Pena di morte, un fallimento della giustizia
di Piers Bannister, ricercatore di Amnesty International esperto di pena di morte
Un uomo è in tribunale. È accusato di omicidio. Non capisce la lingua in cui si svolge il processo. Non ha un difensore. Non capendo quello che viene detto in aula, non si rende conto di essere stato condannato a morte. Passa del tempo in prigione. Telefona al fratello per dirgli che va tutto bene, che se la sta cavando. Due ore dopo viene prelevato dalla sua cella, portato in una piazza e impiccato.
Non è una storia frutto dell'immaginazione: è quanto è successo a un somalo in Arabia Saudita nel 2005. È solo uno dei tanti esempi inaccettabili di ricorso alla pena di morte.
Nei pochi Paesi in cui ancora si giustiziano i condannati, il ricorso alla pena di morte è arbitrario: è usata in modo sproporzionato contro le minoranze etniche e altri settori svantaggiati della società. La pena di morte arriva alla fine di processi ingiusti, è inflitta agli innocenti, ai malati mentali e ai minorenni. Insomma, l'uso che si fa della pena di morte è un fallimento della giustizia.
Eppure è difficile persuadere alcuni Paesi che le esecuzioni non sono di alcuna utilità e che piuttosto danneggiano le società che vi fanno ricorso. I governi di Singapore, Cina, Stati Uniti, Iran e di molti altri Paesi sono convinti che la pena di morte aiuti a tenere sotto controllo la criminalità.
Amnesty International si oppone con fermezza a questa convinzione. Tutto dimostra che la pena di morte non ha un chiaro effetto deterrente. Anche se le esecuzioni servono a prevenire il crimine, persino i più ferventi sostenitori della pena di morte dovrebbero essere insoddisfatti del modo in cui è applicata, sempre che queste stesse persone siano a favore dello svolgimento di processi giusti, dell'uguaglianza di fronte alla legge e dell'importanza del suo buon corso.
Qualsiasi studio dei Paesi che ricorrono alla pena capitale oggi dimostra il profondo fallimento della giustizia e un attacco inaccettabile nei confronti dei diritti legali delle persone coinvolte. La pena di morte è uno strumento in mano ai politici che vogliono dare l'impressione di occuparsi dell'alto tasso di criminalità o instillare la paura nella gente.
Una volta un importante politico degli Stati Uniti ha chiesto: «Cosa useremo per controllare la gente se non ci sarà la pena di morte a spaventarla?».
Dopo aver lavorato per sedici anni contro la pena di morte, non posso indicare un solo paese in cui gli standard di giustizia richiesti per l'applicazione della pena capitale si avvicinano a quelli stabiliti dalle Nazioni Unite per l'amministrazione della giustizia.
I 23 Paesi in cui si sono tenute delle esecuzioni nel 2005 (sembra che le cifre nel 2006 non si discosteranno molto) lo hanno fatto con un atteggiamento sprezzante nei confronti della giustizia.
Negli Stati Uniti i pregiudizi razziali hanno un peso schiacciante nel ricorso che si fa alla pena di morte, soprattutto in considerazione della razza della vittima. Le cifre di americani neri e bianchi vittime di omicidi sono simili, ma dal 1976 l'80 per cento dei condannati a morte erano accusati dell'omicidio di un bianco e solo il 14 per cento di quello di un nero.
Inoltre il numero di sentenze sbagliate che sono regolarmente ribaltate dai tribunali americani è una prova del fatto che il sistema giudiziario è seriamente compromesso. Dal 1973, 123 persone che erano state condannate a morte sono state scagionate prima dell'esecuzione. Ma una statistica più preoccupante è quella della Northwestern School of Law, secondo cui negli Usa dal 1973 sono state giustiziate 38 persone innocenti.
In Cina molte persone sono condannate a morte dopo aver confessato il crimine sotto tortura. Teng Xingshan è stato ucciso dopo aver confessato l'omicidio di sua moglie, una confessione che poi ha ritrattato sostenendo di essere stato picchiato dai poliziotti. Eppure le autorità hanno dato il via libera alla sua esecuzione e Teng Xingshan è stato ucciso nel 1987. Sedici anni dopo, sua moglie è ricomparsa, viva e in buona salute.
L'Iran è uno dei soli due paesi in cui sono condannati a morte anche i minorenni colpevoli di aver commesso un crimine, in violazione della legge internazionale. Per esempio nel 2004 Atefeh Rajabi, una sedicenne probabilmente malata di mente, è stata impiccata pubblicamente nella provincia iraniana di Neka per aver commesso «atti incompatibili con la castità». Il suo coimputato, un uomo di cui non è stato reso noto il nome, sarebbe stato condannato a 100 frustate. È stato rilasciato dopo l'esecuzione della sentenza.
Proprio per i possibili errori e abusi, la maggior parte dei governi ha deciso di abbandonare la giustizia «occhio per occhio, dente per dente» per abbracciare una linea politica penale più progressista. Nel mondo il ricorso alla pena di morte è sempre più raro: 129 paesi hanno abolito la pena capitale dall'ordinamento giuridico o nella pratica e nel 2005 solo in 23 paesi si sono tenute delle esecuzioni. Il cammino verso un mondo senza pena di morte è inarrestabile.
Uccidere a sangue freddo un prigioniero indifeso è un atto ingiustificabile. L'individuo incriminato non è più una minaccia per la società perché è in carcere eppure le autorità scelgono quando, dove e come dovrà morire.
Il mondo sta imparando che la pena di morte è un atto barbaro che destabilizza tutte le società che vi fanno ricorso. Come misura di controllo del crimine è inefficace. Al contrario, molti dei paesi in cui è in vigore la pena di morte il tasso di violenza è più alto di quello di altri paesi in cui non si svolgono esecuzioni.
Tanti politici hanno dato prova di rispettare i diritti umani abolendo la pena capitale. Purtroppo a molti di più manca questo coraggio e si sente ancora dire troppo spesso che «non siamo pronti ad abbandonare la pena capitale».
L'episodio della ragazza iraniana è raggelante... :(
Praticamente tutti gli episodi relativi all'esecuzione della pena di morte hanno connotazioni agghiaccianti.
Purtroppo, in tempi come quelli odierni, che ci hanno abituato al sensazionalismo, pare che solo i casi limite riescano ad inteccare il muro di indefferenza che cinge moltissime coscienze.
E non dimentichiamo gli esagitati che invocano la pena capitale anche laddove non esiste.
Se c'è una critica verso gli USA con la quale concordo perfettamente, è quella riguardo alla pena di morte. Il fatto di essere l'unica nazione civile ed avanzata ad avere la pena di morte dovrebbe far vergognare e profondamente riflettere ogni cittadino americano.
Che c'è l'abbiano Cina, Iran, Arabia Saudita, non stupisce più di tanto, ma il fatto che sia ancora presente negli USA è intollerabile.
Fortuna che almeno 12 stati su 50 l'hanno abolita ; piano piano forse si arriverà ad annullarla completamente.
Per gli altri paesi invece, la vedo molto dura, per la Cina in particolare.