Berlusconi e i quattro conflitti di interessi
di Francesco Pardi
Ha ragione Furio Colombo a ricordare nel suo editoriale di ieri sul conflitto d'interessi l'importanza del Palavobis e di Piazza San Giovanni. Infatti già in quelle grandi discussioni popolari del 2002 era perfettamente individuata la natura della questione. È vero: il problema del conflitto d'interessi esiste anche senza Berlusconi. Ma Berlusconi gli ha dato proporzioni gigantesche. Dovremmo poter discutere del conflitto d'interessi indipendentemente dal suo, ma non possiamo proporre soluzioni valide per tutti se non si affronta anche quello. Berlusconi è titolare di quattro diverse anomalie che è utile tenere distinte. La prima riguarda l'imprenditore divenuto capo del governo: come evitare che egli usi il suo ruolo per favorire le proprie imprese? E che le sue imprese gli diano un vantaggio nell'attività politica? L'interrogativo, in questa forma, è ora superato ma in mancanza di una legge seria potrebbe riproporsi. E ha comunque un carattere generale: riguarda qualsiasi soggetto che nell'esercizio di una funzione pubblica possa favorire il proprio vantaggio privato a danno dell'interesse pubblico. Qui siamo nel vero problema del conflitto d'interessi: si tratta di stabilire una norma valida per tutti che impedisca a chiunque di piegare l'interesse generale a vantaggio della propria utilità particolare.
La seconda anomalia riguarda il duopolio televisivo. Perché mai un solo imprenditore privato deve avere una dotazione di reti pari a quelle dell'ente pubblico? La parità produce una finta concorrenza dualistica che è in realtà spartizione forzosa del mercato: è la negazione del capitalismo. Il rimedio è elementare: ridurre il numero delle reti in possesso ai singoli operatori privati e creare le condizioni per una competizione pluralistica a parità di mezzi. E allo stesso tempo ridare alla Rai il ruolo ormai perduto di servizio pubblico e di ente culturale.
La terza anomalia è la più smaccata. In nessun paese democratico si può essere monopolisti televisivi e stare al vertice del sistema politico. Poiché la legge del '57, che stabiliva l'ineleggibilità dei titolari di concessioni d'interesse pubblico, riguarda Confalonieri, va fissata con definitiva chiarezza l'ineleggibilità, o almeno l'assoluta incompatibilità con ruoli di governo, dei proprietari di mezzi di comunicazione. Su Repubblica Passigli sostiene che la legge deve individuare i principi fondanti. Eccone uno difficilmente confutabile: non può essere eletto chi ha, da solo, lo strumento principale per influenzare il suffragio elettorale. La quarta anomalia è il contrasto tra l'ex presidente del Consiglio e la magistratura. È uscito da processi per reati infamanti solo grazie a numerose leggi ad personam letali per la salute istituzionale del paese. Questo malinconico retaggio deve semplicemente essere eliminato con la abrogazione di quelle leggi, prima fra tutte quella sull'ordinamento giudiziario con cui il governo passato regolava i suoi conti con la magistratura.
La sconfitta del centrodestra ha solo tolto drammaticità alle quattro anomalie, ma non le ha affatto annullate. Esse lavorano come insidiose metastasi nel tessuto della repubblica. La seconda è ancora intatta: nella televisione pubblica continua a comandare il padrone di prima. Basta vedere l'informazione che ne esce. Anche la quarta anomalia resiste. I lettori dell'Unità continuano a chiedere: perché l'Unione non cancella la legge sull'ordinamento giudiziario? Perché sono stati negati i motivi d'urgenza a un decreto legge che doveva sospendere l'entrata in vigore di una pessima legge?
Ma delle quattro anomalie solo la prima rientra in pieno sotto le prerogative di una legge sul conflitto d'interessi efficace per tutti. Le altre sono distorsioni eccezionali della democrazia che vanno semplicemente tolte di mezzo. La seconda con lo scioglimento del duopolio televisivo, la terza con l'ineleggibilità o l'incompatibilità dei proprietari di mezzi di comunicazione, la quarta con l'abrogazione delle leggi ad personam e dell'ordinamento giudiziario.
