Un Paese in cerca di risposte
Sintesi dell’intervento di Anna Finocchiaro a Orvieto
Se dovessimo usare una immagine per descrivere l’Italia, dovremmo dire che il nostro è un Paese in attesa. Una attesa che dura ormai da più di dieci anni. E questa attesa è qualcosa di diverso e che va oltre, io credo, la descrizione della lunga transizione italiana e dei suoi danni. Perché più di dieci anni fa, sia pure confusamente e dopo la tempesta dei primi anni 90, le promesse che il nostro campo di forze aveva individuato, esplicitato ed assunto di fronte ai cittadini erano state più di una.
Si trattava della promessa della stabilità dei governi, e quindi dell’efficacia del governare, la promessa del valore del voto e della scelta elettorale nella determinazione degli indirizzi di governo e nel riscontro continuo dell’affidabilità del governare rispetto alla semplice promessa elettorale. C’era anche una promessa diciamo così di indirizzo: indicare una chiara direzione di marcia per il Paese mentre il mondo cambiava e cambia.
Queste promesse in qualche modo sono state disattese. Molte delle ragioni le conosciamo e sono state anche discusse qui ad Orvieto. La verità è che probabilmente la promessa allora si resse solo, o almeno quasi esclusivamente, sul cambiamento di legge elettorale, sulla speranza del bipolarismo e dell’alternanza.
A tutto questo non si accompagnò e non corrispose una modificazione del sistema politico che assecondasse coerentemente quelle scelte ma, al contrario, la frantumazione delle forze politiche rese quelle promesse debolissime.
Io credo ci sia una conferma di quello che dico anche nel risultato dell’ultimo referendum istituzionale, del cui successo ci siamo, giustamente, impadroniti ma sul cui profondo significato dobbiamo ancora riflettere bene.
Certamente la grande affluenza dei cittadini alle urne ci dice che è stata sconfitta l’idea costituzionale della Casa delle Libertà, ma ci dice anche un’altra cosa: che gli italiani non si fidano del cambiamento, non ritengono affidabile il cambiamento perché non ritengono onorata quella antica promessa e quindi percepiscono ogni cambiamento come «infido». Non è stato così forse anche un po’ per il decreto Bersani e per la nostra Finanziaria?
Quella partecipazione al referendum, certamente frutto del nostro impegno, ha sì consentito che quella sciagurata riforma non diventasse legge, ma ci ha anche detto che di fronte ad incertezze e a promesse non mantenute il nostro Paese preferisce fermarsi a guardare, perché non si fida.
Se una crisi delle classi dirigenti in Italia esiste, essa nasce anche da quella promessa non mantenuta, dal non essere riusciti a dare risposte convincenti a domande che nascevano dalla crisi di allora della nostra Repubblica. E questo Paese è così più schiavo di caste e corporazioni, più attento al particolare che all’interesse generale. E tutto ciò ha sottratto e sottrae le classi dirigenti di questo paese a quelle «responsabilità nazionali» a cui invece noi dobbiamo nuovamente chiamarle. Ciò che abbiamo fatto con la costruzione della coalizione dell’Ulivo è stato il nostro importante e democratico contributo, il nostro tentativo di mantenere quella promessa, mentre il centrodestra rispondeva con il leaderismo e il populismo berlusconiano. Ma ora dobbiamo andare avanti, costruire il partito nuovo.
Io trovo nel tenere finalmente e completamente fede a quella promessa e nella necessità di rispondere a quella attesa, forte nel Paese, ma che ogni giorno crea danni, le ragioni e la speranza, laica, del partito democratico: una grande forza nazionale, per dirla con Alfredo Reichlin.
E lo dico anche in ragione delle assenze che ci sono qui ad Orvieto. Le ragioni del partito democratico non sono tutte interne ai partiti e alle loro dinamiche. Le motivazioni più profonde sono nelle questioni che ho cercato di affrontare fino ad ora. Credo che andare verso il partito democratico sia la scelta di una classe dirigente responsabile nei confronti del Paese.
Certo, ho sentito anche io nei mesi scorsi un deficit di approfondimento sui contenuti e troppe discussioni su tappe e forme. Ma la discussione qui ad Orvieto mi ha rincuorato. E penso ci sia la necessità che tutte le anime che compongono i Democratici di sinistra contribuiscano a questa discussione: a definire insomma una analisi comune e una visione strategica del futuro del paese. Voglio per questo insistere su due temi che ritengo prioritari per il nostro «esercizio».
La prima è quella che riguarda la questione etica, intesa, a mio modo, nel senso della grande questione della «regolazione» in Italia. Su questo verranno ridefiniti ruoli, ambiti, responsabilità e funzioni della politica ma si ridefinirà, probabilmente, anche il modello istituzionale e costituzionale del nostro paese.
Perché se è ovvio che questi anni hanno visto il dibattito politico-istituzionale fortemente concentrato sulla divisione dei poteri, sulla loro tripartizione, sulla difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, sul ruolo del Parlamento, ora ci troviamo nella necessità di comprendere come questo paese possa essere regolato svincolandosi da una tradizione storica che, per esempio, ha affidato fino ad ora, quasi esclusivamente il controllo sulla osservanza delle regole alla magistratura e ha affidato alla sanzione la garanzia dell’osservanza della regola stessa. Con risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi. Insomma il nostro è un sistema vecchio anche nella ripartizione delle responsabilità rispetto alla osservanza delle regole. E qui io vedo uno straordinario spazio e ruolo per chi vuole farsi nuova classe dirigente nel nostro Paese: e penso anche agli imprenditori e penso alle professioni.
