Spioni in azienda
di Rinaldo Gianola
Un gruppo di spioni, nascosti sotto la sigla anglofona di security manager e ben pagati da Telecom e Pirelli, si è dedicato per anni a intercettare abusivamente le telefonate di decine di migliaia di cittadini, compresi imprenditori, banchieri, calciatori, giornalisti. Di più: erano così efficienti da impegnarsi, probabilmente per conto delle loro aziende, allo spionaggio dei dipendenti e alla selezione del personale violando sistematicamente lo Statuto dei lavoratori, come accusano i giudici.
Ci mancano solo le schedature o i reparti confino per quelli che leggono l’Unità o sono iscritti alla Cgil e poi ci ritroveremmo di colpo alla Fiat agli anni Cinquanta.
Ma per ora restiamo ai fatti. E i fatti dicono che l’ex responsabile della sicurezza di Telecom, Giuliano Tavaroli e quello di Pirelli, Pierguido Iezzi, sono finiti in carcere assieme a 18 loro “colleghi” e che, secondo l’ordinanza dei giudici di Milano, in larghissima parte «le intercettazioni illegali furono commissionate e pagate da Telecom Italia». Tavaroli, si legge ancora nell’ordinanza, «non riferiva sostanzialmente a nessuno, se non al presidente» cioè a Marco Tronchetti Provera.
Ci troviamo davanti a uno scandalo gravissimo, che coinvolge, e la magistratura dirà a che titolo e con quali responsabilità, il primo gruppo italiano di telecomunicazioni e i suoi vertici, a partire dall’azionista di riferimento e presidente (ex da pochi giorni) Tronchetti Provera. Uno scandalo che, per usare ancora le parole dei magistrati, «mina la credibilità delle istituzioni».
A questo punto, allora, tutte le clamorose vicende Telecom degli ultimi giorni, a partire dall’11 settembre quando venne deciso il piano di riassetto fino alle dimissioni improvvise di Tronchetti Provera e alla sua sostituzione con Guido Rossi, possono essere lette sotto un’altra lente. Che non è più quella pur molto importante dei piani industriali, delle ristrutturazioni finanziarie o anche delle incomprensioni tra i vertici di Telecom e il governo.
E alcune domande si impongono. Perchè Tronchetti Provera ha lasciato improvvisamente il vertice di Telecom dopo aver ottenuto il voto all’unanimità al suo piano di riassetto da parte del consiglio di amministrazione? E ancora: perchè ha scelto Guido Rossi come suo successore e ha ritenuto di promuovere l’amministratore delegato Carlo Buora a vicepresidente esecutivo? Di fronte alle ultime novità non regge più la storia che Tronchetti Provera ha lasciato Telecom per difendere l’autonomia dell’azienda dalle presunte intromissioni della politica o a causa degli scontri con Romano Prodi. Così come oggi appare innocua, magari divertente, la gita in barca a Zante dei vertici Telecom con Rupert Murdoch per realizzare la famosa media company.
No, oggi c’è uno scenario diverso. Proviamo a delinearlo, anche se non possiamo avere certezze. Tronchetti Provera si è dimesso venerdì scorso da Telecom Italia non perchè aveva litigato con Prodi, ma perchè sapeva o immaginava che sul suo gruppo si sarebbe presto abbattuta una bufera di grande portata con il coinvolgimento di manager o ex manager della sicurezza che rispondevano direttamente a lui. Così ha anticipato gli eventi, ha lasciato il vertice enfatizzando la rottura col governo per apparire alla fine una “vittima” della politica che si immolava a difesa della sacralità dell’azienda. Avrebbe dunque «usato» il governo, come ha detto ieri Prodi.
La designazione di Guido Rossi come successore al vertice di Telecom, in questa congiuntura, non appare allora solo una scelta di alto profilo manageriale, sebbene il professor sia più a suo agio con le aule universitarie che non con i “doppini” o il “roaming”, ma potrebbe avere un altro significato. Tronchetti Provera avrebbe affidato l’azienda a Rossi proprio per la sua sapienza giuridica, per la profonda conoscenza dei corridoi dei passi perduti di palazzo di Giustizia dove gode di una grande stima e ammirazione. L’urgenza dei vertici Telecom, dunque, non sarebbe stata quella di fronteggiare il nuovo riassetto, bensì di arginare l’impatto dell’inchiesta giudiziaria che ieri ha colpito i collaboratori infedeli. Ma altri capitoli devono essere scritti.
Non avendo il telefonino nella mia dependence italiana, ho il piacere di pagare 25 euro fissi di canone alla Telecom. Ma se potesse servire per difendere un povero innocente come Tronquito, spero tanto che me lo aumentino presto!
Mah, strane storie che escono un po' a comando.
Il problema è che da noi il più pulito c'ha la rogna.
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Anny
A questo punto possiamo solo augurarci che anche Prodi si dimetta, probablmente c'entrava anche lui con tavaroli... caxxata per caxxata.... ma quanto vengono pagati questi impostori dell'unita'? Che straccio di prove hanno per fare tali illazioni?
L'analisi nell'articolo di cui sopra è possibile ma...Tronky, se colpevole , non arginerebbe nulla con le dimissioni, sarebbe comunque indagato.
I veri motivi sono altri, e usciranno presto.