La legge specifica sul conflitto d'interessi ha un campo d'azione molto più esteso e riguarda tutte le situazioni in cui l'interesse privato di coloro che svolgono funzioni pubbliche entra in conflitto con l'interesse generale. Certo deve anche risolvere il molteplice conflitto d'interessi che ha inquinato la vita politica italiana nell'ultimo decennio. Ma dalle informazioni circolate non sembra vicina una legge rigorosa per tutti e capace di recidere le metastasi del caso più pericoloso. Sembra invece che queste vengano affrontate nel modo più inoffensivo, mentre l'efficacia della legge verso tutti rimane nel limbo. Di ineleggibilità, incompatibilità e, ora, incandidabilità si parla solo per dire che non sono praticabili perché «punitive».
Restano così in piedi solo misure inconcludenti. Il blind trust, o fondo cieco, funziona solo per le ricchezze finanziarie ed è del tutto inefficace per le reti televisive. La credibilità delle Authority, dopo l'esperienza di quella sulle telecomunicazioni, è a dir poco assai scarsa. E temibile è l'artificio che ora viene messo in primo piano come soluzione maestra: la sterilizzazione del voto al detentore del pacchetto di maggioranza. Siamo chiari: si vuol far credere che Berlusconi sarebbe compatibile con la guida di un governo solo perché formalmente non potrebbe votare nel consiglio di amministrazione delle sue aziende? Ci vuole un ottimismo sfrenato per credere che le sue imprese non gli obbediscano.
Chi ha votato per la vittoria dell'Unione si aspettava non solo un avvicendamento del personale politico ma soprattutto una capacità di affrontare alla radice i problemi del paese. Già l'indulto per chi ha rovinato i piccoli risparmiatori non era un buon segno. Ma se sul conflitto d'interessi non ci sarà una soluzione davvero incisiva la delusione nell'elettorato sarà enorme e se ne avvertiranno dure conseguenze alle prossime elezioni. Da parte sua, la cittadinanza attiva, che ha già dato un contributo insostituibile a salvare la Costituzione, è pronta a elaborare una proposta di legge di iniziativa popolare per riaprire un largo dibattito nella società e nel Parlamento. Ma non basta. È necessaria subito una nuova fase di mobilitazione corale per una legge rigorosa.
Il dibattito: "è giusto o ingiusto punire Berlusconi?" è fuorviante, scientificamente fuorviante. Che ci si siano fiondati anche molti Centrosinistri non sorprende affatto, anzi.
Colombo lo scrive a chiare lettere: dove non c'è infrazione alla legge non c'è punizione, ma se ti fai e ti fai fare leggi a tuo uso e consumo non puoi mica pretendere che siano valide in eterno, e il dovere del csx è quello di smantellare questo strapotere mediatico che non ha eguali nel resto del mondo, fatta eccezione per alcuni paesi dove il csx non esiste perchè ci sono le dittature.
e, se ricordo bene l'Italia è ancora una democrazia ( il maiuscolo puo' aspettare tempi migliori ).
*...se ne avvertiranno dure conseguenze alle prossime elezioni...*
Ah, ci potete scommettere!
Non ho capito una cosa: sono d'accordo con tutto quanto è stato detto ma, alle prossime elezione che si fa? per caso CHARLIE e gli altri come lui voteranno ancora Bellachioma ed i suoi compagni di merende per non votare Prodi e gli altri suoi compagni di merende? Cioè il peggio del peggio?
Ma non sarebbe meglio votare per qualcuno che di delusioni ancora, mi pare, non ne ha date nonostante la scarsità di deputati tipo DI PIETRO?
Purtroppo ciò che sento nell'aria è proprio la possibilità di un ritorno di Bellachioma ed a quel punto davvero saremmo ad una dittatura di quelle dure, che pagheranno care pensionati e lavoratori a reddito fisso, per favorire i soliti noti.
Mi aspetto davvero suggerimenti. Grazie
Dimenticavo: anch'io sono estremamente DELUSO dalla sinistra, compresa quella radicale, che avevo sempre votato (questa volta ho votato Di Pietro ed ho la coscienza tranquilla.
Insomma: non vi fu la radiosa palingenesi che il popolo di sinistra si aspettava?
La seconda anomalia riguarda il duopolio televisivo. Perché mai un solo imprenditore privato deve avere una dotazione di reti pari a quelle dell'ente pubblico? La parità produce una finta concorrenza dualistica che è in realtà spartizione forzosa del mercato: è la negazione del capitalismo. Il rimedio è elementare: ridurre il numero delle reti in possesso ai singoli operatori privati e creare le condizioni per una competizione pluralistica a parità di mezzi. E allo stesso tempo ridare alla Rai il ruolo ormai perduto di servizio pubblico e di ente culturale.
