Lobby e società civile
L'argomento merita una riflessione:
Galli della Loggia ha centrato un tema interessante, anche se ne dà un'analisi un pochino superficiale e qualunquistica. Affronterei la questione dalla base: esiste un "interesse generale"? Esistono cioè delle scelte, delle risposte ai problemi della società che siano "quelle giuste" per la società intera? Rousseau, i giacobini, i cattolici credono di sì; il pensiero liberale, e Marx, lo negano (e, si parva licet..., io sto da questa parte): ogni scelta può essere vantaggiosa per gli uni e dannosa per altri o comunque non ottimale. Se è così, è ammissibile, anzi, è moralmente lecito, che ogni gruppo sociale lotti per affermare la sua soluzione, la sua politica. Per Marx, ad esempio, il borghese non è immorale nel perseguire il suo interesse, è un avversario di classe, ma non è un "perverso". La politica trova il suo naturale sviluppo nel conflitto degli interessi contrapposti; la democrazia rappresentativa ci dà lo strumento per ricondurre il conflitto nell'ambito di norme condivise che ne limitano l'intensità e la violenza; la composizione "vettoriale" delle diverse spinte definisce la soluzione che si avvera.
Tutto questo non significa che ciascuno sia costretto a seguire ciecamente e illimitatamente il suo "interesse di gruppo"; anzi, vedo due classi di limiti ad un'interpretazione troppo consequenziale della teoria del conflitto.
Ho già sfiorato la prima: ogni sistema politico si fonda su un insieme di regole di base che ne permettono il funzionamento. In questa classe rientrano le Costituzioni, ma anche vincoli culturali più informali ma condivisi, per i quali certi comportamenti sono ammessi, altri no. Rapinare banche non è ammesso, ma neanche influenzare i giudici o gli arbitri (io non inviterei Previti o Moggi a casa mia, neanche se li avessero assolti per qualche formalismo processuale). Incidentalmente, ciò spiega anche la efficacia e la pericolosità di politici che applicano comportamenti "border line" e in un certo modo "testano" l'applicazione di mezzi che fino ad allora erano considerati "out": Berlusconi, Bossi, ma anche Pannella. Il riconoscimento del primo limite si fonda in realtà su un tipo di razionalità "ad utilità differita": ogni gruppo sociale rinuncia a "rapinare banche" perché tutti valutiamo che, nel complesso, l'esistenza di regole ci migliora la vita, anche se ci inibisce talvolta comportamenti utili nell'immediato.
Il secondo limite riguarda il comportamento dei singoli; è assolutamente possibile che alcuni agiscano in contrasto con gli interessi economici o di potere del proprio gruppo sociale: intellettuali e aristocratici che si pongono a "servire il popolo", fanatici fascisti di estrazione proletaria che operano come strumento degli agrari, ecc. Mi pare che ciò si spieghi facilmente se pensiamo che i fattori ideologici per il singolo possono avere più peso di quelli economici. La prevalenza della struttura sulla sovrastruttura sarà vera a livello di classi, ma certo non è sostenibile per i singoli individui.
Come si vede dunque, non nego affatto che "qualcuno possa fare qualcosa perché la ritiene utile e non averne un tornaconto diretto, immediato e personale". Fra questi “qualcuni”, ci sono coloro che si danno la missione speciale di difendere il rispetto delle regole condivise, la legalità; in quanto tali, in un certo modo non parteggiano per nessuno, sono come gli araldi nei tornei medioevali che imponevano solo il rispetto delle regole cavalleresche. Ma poi basta; esistono "regole di tutti", non esistono "soluzioni di tutti": lecito cercare di far pagare più tasse ai ricchi per aver più servizi sociali, ma altrettanto lecito cercare di tagliare le spese pubbliche per pagare tutti di meno; lecito sostenere il corridoio 5 quanto proteggere l'ambiente della Val di Susa. Non esistendo una "soluzione giusta" non può esistere neanche una "società civile" che la conosce e la applica. Invece, portatori degli interessi dei diversi gruppi sociali sono le forze politiche in contrasto, i sindacati, i movimenti e (diciamola, la parolaccia!) i Partiti. Molto meglio che si chiamino così, che i Partiti agiscano con trasparenza per gli interessi sociali che difendono, piuttosto che abbandonare le rappresentanze di quegli stessi interessi a lobby opache e ipocrite, a "giornali partito", a "salotti buoni" e "poteri forti".
Non concordo con Galli della Loggia: la "società civile" non ha mancato ai suoi compiti perché la società italiana è irrimediabilmente corporativa, viziata da "familismo amorale". No, quei pretesi compiti sono solo un mito, che è stato usato strumentalmente (e con molto successo!) dalle destre per imporre o rafforzare il proprio predominio intellettuale, il "pensiero unico" degli anni '90.
Non a caso, il concetto si appaia ad una grande diffidenza verso l'opera dello stato, alla svalutazione dell'economia e dell'industria pubblica, alla ingegneria costituzionale che ha rafforzato gli esecutivi contro i consigli legislativi. Poiché mi diletto di leggere un po' di storia, indulgo a compiacermi di qualche considerazione storico-comparativa: "ma questi sono i temi cari alla Destra storica dell'Ottocento, poi a Sonnino! sono i temi dei qualunquisti e dei poujadisti, poi dei gollisti! (Ovviamente senza trascurare le notevoli differenze fra gli esempi che ho citato....). Bisognerà prima o poi riconoscere in sede storica che Bassanini e Mariotto Segni, Di Pietro e Travaglio fanno parte della storia della DESTRA italiana. Alt! Fermiamo i proiettili, non è un insulto: fanno parte di una destra rispettabile, a cui si può stringere la mano e con cui è giusto allearsi. Ma, per rispetto della verità, la loro classificazione politica deve essere individuata correttamente.
Come si vede, giudico logicamente non sostenibile il concetto di "partito degli onesti", che mi pare fosse di Berlinguer, (chissà cosa ne avrebbero pensato Gramsci o Lelio Basso o Lombardi. Non bene, immagino). Il concetto era sbagliato, ma è comprensibile la fortuna che ebbe a fine anni '80, insieme a quello occhettiano di “partito leggero”: la degenerazione degli apparati, la ipertrofia delle organizzazioni politiche, la criminale appropriazione di risorse a fini personali non erano più tollerabili. Sembrava che fosse al potere il “partito dei disonesti”.
Però, bisogna rendersi conto che, in questa situazione, è stato facile a chi ne aveva interesse spingere la società italiana "a gettare il bambino (il corretto e democratico funzionamento del sistema politico a tutti i livelli) insieme all'acqua sporca". Tra l'altro, l'effetto paradossale dell'approccio "partito degli onesti" è stato quello di favorire il riallineamento nel '94 di tutti gli interessi minacciati o che si credevano minacciati; e abbiamo avuto e abbiamo il fenomeno Berlusconi, che del rifiuto delle regole ha fatto l'ethos caratterizzante dei suoi seguaci.
Se gli interessi dei diversi gruppi non coincidono, è giusto che ciò si esprima correttamente anche nella rappresentanza politica, nel modo più corretto e democratico possibile. La composizione dei conflitti deve avvenire giorno per giorno e caso per caso, non attraverso forzature nei sistemi elettorali. Anche per questo, nel dibattito sui sistemi elettorali, credo che sia importante sostenere il ritorno ad un sistema proporzionale senza premi, vincoli, soglie artificiali di sbarramento che pretendano di semplificare a forza la complessità della società. E restituire all'elettore la libertà di indicare, attraverso la preferenza, da chi precisamente vuol essere rappresentato.