Servizietto pubblico
di Marco Travaglio
Magari Pannella esagera un po’ quando, a proposito dell’ultima abbuffatina Rai, parla di «mafiosità oligarchica e partitocratica di regime». Ma lo spettacolo dei politici di tutti i partiti che passano le giornate a dichiarare che la Rai dev’essere autonoma dalla politica ricorda vagamente quei personaggi imbrillantinati dallo spiccato accento siciliano che, in certi film, incontrano un malcapitato e gli soffiano nell'orecchio con voce suadente: «Ma che bedda mugghiera, ma che bei picciotti avete! E fate proprio bbene a lassarli cammenare da soli pe lla strada, ah». Il guaio è che anche quelli armati delle migliori intenzioni non riescono a sottrarsi alla tentazione di esternare su un argomento che non li dovrebbe riguardare nemmeno di striscio. Che c’entra il presidente del Consiglio con la Rai? Eppure, addirittura dalla Cina, Prodi sente il bisogno di far sapere che «Riotta va bene a tutti, non solo a me». E Bellachioma, appena legge che si sarebbe infuriato per il cambio della guardia al Tg1, si premura di rettificare: «Riotta va benissimo, conosco bene le sue qualità». Il tutto mentre, pietosamente, il dg Cappon e il Cda si affannano ad assicurare che «le nomine sono state decise in piena autonomia». Ma certo, come no. Prova ne sia che, scoperto l’inciucio fra i partiti maggiori e l’Udc, partitini e partitucoli dell’Unione s’infuriano. E, pur precisando che la Rai dev’essere autonoma dai partiti, protestano perché nessuno su Riotta ha chiesto il loro illuminato parere. «Potevano almeno dirci qualcosa», sospira affranto il rosapugnista Villetti. Autonoma va bene, ma non bisogna mica esagerare: se poi, al posto di Clemente J., viene chiamato nientemeno che un giornalista, è normale che serpeggi un certo allarme. Poi, si capisce, quando si apre il periodico dibattito sull'influenza della tv nelle urne, tutti dichiarano unanimi che, per carità, la tv non conta nulla. Non lo fanno nemmeno apposta. È più forte di loro. Abituati da una vita a considerare il “servizio pubblico” un servizietto privato per le loro frègole esternatorie e presenzialiste, non riescono a pensare ad altro se non a strappare ospitate o comparsate in un tg, in un talk, in un reality o magari a Sanremo, a Castrocaro o a Miss Italia. Così la difesa del “servizio pubblico” diventa uno stanco rituale da ripetere a ogni pie’ sospinto, ma svuotato di significato. Pubblico vuol dire pubblico, cioè dei cittadini: non dei partiti, che sono associazioni private, anche se li finanziamo noi. E servizio vuol dire servizio: cioè soddisfare un bisogno dei cittadini. Ma di quale servizio la Rai debba rendere ai cittadini nessuno parla. Nella batracomiomachia intorno alla staffetta Mimun-Riotta, s'è levato il grido straziante, quasi disperato, di una giornalista del Tg1 (ancora ne sopravvivono, nonostante tutto): Tiziana Ferrario.
«L’importante è che Riotta ci faccia fare i giornalisti». Pare un’ovvietà, invece alla Rai sarebbe una rivoluzione copernicana. Impiegare i giornalisti come giornalisti, non come camerieri, sarebbe una svolta epocale. Uno va in un posto, guarda, s’informa, prende nota, poi racconta tutto a chi lo guarda. Senza offesa per Clemente J., Pionati e gli altri paninari, il giornalismo sarebbe questo. Non è giornalismo invece metter in fila i pareri di una ventina di leader politici che parlano per 3-4 secondi di una tema a piacere, ingabbiati nello schema fisso governo-opposizione-maggioranza. A meno che Clemente J., Pionati & C. non portino qui, nel giro di 24 ore, almeno tre persone normali che la sera corrono ad accendere la tv per l’ansia di sapere cosa pensano Pecoraro Scanio e Mastella, Cicchitto e La Russa, Calderoli e Rotondi (c’è pure lui, dall’alto del suo zero virgola) su qualunque stormir di fronda nell’orbe terracqueo. Il parere di lorsignori sul caso Telecom non frega assolutamente niente a nessuno. Interesserebbe invece un giornalista con nome e cognome, orgoglioso della propria professione e soprattutto della propria professionalità, che raccontasse come è potuto accadere che un consigliere di Prodi sapesse tutto del piano Telecom e Prodi nulla, e magari come sia riuscito Marco “Trucchetti” Provera ad accumulare una cosina come 43 miliardi di debiti. I giornali lo fanno. I tg no: dovendo far parlare i politici, manca il tempo per dare le notizie. Però, sia chiaro, il servizio pubblico dev'essere indipendente dalla politica, perbacco. Ora, per esempio, torna alla Vigilanza il mitico Landolfi, quello del pizzino a Lerner. È la svolta.
Sono stato accontentato, ho saputo come la pensava travaglio. E per la seconda volta (nel giro di pochi giorni!) torno ad essere d'accordo.
nei paesi normali non è la politica a vigilare sulla televisione ma proprio il contrario.
la prossima volta me ne vado al mare, altro che votare 'sti pusillanimi piantati al medioevo della politica.
Parliamo sempre dell' italia in confronto a un paese normale...se mi dite qual'e' io ci vado perche dell'talia mi sono rotto i coglioni! :)
La Spagna di Zapatero è un paese normale dove i politici mantengono le loro promesse.