Ma se non ci sarà una missione nazionale assunta da una grande forza politica nessuno riuscirà a spingere verso responsabilità coì alte né gli imprenditori, né le professioni, né quei soggetti che oggi potrebbero già essere in grado di contribuire ad un modello di regolazione del mercato, della vita economica del paese, del suo sviluppo.
La seconda questione che vorrei toccare riguarda le tematiche della vita e della morte.Permettetemi di parlarne con cognizione di causa. Sto su un fronte, quello del Senato, così difficile ma proprio per questo, a volte, più produttivo dal punto di vista della ricerca di un terreno comune che diventa più significativo e più forte delle diversità dalle quali si parte.
Mi dispiace che non ci sia Fabio Mussi qui perché proprio con lui, proprio su una questione di “crinale”, quella che riguarda l’utilizzo delle cellule staminali nella ricerca, noi a Palazzo Madama, intendo noi dell’Ulivo, siamo riusciti a trovare un punto di incontro fecondo.
Questo significa che lo sforzo per trovare un comune terreno è utile e produttivo. A partire dalla individuazione di un metodo che ha dato una definizione più vera di ciò che io intendo per laicità: non il luogo del laicismo ma al contrario l’unica garanzia perché le opzioni dei credenti e dei non credenti abbiano, tutte, identica dignità e ospitalità. Ulivo come luogo ospitale nei confronti delle diversità. Se osservassimo più attentamente la realtà ci renderemmo conto che, a prescindere dall’appartenenza e dai valori di cui siamo gelosi portatori, ci accorgeremmo che molti di noi parlano già con un linguaggio “meticcio”: in questi giorni negli interventi di molti che non sono mai stati sfiorati dalla militanza femminile e femminista, penso al senso del limite evocato da Giuliano Amato, ad esempio, ricorrono categorie e parole che sono del pensiero femminile. O pensiamo alle categorie dell’ambientalismo...
Pietro Scoppola ed io usiamo la categoria della «dignità umana» come luogo dal quale ripartire per affrontare certi temi.Io aggiungo, però, dignità umana e, insieme, libertà e responsabilità. Perché questo vuol dire fondare una idea più avanzata anche rispetto a quello che sta scritto nella nostra Costituzione: cioè la parola dignità umana non riposa solo sull’'attenzione e sulla tutela pubblica ma riposa anche e soprattutto sulla valorizzazione della libertà individuale e della sua responsabilità. Il senso del limite appunto...Certo dobbiamo darci delle regole. E forse queste regole sono estranee alle regole della politica così come noi normalmente la pratichiamo: noi abbiamo bisogno di non avere tra di noi diffidenze e reticenze. Dico questo perché è necessario, di fronte ad un compito così entusiasmante, ma che per certi versi ci spaventa, essere generosi.E allora, da questo punto di vista, permettetemi di aggiungere una ultima considerazione un po’ provocatoria: sono contenta che nelle relazioni si sia fatto riferimento alla partecipazione femminile e dei giovani al nostro grande progetto. Ma ora dai documenti ai fatti.
O il partito democratico sarà il luogo delle donne e dei giovani, non perché ad essi si faràspazio, ma perché la loro partecipazione sarà «co-sostanziale» , o il partito democratico non sarà.
dalla lettura della relazione di anna finocchiaro si evince da una parte un certo stupore nel cogliere l'assenza di una parte del partito ds alla conferenza di orvieto, dall'altra, pur nella denuncia della disattesa risposta della politica alle attese degli italiani, la mancanza di autocritica da parte della dirigenza del centro sinistra nel non aver indicato in ben 10 anni una linea guida e chiara al proprio elettorato di riferimento.
mi chiedo se i nostri dirigenti cerchino mai di pensare e d'immedesimarsi nell'elettore che dovrebbe scegliere noi a discapito di altri partiti.
se immaginiamo la politica come un grande mercato , con tanti prodotti simili, esposti sui banchi con differenti prezzi e confezioni , dovremmo seguire il classico ragionamento che l'acquirente tipo fa a se stesso prima di comperare un prodotto piuttosto che un altro
1) denaro disponibile
2) qualità del prodotto
3) scadenza
4) rapporto prezzo-qualità
5) bene di prima necessità o voluttuario
un elettore che si reca a votare, di fronte alle decine di prodotti-partiti in promozione si pone più o meno le seguenti domande:
1) questo partito saprà garantirmi una buona
capacità economica?
2) la qualità della mia vità sarà anche un
impegno primario del politico che scelgo?
3) saprà tutelare i miei interessi e quelli
della mia famiglia?
4) se viene meno al patto elettorale potrò
fare in modo che sia possibile avere dei
correttivi?
discorsi terra terra probabimente, ma se non cminciamo a capire che chi va a votare sono persone in carne ed ossa, con problemi, figli da allevare, scadenze da onorare, lavoro da cercare o mantenere, difficilemente si potrà mai provare un filo che leghi la politica all'elettore, a meno che non faccia politica di palazzo e allora lì è tutt'altra faccenda, l'incomunicabilità sarebbe giustificata e tollerata se non addirittura ricercata.
orvieto è una prima tappa o l'epilogo di una visione politica popolare e democratica?
i nostri politici siano stati ad orvieto per fare luce e chiarezza o cercare nuovi avvitamenti linguistici da offrirci per le prossime diatribe elettorali alle amministrative di primavera in molti comuni italiani?
maria