Se il Moderato fa l’Estremista
di Siegmund Ginzberg
Esplosioni di furia islamista, folle imbestialite, caccia all'infedele, luoghi di culto devastati, una suora uccisa in un ospedale per bambini in Somalia, la famiglia di un diplomatico italiano massacrata in Marocco, le fatwa contro il Papa, la minaccia di «distruggere le mura di Roma», lo sappiamo bene, non sono l'Islam.
Ma riescono a meraviglia a diffondere e consolidare un'immagine repellente in toto dell'Islam.
Simmetrica all'immagine repellente dell'Occidente prevaricatore, «crociato» diffusa con crescente successo dai fomentatori d'odio islamici.
Sono cose che fanno rabbrividire, suscitano un incontenibile conato di disgusto. Ma in fin dei conti sanno di deja vu, di scene, atrocità ripetutesi innumerevoli volte, con pretesti diversi. Si dirà: se non era una citazione del Papa, sarebbe stato qualcos'altro. Se non erano i Versetti satanici di Salman Rushdie, sarebbero state le vignette su Maometto pubblicate da un giornale danese, se non la guerra americana all'Iraq l'odio nei confronti di Israele e della «perfidia» sionista. Ogni scusa è buona per chi vuole soffiare sul fanatismo.
Eppure, non si sfugge all'impressione che stavolta ci sia qualcosa di più e di nuovo, da far accapponare la pelle anche più di tutto quello a cui eravamo abituati, se non assuefatti.
L'enormità non è la caccia al cristiano dopo tante cacce all'ebreo o all'americano. Non è forse nemmeno nella violenza cieca e indiscriminata, assurda, che fa di ogni erba un fascio, per cui si viene a sapere, per fare solo un esempio, che delle sette chiese incendiate nella sola Palestina, cinque non erano nemmeno cattoliche, ma greco ortodosse o protestanti, quindi non avevano niente a che fare col Papa del cattolicesimo.
La furia del fanatismo è sempre cieca, non fa distinzioni. E non è certo una scusante che la cecità sia reciproca, non sia affatto un monopolio islamico, così come non è islamico il monopolio del fondamentalismo (il termine stesso, sarebbe bene ricordarlo ogni tanto, era stato inventato per gli ultrà protestanti americani, non per gli ultrà islamisti): attribuire quel che sta succedendo al Dna dell'islam in blocco, farsi trascinare dalla repulsione che suscita è l'esatto equivalente dell'attribuire le cause della frustrazione islamica all' Occidente in blocco, o al malvagio complotto Usa-Israele. La caccia al cristiano in Oriente non è molto diversa dal rischio che si fomenti una caccia al musulmano in Occidente. L'una cosa ha sempre tirato l'altra. Il grande problema è come fermare il circolo vizioso. Noi siamo l'Occidente. Va da sé che la nostra attenzione si concentri sulla nostra parte di responsabilità, quel che possiamo fare noi. Anche se non può significare far finta che non esista quella nell'altra parte, anche indipendentemente da quel che facciamo o pensiamo noi.
Non stupisce nemmeno il fatto che diversi gruppi terroristi - ultimo, una succursale irachena di Al Qaida, con logo aggiornato per l'occasione in «partigiani della tradizione del Profeta» - abbiano proclamato attacchi contro il Vaticano, o che un mullah legato al movimento islamista che quatto quatto ha preso il sopravvento in Somalia mentre la guerra al terrorismo si arenava in Iraq e in Afghanistan, abbia esortato i musulmani a dar la caccia al Papa e ucciderlo. Un turco - e non un fanatico religioso, un cane sciolto dell'estrema destra nazionalista, ancora non è del tutto chiaro spinto da quali «servizi» - era quasi riuscito ad ammazzare Giovanni Paolo II. Nelle librerie di Istanbul pare sia in testa alle classifiche di vendite, e da molto prima che scoppiasse il caso della lezione di Ratisbona, un giallo intitolato Papaya Suikast, Attentato al Papa, sottotitolo: «Chi ucciderà Benedetto XVI a Istanbul?». La novità, l'enormità, la cosa che trovo più inquietante, è il tipo di reazioni «ufficiali» che questa vicenda ha suscitato nei paesi islamici «moderati», quelli che in questi anni eravamo abituati a considerare «alleati», non «nemici» nella «guerra al terrorismo». Al Qaida fa il suo mestiere. Fanno il loro mestiere i predicatori fondamentalisti. Ci si poteva aspettare le reazioni che sono venute dai capi di Hamas o dall'Iran di Ahmadinejad (non da lui, in questo momento impegnato in un'offensiva di charme all'Onu).
