«Io riservista, in nome dei caduti voglio giustizia»
di Umberto De Giovannangeli
È l'animatore della rivolta dei reduci della guerra in Libano. È divenuto, suo malgrado, il simbolo di una generazione in divisa orgogliosa e ferita. Orgogliosa di difendere il proprio Paese da nemici che ne vogliono la distruzione. Ferita da una conduzione della guerra «assurda, incomprensibile, ingiustificabile». Ronny Tzvigenbaum è uno dei riservisti che ha organizzato l'altro ieri la manifestazione davanti al parlamento israeliano, nel cuore della Gerusalemme ebraica.
Ronny ha visto cadere attorno a sé diversi giovani commilitoni, alcuni dei quali hanno perso la vita negli scontri con i miliziani sciiti. «Sia chiaro - premette - nessuno di noi si illudeva che questa guerra fosse una passeggiata. Ma ciò che è accaduto, le perdite subite, non derivano solo dalle capacità di combattimento dimostrate dagli Hezbollah, ma sono soprattutto le conseguenze di una conduzione assurda, incomprensibile, delle operazioni sul campo da parte dei nostri vertici politici e militari».
Ora Ronny e i suoi compagni chiedono, esigono verità e giustizia. Hanno scritto in una lettera aperta che è un duro, dolente, argomentato atto d'accusa nei confronti dei vertici di Tzahal ma anche di quelli dello Stato ebraico: «Ai livelli sopra di noi - denunciano nella lettera i riservisti - c'era solo impreparazione, insincerità, mancanza di acume, incapacità di prendere decisioni razionali…».
Cosa vi ha spinto a questa clamorosa protesta?
«Un bisogno di verità. Lo dobbiamo ai nostri compagni che sono caduti sul campo di battaglia, lo dobbiamo a tanti ragazzi che dopo di noi saranno chiamati a combattere una nuova guerra. Vogliamo una risposta alla domanda che tutti coloro che hanno combattuto in Libano si portano dentro di sé: siamo stati chiamati per nulla?».
Il vostro atto di accusa nasce dall'esperienza direttamente vissuta sul campo di battaglia. Qual è la sua testimonianza?
«Prima di tutto occorre chiarezza su un punto: nessuno di noi si illudeva che questa guerra fosse una passeggiata. Sapevamo che dovevamo combattere in un territorio ostile, contro nemici bene armati e addestrati. Ciò che non potevamo mettere in conto era tutto il resto. E su questo chiediamo sia fatta piena luce e individuate le responsabilità».
«Tutto il resto», vale a dire la conduzione dell'offensiva da parte dei vertici politici e militari di Israele. La vostra denuncia in merito è molto pesante?
«Pesante è la condizione che ognuno di noi ha vissuto nei 34 giorni di guerra. Le parlo della mia esperienza diretta: non c'era una guida in battaglia e nessuno sapeva davvero cosa stessimo facendo. La mattina ci dicevano che dovevamo avanzare verso il villaggio "X", nel pomeriggio cambiavano idea e ci dirottavano verso il villaggio "Y". Ci impartivano degli ordini, salvo poi cambiarli mentre infuriava la battaglia con gli Hezbollah. Ci spostavamo a piedi senza informazioni sicure su cosa avremmo trovato sulla nostra strada. Non c'erano mappe dettagliate delle gallerie e dei bunker sotterranei realizzati in questi anni dagli Hezbollah nel Sud Libano, e così ci vedevamo spuntare da sottoterra alle spalle guerriglieri che facevano contro di noi un tiro al bersaglio. Per non parlare poi del fatto che restavamo per ore in territorio ostile senza combattere. Perché è potuto accadere tutto questo? Qualcuno ne è responsabile, e questo qualcuno deve rispondere della sua inettitudine».
Questo «qualcuno» è anche il primo ministro Ehud Olmert e il ministro della Difesa Amir Peretz?
«Non vogliamo una giustizia sommaria, ma chiediamo che sia istituita una commissione statale d'inchiesta con ampi poteri di indagine. Non ci presteremo a strumentalizzazioni politiche. Vogliamo solo che vengano accertate le responsabilità. Ad ogni livello».
Si è mai posto la domanda se questa guerra in sé, al di là della sua conduzione deficitaria, non fosse un errore?
«Non siamo dei robot pronti a combattere, spesso discutevamo tra di noi sul perché di questa guerra. Per quanto è stato possibile, abbiamo cercato di non coinvolgere i civili libanesi. Non so se dovevamo fermarci prima, quel che so è che siamo stati mandati allo sbaraglio. E questo non deve ripetersi mai più».
«Sia chiaro - premette - nessuno di noi si illudeva che questa guerra fosse una passeggiata. Ma ciò che è accaduto, le perdite subite, non derivano solo dalle capacità di combattimento dimostrate dagli Hezbollah, ma sono soprattutto le conseguenze di una conduzione assurda, incomprensibile, delle operazioni sul campo da parte dei nostri vertici politici e militari».
Parole sante, adesso mandiamo pure i nostri professionisti della pace, ma succedesse qualcosa non ci saranno lacrime, sono conapevoli di andare all'inferno.