E' arrivato giusto un anno prima di Amarcord, di cui è anche prologo e in qualche modo introduzione. Come un atleta che si scalda prima della gara importante, il grande Federico mette il suo occhio visionario a disposizione del pubblico, per dare modo a tutti di gustare la realtà attraverso le sue lenti deformanti. Eccolo, giovane giornalista impacciato appena arrivato a Roma, scoprire volti, voci, suoni, odori e sapori di un calderone umano che annichilisce.
L'impatto con la casa dell'affittacamere, un microcosmo che brilla della luce della padrona tanto grassa da non riuscire a girarsi nel letto. Ed ecco l'avanspettacolo, i bombardamenti, i casini, scenari sconvolti e distorti da volti caricaturali, a volte spettrali, a volte imbambolati.
Il grande popolo multicolore di Roma diventa creta con cui il maestro costruisce la sua
opera d'arte, plasmandoli per riprodurre i suoi ricordi di gioventù. Si salta avanti e indietro, fino all'oggi del 1972, con Fellini che impersona se stesso impegnato a girare il film, con gli hippy in piazza di Spagna, le sfilate di moda ecclesiastica e qualche cammeo di classe, da Gorel Vidal ad Anna Magnani.
Scene imperdibili, una dopo l'altra, a comporre un collage che solleva lo spettatore dalla realtà e lo fa galleggiare nel cosmo del maestro. Una dopo l'altra, si interrompono all'improvviso, dissolvendosi in altre scene inaspettate, eppure sempre coerenti tra di loro. Un quadro di immagini e suoni che incanta.