Ma cosa ha spinto alle reazioni che sono venute non solo dalla Turchia (che potrebbe essere considerato un caso a parte, sensibile com'è ai «rifiuti» che sente opporre all'abbraccio con l'Europa), ma anche dal Marocco, sinora indicato come modello di moderatismo arabo, dall'Egitto, dalla Giordania, dal Pakistan?
C'è chi ha osservato: si direbbe che quanto più i regimi siano moderati, tanto più si siano sentiti obbligati a fare la voce grossa, come se la loro principale preoccupazione in questo momento fosse più l'essere tacciati dai propri estremisti interni di «connivenza col nemico», che di legittimare la propria «moderazione» agli occhi dell'Occidente.
Perché le voci di moderazione che pure esistono in seno all'Islam non osano più far sentire la propria voce? Un insigne islamista francese, il traduttore delle Mille e una Notte Malek Chabel ha proposto, a Le monde che lo intervistava sul caso Ratisbona, una spiegazione storica del perché la «ragione», di un Islam che pure all'origine l'aveva trasmessa all'Occidente coi suoi grandi pensatori, è rimasta poi nei secoli successivi prerogativa di una minoranza di intellettuali: il peso di una tradizione per cui le società islamiche si sono sempre fondate su una «triade» composta dai «guerrieri», dai «teologi» che gli fornivano legittimità, e dai «mercanti» che li finanziavano. Sarebbe il modello che prevale tutto sommato ancora nei regimi islamici autoritari, con «l'intellettuale, l'altro, lo straniero, l'ebreo, il cristiano» usati perennemente come valvola di sfogo. La colpa storica dell'Occidente è stato perpetuare questo modello, per i propri interessi. La tesi è discutibile.
Ma non la conclusione, per cui «mentre bastano tre settimane a fabbricare un terrorista, ci vogliono almeno trent'anni per fabbricare un intellettuale critico». Quanto tempo si è perso, negli anni seguiti all'11 settembre, per assistere ai moderati che si accodano agli estremisti, anziché viceversa? Possiamo ancora rovesciare un corso catastrofico?
Grosso modo è giusto quello che dice.
Il problema, forse, non è tanto puntare su un islam "moderato" o su una "cattolicesimo tiepido" (che, al pari di tutte le visioni farisee, sono infinitamente meglio della vera religione) quanto sulla laicizzazione della società e sulla separazione tra stato e islam nei paesi arabi. E sostenere le forze inovvatrici contro i cupi imam che vegliano sulle "repubbliche islamiche".
i tipi che scrivono gialli sul Papa non mi paiono pericolosi. e comunque il problema non lo stesso quello di Kappa Wu. qui tutto suggerisce se qualcuno s'incazza s'incazza "contro l'Occidente" (magari poi strumentalizzato dallo stesso, ulteriore problema che richiede secondo me molta più attenzione della teologia). Sulle equivalenze mi vien in mente una storiella che gira in Internet che dice che se alcuni musulmani valutano le donne in termini di capi di bestiame, quasi tutti gli occidentali in compenso le soppesano in termini di "maiali equivalenti". :-)))
Carolina
In fondo Ruini è l'unico che può aprire un dialogo con i fondamentalisti islamici.
Più integralista di lui non ce n'è...
... e guarda la vignetta.
Ciao
gianfalco