Il ritorno del professor Rossi sul luogo del «delitto»
di Rinaldo Gianola
In questo Paese non cambia mai nulla. Dopo dieci anni ci ritroviamo Guido Rossi al vertice di Telecom Italia e gli facciamo tanti auguri, ma ci sembra di assistere a un vecchio film, con una trama noiosa e attori un po’ consumati. Nel ’97 Rossi, che le agiografie dei giornali inquadrano nella categoria «santo subito», venne chiamato dal governo di Romano Prodi, sempre in pista, per privatizzare Telecom, splendida azienda, cresciuta nel monopolio del dopoguerra fino a diventare la quinta compagnia al mondo.
Rossi torna per la terza volta sul «luogo del delitto» e speriamo abbia maggior fortuna, non perchè nutriamo un particolare interesse per le sorti del professor Rossi e delle sue molteplici responsabilità - solo la perfetta conoscenza delle patologie del conflitto di interessi lo ha tenuto al riparo da questa epidemia tipicamente berlusconiana - ma perchè abbiamo molto interesse per il futuro di Telecom.
Telecom non era un’azienda da salvare. Telecom era un gioiello che in un’ottica riformatrice, di mercato, andava collocata al pubblico, agli imprenditori privati affinchè la sviluppassero o almeno ne conservassero il prestigio. L’Unione Europea premeva per la privatizzazione e la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni, il centrosinista voleva dare prova di modernità e di apertura. Così in pochi mesi venne avviata la rivoluzione. Allontanati gli ultimi boiardi, compreso il granatiere Ernesto Pascale che qualcuno potrebbe ricordare con nostalgia: non incassava gli stipendi e lo stock option di certi industriali e manager e di telecomunicazioni ci capiva, Rossi si mise al lavoro.
Ce lo ricordiamo bene: si presentò una mattina nella saletta della Borsa di Palazzo Mezzanotte, in piazza degli Affari, accompagnato dall’amministratore delegato Tomaso Tommasi di Vignano (poi vittima innocente dello scandalo inventato di Telekom Serbia) e dal giovane banchiere Gerardo Braggiotti, uno dei ragazzi di Enrico Cuccia cui era stata affidata la regia del collocamento (Braggiotti è sempre sulla breccia, ma dopo aver lasciato Mediobanca la sua stella non brilla come un tempo: ora fa i piani, e che piani, per Tronchetti Provera). Rossi iniziò con una domanda: «Alzi la mano chi di voi avrebbe mai pensato che saremmo riusciti a privatizzare Telecom in così poco tempo?» In quel momento, mentre Rossi parlava, il pasticcio era già stato combinato. Per accompagnare la Telecom privatizzata sul mercato il governo aveva offerto ai maggiori gruppi imprenditoriali, bancari, assicurativi del Paese di partecipare al «nocciolo duro» o noyau dur, alla francese, come preferisce il professor Rossi: cioè un gruppetto selezionato di soci che avrebbe dovuto garantire il controllo di Telecom. Fu una gran fatica mettere insieme gli Agnelli, le Generali, l’Imi, l’Ina, il Credito Italiano, il Monte Paschi, il San Paolo e pochi altri, tutti riottosi a entrare in settore straordinario come le telecomunicazioni. La privatizzazione fu un mezzo fallimento e il «nocciolo duro» un disastro. Forse Prodi, che è il politico italiano che ha privatizzato di più, dovrebbe fare un bilancio delle vendite di Stato, tenuto conto che in Francia e Germania ci sono ancora interi settori in mano pubblica, nessuno si scandalizza e quelle economie vanno come treni.
È da qui che bisogna partire se si vuole davvero capire cosa è successo in dieci anni a Telecom Italia e perchè i suoi azionisti privati, dal «nocciolino duro» alla cordata padana, dall’Olivetti di Colaninno al tandem Pirelli-Benetton, non sono riusciti a combinare progetti in sintonia con le enormi potenzialità dell’impresa ex statale e hanno avuto, pur nella diversità dei soggetti, un denominatore comune: la mancanza di capitali.
L’unico a riconoscere senza tante giustificazioni la fatica e il pasticcio della privatizzazione di Telecom fu Massimo D’Alema: «Abbiamo offerto un gioiello pubblico e non sono stati capaci di comprarlo - disse - È stato un evento sconcertante, si è dovuti andare a chiedere per piacere che qualcuno si comprasse lo 0,6%. Spaventa che in questo Paese non ci sia qualcuno che abbia la voglia o il coraggio di affrontare questo tipo di sfide».