D'accordo nel ridurre le tv di berlusconi, ma anche quelle della rai, che dovrà fare servizio pubblico -pagata col canone, non dalla pubblicità- e non concorrenza alla tv commerciale. Servizio che non richiede affatto il costo di tre reti, a meno che che per servizio pubblico si intenda distribuzione capillare, sul piano nazionale e regionale, diposti di lavoro per appartenenti ad etnie politiche diverse.
Si potrebbe cominciare col costringere rai e berlusca a vendere una tv ciascuno ad altri operatori.
Votare bellachioma? Mai al mondo, nemmeno sotto minaccia.
Andare in gita il giorno delle elezioni? Senz'altro!
Sinceramente vedo difficile contrastare in maniera efficace la terza anomalia. Berlusconi potrebbe vendere i suoi mezzi di comunicazione ad amici e parenti continuando a far suonare loro la sua musica. Come garantire che i media di Berlusconi non siano più controllabili da Berlusconi?
è elementare constatare che il popolo della sinistra dopo tanti parlottii e discorsi sul dramma democratico del paese è una cosa che doverosamente aspetta, e in base a cio che si farà giudicherà. il problema è non avre paura avere la certezza che il sostegno popolare esiste.
per quelli che: non è giusto "punire berlusconi":
Dalle leggi tv ai condoni. Ecco come è diventato molto più ricco
DI MARCO TRAVAGLIO
«Berlusconi non ha mai fatto affari con la politica». Il sottosegretario Paolo Bonaiuti è molto spiritoso. O molto smemorato. O molto spudorato. Almeno quanto il suo principale, che giura: «Affari con la politica? Mai. Ho solo perso». Perché Berlusconi ha sempre fatto affari con la politica. Sia prima di entrarci, sia dopo.
L'assegno in bocca. Il Berlusconi palazzinaro è strettamente legato a politici nazionali e amministratori locali, con generosi ritocchi ai piani regolatori e addirittura alle rotte aeree per non disturbare la nascente Milano 2. Lo confesserà lui stesso, in un raro sprazzo di sincerità: «Dovevo fare lunghe file per seguire una pratica e poi passare da un ufficio all'altro con l'assegno in bocca, perchè così si usava nella pubblica amministrazione. Così ho smesso di costruire a Milano» (Ansa, 9 maggio 2003).
San Bettino. Negli anni 80 si comincia a parlare di una legge sulle tv e il tycoon della Fininvest trema: fortuna che nel 1983 va al governo il suo amico e socio Bettino Craxi. Il Cavaliere si lamenta col condirettore del Giornale Biazzi Vergani, perché Indro Montanelli attacca continuamente Bettino: «Sai, è quello che mi deve fare la legge sulle tv». Il 16 ottobre 1984 i telespettatori di Piemonte, Abruzzo e Lazio, al posto dei consueti programmi su Canale 5, Italia1 e Rete 4, trovano una scritta: «Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città del programmi di... regolarmente in onda nel resto d'Italia». Cos'è accaduto? I pretori Casalbore di Torino, Bettiol di Roma e Trifuoggi dell'Aquila hanno decretato la disattivazione degl'impianti che consentono alle tv regionali affiliate al Biscione di trasmettere in «interconnessione» su scala nazionale. L'«effetto diretta» è proibito da varie sentenze della Consulta. Ma -spiega Casalbore- «nulla vieta di mandare in onda programmi prodotti localmente». Nessun oscuramento. Ma la Fininvest decide di auto-oscurarsi per dare la colpa ai giudici. Il popolo dei Puffi, di Dallas e di Uccelli di Rovo, debitamente arruolato dalla propaganda Fininvest, si mobilita. Tempesta giornali, preture e Rai con telefonate di fuoco, mentre la Fininvest revoca l'autoscuramento per mandare in onda un «Costanzo Show-Speciale black out»: ore e ore di piagnisteo. Sua Emittenza, in pieno dramma, corre a piangere sulla spalla di Craxi, in partenza per una missione a Londra. Chiede un decreto urgente, ma il ministro delle Poste e Telecomunicazioni Antonio Gava non ci sta: «Sarebbe un errore agire in termini di conflitto con l'autorità giudiziaria, che interpreta le norme esistenti». Craxi però non sente ragioni e da Londra convoca un consiglio dei ministri straordinario per il 20 ottobre, anticipando il rientro in patria. Decreto «eccezionale e temporaneo», spiegano i socialisti, in attesa della legge sulle tv, data per imminente (la faranno nel 1990). Ma il 28 novembre la Camera, grazie ai franchi tiratori Dc, boccia il decreto come incostituzionale: 256 voti contro 236. Il 3 dicembre i pretori reiterano il sequestro degli impianti. Craxi li investe a male parole, poi impone un secondo decreto, ponendo la fiducia e minacciando le elezioni anticipate. Così Berlusconi la spunta, conservando il suo monopolio incostituzionale.
