Stiamo perdendo il treno
di Paolo Prodi
Nel numero di maggio della rivista MicroMega riprendendo precedenti articoli apparsi su l’Unità ho scritto che la gestazione del futuro partito democratico non può derivare da decisioni prese in sede di partito o in assemblee di singole associazioni o movimenti, ma deve partire da un organo costituente eletto con il sistema delle primarie, che assuma la responsabilità del processo e delle sue regole.
Un organo alla cui fondazione partecipino tutte le forze interessate, partiti politici e associazioni della cosiddetta società civile.
Ho avanzato quindi questa proposta molto concreta:
-la formazione di un comitato promotore di 15 persone (un numero che può essere rappresentativo delle varie culture ma abbastanza agile per essere operativo)
-le candidature per questo comitato sono presentate dalle forze politiche e dai movimenti che intendono partecipare alla nascita del Partito Democratico.
-i candidati ( personalità della politica, del mondo dell'impresa e del sindacato, della cultura) non devono rivestire attualmente nessun incarico di rilievo né a livello partitico né a livello istituzionale e soprattutto devono impegnarsi a non candidarsi per qualsiasi carica politica e istituzionale.
-le candidature così emerse sono sottoposte a primarie da tenersi il prossimo 14-15 ottobre nell'anniversario delle scorse primarie per la leadership dell'Ulivo.
Le funzioni di quest'organo non devono essere quelle di un comitato di garanti ma di un comitato promotore che deve:
-indicare le procedure necessarie per la fusione.
-procedere alla stesura di un primo statuto del nuovo partito in senso federale.
-decidere concretamente per il Partito Democratico le norme di democrazia interna in attuazione dell'art. 49 della Costituzione, in attesa che l'attuazione del suddetto articolo venga definita per legge insieme alla definizione dei partiti come soggetti giuridici di rilievo costituzionale. Nella consultazione aperta nel numero successivo della stessa rivista (6/2006) hanno risposto una quindicina di intellettuali e operatori culturali di primo piano in complesso favorevoli, salvo un giusto scetticismo (del tutto giustificato dalla totale impotenza politica del proponente e dalla realtà che abbiamo di fronte), con indicazioni integrative assolutamente condividibili: costituzione di analoghi comitati su base regionale per garantire una partenza federale, redazione di un breve manifesto da sottoscrivere da parte degli elettori, norme procedurali per impedire che nessuna parte politico/culturale possa ottenere la maggioranza degli candidati: nessuno dei principali politici del centrosinistra interpellati (con le uniche significative eccezioni di Giuliano Amato e Franco Marini) ha però ritenuto di rispondere all'invito di partecipazione al dibattito.
La discussione che si è aperta in questi giorni sul fantasma del partito democratico mi impone di ripresentare la proposta in questa sede, non per ripetere le tesi di fondo già espresse molte volte sulla possibilità e necessità di una fusione a caldo che coinvolga anche la società civile, ma per spiegarne le motivazioni e l'urgenza, rispondendo alla facile e banale obiezione che si tratta di una proposta astratta e utopistica.
Credo al contrario che una proposta di questo tipo (o altra analoga: qui nessuno ha un brevetto) sia l'unica via realistica percorribile per uscire da una situazione di crisi crescente del centro-sinistra e della stessa democrazia italiana.
Alla base della mia proposta stanno due ragionamenti molto concreti che i politici impegnati, anche i più validi, non sono in grado di valutare perché il groviglio in cui devono operare nella quotidianità impedisce loro una visione delle realtà sottostanti:
A - La nomina di un comitato di personalità esterne è necessaria per mettere al riparo subito l'azione del governo dalle fibrillazioni inevitabili se la costruzione del partito democratico venisse affidata direttamente ai politici che del governo fanno parte o che dirigono i partiti che lo compongono. In questo caso si rischierebbe di compromettere la compattezza del governo ad ogni passo perché qualsiasi discussione interna ai partiti in vista di una fusione finirebbe sicuramente per ripercuotersi immediatamente sul governo stesso.
Spero che si possa superare lo scoglio dell'approvazione della finanziaria nel prossimo autunno ma non si può in ogni caso continuare ad andare coinvolgendo in questo processo il governo, sul quale si ripercuoterebbero tutte le fibrillazioni, che sono fisiologiche nei processi di fusione: bisogna con urgenza distinguere due cammini paralleli ma distinti, quello dell'alleanza di governo e quello della costruzione del nuovo partito.
La stessa costituzione del gruppo parlamentare unico può essere stato certamente un primo passo ma rischia di essere controproducente e provocare terremoti se non vengono compiuti in tempi rapidi i passi successivi.
