Quando i socialisti...
di Giuseppe Tamburrano
Non sono né a favore né contro il Partito democratico. Sono un socialista apolide: mi definisco socialista retroattivo. Preferirei che nascesse o rinascesse un partito socialista, ma visto che di socialisti ce ne sono pochini... Come cittadino sono, invece, interessato: vorrei che nascesse un partito a vocazione maggioritaria nell’area nella quale vago.
Ho letto con attenzione le cronache del convegno di Orvieto. Da esso è venuta la spinta ad andare avanti. Incamminarsi è importante; ma se ti incammini deve pur dire dove vuoi andare e come ci vuoi arrivare. Invece a Orvieto non è stato detto nulla sulla identità di tale partito, sulle idee, i valori, i progetti. Prodi ha affermato che farlo è un “dovere morale”: ma da Machiavelli a Croce ci è stato insegnato che politica ed etica sono cose diverse. E quanto all’identità non ho capito se il nuovo partito sarà di centro o di sinistra. Probabilmente di centro-sinistra: e il popolo diessino non sarà più fatto di compagni: altro che la Bolognina! Quanto al modello di tale partito uscirà nuovissimo, tra primarie ed elezioni dirette, come Minerva dalla testa di Giove, sarà una federazione o nascerà da una classica unificazione?
A tale proposito mi tornano in mente le vicende dell’unificazione socialista. Le racconto perché historia magistra vitae (spesso senza allievi).
I socialisti si divisero nel gennaio del 1947 perché avevano idee antitetiche sui rapporti col Pci e con Mosca. Quando Nenni, nel 1956, dopo il rapporto Krusciov sui crimini di Stalin prese le distanze dal comunismo, Saragat si precipitò a Pralognan dove Nenni era in vacanza (era il 29 di agosto) e gli disse che l’ostacolo era stato rimosso e i due partiti potevano tornare assieme. Non se ne fece niente perché secondo Saragat il Psi era ancora inquinato di filocomunismo. In realtà Saragat dopo il primitivo entusiasmo fece i conti e capì che nel nuovo partito sarebbe stato minoranza.
Successivamente la sinistra socialista dopo l’ingresso del Psi nel governo Moro (1964) lasciò il partito accusandolo di essersi “socialdemocratizzato”; Psi e Psdi sono insieme al governo: non vi sono né ragioni né pretesti per restare separati e nel 1966 riparte l’unificazione. Si tengono i congressi dei due partiti e, dopo, la Costituente. Ho vivido il ricordo di quella giornata al Palazzo dello Sport dell’Eur di Roma: il grande entusiasmo, le tante bandiere rosse, le barbe riformiste, le musiche proletarie.
Il processo di unificazione socialista fu un evento molto importante. Sembrava destinato a sconvolgere l’assetto bipolare Dc-Pci con la nascita di una terza forza di sinistra democratica. Suscitò grandi timori sia nella Dc che nel Pci, molte attese e un vigoroso risveglio di forze laiche e socialiste che si espresse in numerosi convegni, appelli, pubblicazioni, adesioni di importanti personalità.
Nenni, dopo una larga consultazione, scrisse una Carta dell’unificazione che ottenne molte prestigiosissime firme.
Le elezioni del 1968 furono una delusione. Mancarono i voti socialisti (il 4,5%) andati al nuovo partito, il Psiup, nato dalla scissione della corrente di sinistra del Psi. Il Partito socialista unificato barcollò, ma restò in piedi. Dopo le elezioni ci fu un regolare congresso, ma nel corso dei mesi si verificò un rimescolamento di correnti, talché gli ex socialdemocratici finirono in minoranza. Non accettarono questo verdetto democratico e lasciarono il partito.
Insegna qualcosa questa vicenda? Forse sì. Psi e Psdi avevano storia e valori comuni; l’unificazione avvenne in un clima favorevole, resse alla sconfitta elettorale. Perché poi fallì? Perché non amalgamò le due strutture, non sciolse le concrezioni di interessi. Gli ex socialdemocratici, come dieci anni prima, temettero di essere marginalizzati, fagocitati dal più grosso fratello. È l’inesorabile legge weberiana degli apparati.
Democratici di sinistra e Margherita vengono da differenti storie e culture. Non si avverte attorno all’operazione un grande fervore di iniziative. Sono due strutture, due identità diverse. Il Partito democratico sarà la coabitazione di queste due diversità?
Può darsi che, se non perdono pezzi per strada come successe ai socialisti, i risultati elettorali non saranno negativi.
Vi è la questione dell’appartenenza europea, importante anche perché il collaudo dell’unificazione avverrà alle elezioni europee. Importante, ma in realtà superabile. Il vero problema è quello ricordato per l’unificazione socialista: i rapporti di forza interni. Saragat non accettò di essere minoranza. L’accetterebbe Rutelli?