San Mammì. Nel '90 passa la legge Mammì, che dovrebbe riordinare il sistema tv con relativi tetti antitrust. La lobby berlusconiana riesce a ottenere che un antitrust che «fotografi» il trust del Cavaliere, il quale potrà tenersi le sue tre reti («legge Polaroid»). Per protesta la sinistra Dc ritira i suoi 5 ministri dal governo Andreotti, che li rimpiazza in una notte. La legge impone alla Fininvest due soli vincoli: cedere il Giornale e le quote oltre il 10% di Tele+1 e Tele+2. Berlusconi li aggira subito, passando il Giornale al fratello Paolo e intestando le quote eccedenti delle pay tv a vari prestanomi. Subito dopo la Mammì, tra il 1990 e il '91, la Fininvest versa tramite All Iberian su due conti svizzeri di Craxi circa 23 miliardi di lire. La Procura di Roma sospetta anche un giro di tangenti al ministero delle Poste in cambio - si sospetta - della Mammì e del piano frequenze. L'uomo-chiave, secondo l'accusa, è un giovanotto di 34 anni, Davide Giacalone, già segretario del ministro Oscar Mammì, considerato il vero autore della legge sull'emittenza e subito dopo ingaggiato alla Fininvest con una consulenza da 600 milioni. Finiscono sotto inchiesta anche Gianni Letta e Adriano Galliani: il pm Maria Cordova chiede di arrestarli entrambi, ma il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa si astiene perchè Letta è un «amico di famiglia». Il capo dei gip Renato Squillante passa la pratica a un altro giudice, De Luca Comandini, che respinge entrambe le richieste di cattura. La Iannini verrà sorpresa da una microspia nel bar Tombini, il 21 gennaio '96, in compagnia di Squillante e di Vittorio Virga, avvocato di Giacalone, Letta e Paolo Berlusconi. Ora dirige il ministero della Giustizia. L'inchiesta finisce in un nulla di fatto. Vizzini e Mammì prosciolti dal Tribunale dei ministri. Letta e Galliani dal gip. Giacalone in parte assolto, in parte prescritto. Di recente Mammì ha raccontato una visita del Cavaliere alla vigilia della legge: «Scherzava, faceva battute, cercava di accattivarsi la mia simpatia. Poi mi si inginocchiò davanti e, baciandomi la mano, mi disse: “La prego, ministro, non rovini me e le mie famiglie!”».
Debiti addio. Quando entra in politica, Berlusconi è sull'orlo del fallimento: debiti per 6 mila miliardi. L'amministratore delegato Franco Tatò -racconterà Dell'Utri- ripeteva: «Cavaliere, dobbiamo portare i libri in tribunale». Lui invece porta l'azienda nello Stato. I debiti spariscono con la quotazione di Mediaset in Borsa nel '96 (autorizzata dalla Consob nonostante le centinaia di miliardi di fondi neri emersi dalle inchieste milanesi). L'azienda del Biscione, anche grazie al recupero di punti preziosi d'ascolto sulla declinante Rai berlusconiana, rifiorisce: in un'economia stagnante e in una congiuntura negativa in tutto il mondo per le aziende tv, fa eccezione proprio Mediaset, che nel 2004 ha toccato 500,2 milioni di utile netto (+35,3% rispetto al 2003) e un aumento della raccolta pubblicitaria del 9,1%: i migliori risultati dal '96 (da allora il titolo è lievitato del 187%, mentre in tutto il resto d'Europa le azioni del comparto tv scendevano del 4%). Anche il portafoglio del padrone va a gonfie vele: se nel '94 i suoi beni personali ammontavano a 3,1 miliardi di euro, oggi la sua famiglia si ritrova in tasca 9,6 miliardi. A ciò si aggiungono i guadagni in Borsa, grazie al continuo rialzo dei titoli delle società del premier (Mediaset, Mediolanum, Mondadori): nel solo 2003 si parla di 7.71 miliardi di euro (1,7 in più rispetto all'anno precedente: +28%).