D’Alema, proprio per queste parole, finì nel mirino dei salotti finanziari italiani che, anche oggi, non gli perdonano il suo peccato originale: aver consentito la scalata di Colaninno alla Telecom, un evento che suscita i sudori freddi tra i signori dei patti di sindacato. Anche Rossi, che aveva mollato velocemente la Telecom privatizzata non senza polemiche, si trovò sul fronte opposto a D’Alema e al centrosinistra al momento del suo secondo passaggio in Telecom, anche questo poco fortunato.
Lo chiamò Franco Bernabè che, assunta la responsabilità del gruppo, si trovò quasi subito a fronteggiare l’offerta pubblica di acquisto lanciata dall’Olivetti, mentre il «nocciolino duro» si scioglieva come neve al sole. Rossi fu durissimo col governo D’Alema accusato di appoggiare Colaninno. Lo scontro divenne incandescente soprattutto quando, in una memorabile assemblea degli azionisti di Telecom, convocata a Torino da Bernabè per bloccare l’operazione, il Tesoro e la Banca d’Italia non si presentarono. L’assemblea fallì e il professore si scatenò: «Siamo in democrazia, non siamo qui a prendere schiaffi. Il governo si è castrato della possibilità di avere diritto di voto: è un fatto grave, gravissimo». Per Rossi fu una brutta giornata che portò dritto dritto alla vittoria dell’Olivetti.
Passata anche la breve stagione di Colaninno, che fece una vera operazione di mercato ma con dei compagni di viaggio poco affidabili e alcuni davvero impresentabili, e avviata a sorpresa la fase di Tronchetti Provera, molto faticosa e impegnativa, oggi ritorna Rossi nel ruolo forse che preferisce, cioè quello di commissario straordinario. Una specie di Croce Rossa, come dice Bersani, chiamato nelle emergenze più gravi, come avvenne per il crac del gruppo Ferruzzi-Montedison.
Che cosa farà Rossi alla guida di Telecom è tutto da verificare. Potrebbe realizzare la linea strategica di Tronchetti Provera come è stato subito detto, cioè scorpori di rete e Tim e magari vendite per non parlare del miraggio della Media company, e allora troverà probabilmente l’opposizione del sindacato che ha già dichiarato lo sciopero e magari anche del governo (a proposito: ma il consigliere Rovati continuerà a stare al suo posto, accanto a Prodi? Se sì, potrebbe almeno rivelarci il vero autore del piano inviato a Tronchetti Provera...).
Potrebbe invece aprire un confronto più sereno col governo, nel rispetto dell’autonomia di ciascuno, contando anche sulla stima ritrovata con D’Alema. Potrebbe infine scegliere la sua strada preferita e sciogliere l’eventuale conflitto d’interessi tra la controllante Pirelli e la controllata Telecom e darebbe così un bel segnale ai mercati. Poi bisogna vedere se Rossi si occuperà solo di Telecom e allora i problemi sono di strategie, di scelte industriali, di alleanze, ma non c’è nulla di drammatico, niente di irreparabile. Se invece Rossi dovrà pensare anche alla Pirelli, magari ai Benetton e anche alle banche creditrici, un po’ preoccupate, allora l’impegno rischia di essere diverso e più gravoso.
Ma, in attesa delle prime mosse del professore, ci sono un paio di questioni che non quadrano e che solo il tempo potrà risolvere. La prima: ma perchè Rossi, che già si occupa di molte cose, si è infilato un’altra volta in questa partita industriale, finanziaria, politica? Se escludiamo l’ipotesi della bulimia di poltrone, allora bisogna interrogarsi se è solo per dare una mano al grande gruppo e ai suoi azionisti oppure se c’è dell’altro. È possibile che le inchieste giudiziarie aperte sulle intercettazioni indebite effettuate da manager poco fedeli di Telecom Italia possano produrre importanti novità nel breve periodo? Se fosse così allora i cambiamenti in casa Telecom andrebbero letti con un’altra lente e i problemi veri potrebbero essere altri da quelli che oggi appaiono a prima vista.
La seconda questione riguarda le relazioni di potere di Tronchetti Provera. La caduta, perchè di caduta si tratta, di Tronchetti Provera dai vertici Telecom apre una fase di instabilità nel salotto, oggi diviso, dei moralizzatori del Corriere della Sera dove non si possono escludere ripercussioni entro la fine dell’anno. Tronchetti riuscirà a mantenere saldo l’asse con Montezemolo, Della Valle, Geronzi oppure la bufera su Telecom e le incomprensioni col governo produrranno altre ferite e altre fratture?
E qui si dimostra che mr. rossi, uomo di fiducia di tronchetti (azionista dell'inter), tanto "indipendente" non era..non si capisce bene, una sorta di tirapiedi politico-finanziario ora di una certa parte politica, ora di certi "imprenditori" (che "imprendono" con i quattrini degli altri).
proviamo a riderci su...
guarda questa vignetta.
Ciao
gianfalco
Non male