Il fatto che questo non venga capito e si continui a parlare di lontane sedi congressuali di partito in cui prendere le deliberazioni necessarie per dar vita al partito democratico è drammatico: o non si vede il problema (e questo davvero non è possibile data l'intelligenza politica dei protagonisti) oppure le dichiarazioni pubbliche sulla volontà di costruire il nuovo partito sono soltanto chiacchiere, delle quali i protagonisti sono ben consapevoli, per coprire l'impossibilità di abbandonare le identità attuali.
B - Se non si coinvolgono subito le forze della società civile la frattura già esistente tra il popolo delle primarie e le strutture di partito diventa irreversibile. I partiti non possono pensare che basti un loro accordo per la fusione e che si possa poi solo in un secondo tempo coinvolgere gli esponenti dei movimenti che sono stati una delle anime delle primarie: o si rende partecipe sin dall'inizio della fase costituente il popolo delle primarie o lo si perde. È sempre più chiaro che non si tratta di un'area estremista radicale ma di un radicalismo di centro che ha il suo nucleo in aspirazioni liberal-democratiche che potrebbero, nello sfaldamento della impresentabile destra attuale, confluire in un'area diversa dall'attuale centro sinistra, area che è molto probabile prenda vita nel prossimo futuro dalla crisi del centrodestra.
Da questo punto di vista giudico quindi troppo deboli e forse anche equivoche le proposte, che vengono particolarmente da gruppi di quarantenni apprendisti politici, di risolvere il problema costituendo «scuole» di ogni tipo per la formazione dei nuovi quadri.
Non può essere questo un punto di partenza per la nascita di un nuovo partito ma una conseguenza.
È una specie di illusione pan-pedagogica che può essere pericolosa. I nuovi politici non nascono dalle scuole (che pur sono poi necessarie) ma da un progetto avvincente e coinvolgente, dalla concreta esperienza nell'amministrazione della cosa pubblica negli enti locali e nelle regioni.
Evidentemente si sta perdendo anche il treno del prossimo autunno. E nulla sia muove anche sul piano dell'abolizione dell’orrenda legge elettorale in vigore che ogni giorno aggrava la patologia del sistema anche in periodo non elettorale anche se le conseguenze sono meno visibili. Se anche personalità come il sindaco di Roma denunciano pubblicamente di volersi ritirare dalla vita politica se qualcosa non cambia, pensiamo forse di poter attirare i giovani?
Dopo il referendum abrogativo della scorsa primavera il provvedimento più urgente nell'ambito delle riforme costituzionali (preliminare alla nascita del partito democratico) è una legge di attuazione dell'art. 49 della Costituzione sui partiti politici: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». La mia profonda convinzione è che questo dettato della Costituzione in realtà non sia mai stato attuato: la mancata definizione giuridica dei partiti come soggetti giuridici di rilievo costituzionale e la mancanza totale di norme relative al «metodo democratico» che dovrebbe essere la base della loro vita interna rappresenta il male oscuro di questa transizione infinita: se il partito democratico nascesse con le caratteristiche degli attuali partiti non nascerebbe o nascerebbe già vecchio.
ormai nessuno, ma proprio nessuno, è credibile. Mi piacerebbe sapere il grado di soddisafzione dei cittandini italiani riguardo il carrozzone dei politicanti attuali, in entrambi gli schieramenti.
Si salva solo Di Pietro, almeno per ora; speriamo!
ma secondo voi è credibile che un sistema che garantisce il sostentamento di migliaia di famiglie (un sostentamento che permette lussi) possa riformarsi autonomamente? Che lavoro potrebbero fare un signor Cento, un sig. Agnoletto, un sig. Mirabelli al di fuori di quello che, secondo me, non molto degnamente e con scarse qualità, ricoprono?
Francamente
non ho soluzioni ma penso che si possa riformare solo se il ceto politico di "prima fascia" (i fassino, i Prosi, i utelli, per interderci) decidano di essere coraggiosi e discaricare in modo autonomo con una decisione di vertice questo personale politico che non riesce da decenni a riformare la pubblica amministrazione (con una produttività del lavoro risibile), che permette alle persone di andare in pensione a 58 anni quando l'età media viaggia ormai verso i novanta anni, che non riesce a costruire uno stato sociale moderno e degno di questo nome, che non le famiglie con uno o più figli ecc.ecc.
Il problema è però complessivo di classe dirigente perchè anche gli imprenditori e i sindacati... mollali! Tutti a difendere rendite