San Tremonti. Grazie a diversi provvedimenti del creativo ministro dell'Economia, Mediaset ha risparmiato una barcata di miliardi di tasse. Il primo è la legge Tremonti-1, quella del '94 che defiscalizzava gli utili reinvestiti. La Fininvest, grazie a un' interpretazione ad hoc fornita dallo stesso ministero, fa passare per nuovi investimenti l'acquisto di film non proprio nuovi e già posseduti da società del gruppo, per giunta a prezzi gonfiati secondo le ultime inchieste milanesi, e risparmia 243 miliardi di lire di tasse: soldi fondamentali per capitalizzare la nuova società Mediaset in vista della quotazione («Mediaset - scriveranno i pm Robledo e De Pasquale - fu quotata in Borsa sulla base di una falsa rappresentazione della consistenza patrimoniale»). Poi c'è il condono fiscale del 2003. Berlusconi giura che non se ne avvarrà, è l'ennesima bugia: dei 197 milioni di euro di tasse non pagate che gli contesta l'erario, ne paga solo 35. Poi c'è il decreto «spalmadebiti» del calcio: diluendo i debiti del Milan su 10 anni, il premier risparmia 217 milioni per il bilancio 2003. Infine la riduzione delle tasse: l'aliquota più alta - salvo contributo di solidarietà- scende al 39%. Per l’Espresso, il contribuente Berlusconi risparmia 760 milioni di euro all'anno.
Consigli per gli acquisti. Da quando Berlusconi torna a Palazzo Chigi nel 2001, molte aziende aumentano gl'investimenti pubblicitari sulle reti Mediaset a scapito della Rai e della carta stampata. Dai dati Nielsen del solo 2003, risulta che quotidiani e periodici hanno perso 165 milioni di euro di pubblicità, di cui 95 sono passati alla tv privata, cioè a Mediaset. Poi c'è la pubblicità istituzionale, promossa dai ministeri con denaro pubblico: nel solo gennaio-marzo 2005, sempre secondo Nielsen, il governo ha speso in spot 5,3 milioni di euro, per il 96,2% in tv (soprattutto Mediaset: la Rai quegli spazi li fornisce gratis), violando persino la legge Gasparri che impone di destinare il 60% delle campagne istituzionali alla stampa. Inoltre si calcola che ogni anno Mediaset sfori di circa il 5-7% (800 milioni di euro) i già spropositati tetti pubblicitari fissati per legge. Ma le sanzioni minacciate dall'Authrity non sono mai arrivate.
Santi Maccanico e Gasparri. Nel '94 la Consulta dichiara incostituzionale il monopolio berlusconiano e impone la vendita di una rete Fininvest. Ma prima i governi dell'Ulivo (legge Maccanico, anch'essa incostituzionale), poi il Berlusconi-2 (decreto salva-Rete4 e legge Gasparri) calpestano quella sentenza consentendo a Berlusconi di seguitare a detenere il suo monopolio illegittimo. Con Rete 4 su satellite, avrebbe perso circa 192 milioni di euro di pubblicità all'anno. Con Rete 4 su terrestre, continua ad accaparrarseli. In più, grazie all'ulteriore innalzamento del tetto antitrust, Confalonieri ammette che Mediaset potrà espandersi per altri «1 o 2 miliardi di euro».
Il resto, mancia. Dinanzi a questi macroscopici guadagni procurati dal Berlusconi premier al Berlusconi affarista, gli altri provvedimenti ad hoc quasi quasi sfigurano. C'è l'abolizione della tassa di successione anche per le eredità superiori ai 350 milioni di lire. C'è l'accordo che consente a Mediolanum di usare la rete di sportelli delle Poste Italiane in tutta la penisola. C'è l'accordo fra la ministra Moratti e le Poste per prenotazioni, acquisti e consegne dei libri scolastici, forniti in esclusiva da Mondolibri (Mondadori, cioè Berlusconi). C'è il decreto che incentiva con fondi pubblici l'acquisto dei decoder, prodotti da Paolo Berlusconi. C'è il rinvio al 2008 della riforma del Tfr, così non si disturba Mediolanum. C'è il condono edilizio che sana gran parte delle opere abusive a Villa La Certosa: le altre sono coperte da «segreto di Stato».
