, penso siano spiccate le carenza di capacità dei nostri leader. Non hanno semplicemente saputo fare il loro lavoro: né dal punto di vista strategico, e perfino tatticamente sono stati fatti - a mio parere- grandi errori. Non dico qui niente di nuovo, perché sono stato critico nei confronti di questa guerra sin dai primi giorni. Una reazione all'attacco di Hezbollah era dovuta, ma doveva essere diretta contro questa organizzazione e non contro tutti i libanesi. La decisione di distruggere infrastrutture libanesi e di coinvolgere anche noi i civili nel turbine della violenza, è stato un grave errore. L'esercito, come sempre succede in situazioni belliche, ha probabilmente spinto verso soluzioni militari, e qui sì - forse - ha approfittato dell'inesperienza delle due figure centrali, il primo ministro Olmert e il ministro della Difesa Peretz. Ma questo non assolve i due dal non aver saputo controllare i venti di guerra che venivano dall'esercito che, irresponsabilmente, ha fatto credere loro che il tutto poteva essere risolto con attacchi aerei, facendo balenare la possibilità di risparmiare le vite di molti soldati. No, mi dispiace, ma dovevano capire che la legittimazione e il mandato morale che avevano ricevuto dall'opinione pubblica israeliana e di buona parte del mondo, era di colpire Hezbollah distruggendone le infrastrutture e gli armamenti nel sud del Libano. Tanto i libanesi stessi quanto il mondo intero, sarebbero stati grati a Israele e l'avrebbero appoggiato fino in fondo nella sua guerra contro i terroristi fanatici di Hezbollah, ispirati e armati dall'Iran».
Quell'Iran, che è stato sullo sfondo di questa guerra tanto da far dire che non si combatteva la Seconda Guerra con il Libano, ma la Prima Guerra con l'Iran. Che futuro ci si può aspettare da questo nuovo fronte contro Israele?
«Qualcuno parla di aprire una trattativa con l'Iran. E su che cosa dovremmo trattare? Sull'odio viscerale e inspiegabile verso Israele? Sulla loro ferma intenzione di cancellarci dalla faccia della terra?».
E dagli altri attori del conflitto, che cosa ci si può aspettare? È lecito sperare che dalle macerie nasca una nuova iniziativa per la soluzione del conflitto fra Israele e il mondo arabo?
«Sia prima della guerra che anche in questi giorni, almeno sul piano delle dichiarazioni, l'intenzione di compiere ulteriori passi verso la soluzione del conflitto, esiste. Anche ieri il ministro della Difesa Peretz ha sostenuto apertamente che nell'ambito delle trattative per la fine della guerra, ci si possono aspettare sviluppi nella direzione di Libano e Siria. Certo è che anche per chi - come me - vorrebbe vedere realizzarsi uno scenario di pace giusta per tutti anche subito- è molto difficile concepire queste dichiarazioni come qualcosa al di là del dichiarativo. E purtroppo, così sarà finché la Siria non accetterà un ruolo positivo e non di sostegno al terrorismo e fin quando il Libano non inizierà a comportarsi da Stato sovrano, prendendosi le responsabilità che conseguono da tale status. A cominciare dal disarmo di Hezbollah».