Marco Travaglio
Fonte: www.unita.it
6.01.06
grazie cristina
scusate ma mi sembra di ascoltare un pò di superficialità. Il governo Prodi governa da 100 giorni. Il tempo nel quale una persona abile e sveglia trova una casa da acquistare per la propria famiglia. Di cosa accusate questo governo di non aver cambiato il mondo in novanta giorni (feste incluse?)?
Se volevate come primo ministro Gesù Cristo avete sbagliato, ma l'errore non del governo è vostro.
Aspettiamo almeno la finanziaria per esprimere un primo giudizio il resto sono sciocchezze agnolettidi.
Sono d'accordo con quanto dice Carlo Porta; infatti i miei intenti vacanzieri troveranno applicazione solo se quanto finora visto costituisca la cifra di riferimento dell'intera legislatura, o di gran parte della stessa.
non è il fatto che la legge non sia già sul tavolo che preoccupa.
quel che preoccupa sono le titubanze, le esitazioni, le contraddizioni, i balbettii della maggioranza, che fanno temere l'ennesimo nulla di fatto.
100 giorni non saranno sufficienti per varare la legge, ma per capire se le intenzioni sono quelle giuste bastano e avanzano.
comunque, staremo a vedere.
Certamente ogni speranza di poter metter mano a leggi che eliminino il conflitto di interessi appare velleitaria quando ci si imbatte in interviste come quella di Giuseppe Caldarola al Q.N. del 1 settembre. Eccone ampi stralci. Q.N: "Ma la riforma del conflitto di interessi è necessaria o no ?". R: "Non è certamente tra le urgenze del momento. Le priorità, oggi, sono due: la Finanziaria e la missione ONU in Libano".
Q.N.: "Una cosa non esclude l'altra." R: "Solo in apparenza: in realtà, sulla Finanziaria e ancor più sul Libano la maggioranza ha bisogno di creare un largo consenso parlamentare, per non dire la quasi unanimità". Q.N.: "Insomma, occorrono i voti della CdL....". R: "Esatto, e se continuiamo ad agitare lo spauracchio del conflitto di interessi, pergiunta dando l'idea di perseguire intenti punitivi, quei voti rischiamo di perderli".Q.N.: "A proposito di intenti punitivi, Di Pietro auspica l'ineleggibilità di Berlusconi". R: "Sarebbe una follia. Si poteva farlo prima della sua scesa in campo, ma ormai è tardi: il tema della permanenza di Silvio Berlusconi nell'agone politico riguarda ormai solo lui e i suoi elettori". Ancora. Q.N.: "Teme che senza il consenso della CdL qualsiasi riforma verrebbe descritta come punitiva ?".R: "Esatto, e non converrebbe a nessuno. Anche perchè se l'opposizione facesse le barricate, al Senato rischieremmo di non avere i numeri necessari a far passare la legge".Q.N.: "I girotondini già gridano all'inciucio".R: "Niente di nuovo sotto il sole. E' gente convinta che nel 2001 abbiamo perso le elezioni a causa della mancata approvazione della legge sul conflitto di interessi".
L'intervista prosegue con altri illuminati (e illuminanti) pensieri: ve li risparmiamo.
Che dire ? Consoliamoci pensando che la legge (truffa) elettorale almeno un pregio l'ha avuto: non consentendoci di esprimere preferenze sui nomi in lista, ha impedito che, per un tragico errore o per un folle e imprevedibile raptus, la nostra mano vergasse un irreparabile "Caldarola" sulla scheda.
Una legge sul conflitto d'interessi non serve ad una mazza.
Il miglior modo per sconfiggere Berlusconi?
1) andava subito attuato il cuneo fiscale per il lavoro dipendente;
2) andavano fatte le liberazioni (tutte, molto più larghe del decreto Bersani);
3) vera lotta all'evasione fiscale, tanto l'evasore non voterà mai per il csx;
4) politica dei redditi seria e più garanzie sociali per i lavoratori.
Cosa si è fatto invece?
Indulto, piccola liberalizzazione mezza annacquata col decreto Bersani ed intervento in Libano.
Una Sinistra dagli argomenti deboli ha bisogno del Nemico Berlusconi per stare in piedi.
Ma lo spauracchio Berlusconi è come il muro di Berlino per la DC, sparito uno l'altro naufraga.