Una cipolla tanto grande da essere trasportate su un carretto, galline alte più dei bambini, carote grandi come tronchi, laghi di latte in cui fare il bagno e alberi che producono monete d'oro. E' il sogno per tante famiglie siciliane di inizio secolo scorso, che mentre pascolano le pecore magre a piedi scalzi sognano un mondo in cui la vita sia facile. La famiglia mancuso sogna, si lacera, ci pensa e ci ripensa, poi finalmente decide di partire. Ecco allora la lunga marcia verso palermo, con l'arrivo nella città che non hanno mai visto, il caos del mercato che sgomenta chio non ha visto altro che campi e cielo. Ed eccoli sul piroscafo, sempre più sgomenti, ma solidi grazie alla loro sicilianità che il regista sa cogliere così bene, imbarcati quasi come animali, stipati gli uni sopra gli altri in una stiva intasata di cuccette e odori che ti sembra di sentirli mentre la telecamera scruta tra i corpi. Stipati ma forti e dignitosi, sempre, quando si scambiano una stretta di mano per presentarsi tra vicini di cuccetta, in una promiscuità che sgomenta, o quando si rasano e si ripuliscono prima di scendere in un'america che non vedono, nella nebbia di Ellis Island. Il lungo calvario non finisce con lo sbarco, ci sono le procedure di immigrazione. Le code interminabili, le perquisizioni, gli esami corporali umilianti, i test di intelligenza ("noi crediamo che l'intelligenza sia contagiosa"), le regole che devono essere rispettate, pena la deportazione.
La regia di Emanuele Crialese (che aveva esordito con l'ottimo
Respiro) è perfetta e rende a tratti geniale
questo film che rappresenterà (pare) l'Italia al prossimo Oscar. La scena della partenza dda Palermo, con quel distacco della nave che sembra lacerare l'anima sia di chi ci sta sopra, sia di chi piange in banchina, è al contempo dolce e feroce, vera e irreale, e tanto intensa da togliere il fiato allo spettatore, che vive lo strappo come se fosse lì. ma è tutto bello e intenso questo Nuovomondo, che riesce a raccontare episodi drammatici della vita del nostro paese senza angoscia, ma con profondo rispetto per le fatiche e i dolori di tante persone che hanno scommesso le loro vite su una speranza di un mondo migliore.
Perfetto il cast, con i due protagonisti - Vincenzo Amato (già con Crialese in respiro) alla sorprendente Charlotte gainsburg (intensissima e imperscrutabile) - che spiccano per intensità e misura, ma anche tutti i comprimari. Abbiamo adorato Aurora Quattrocchi nella parte di Donna Fortunata Mancuso, esordiente sul grande schermo, eppure tanto più brava di un esercito di attrici di grido. Un film che mette in uno stato d'animo complesso. Da lato c'è l'ammirazione per queste persone coraggiose e inarrestabili, ammirevoli nella saggia solidità con cui affrontano l'ignoto. Dall'altro c'è la rabbia per chi si ostina a raccontare fanfaluche sulla supremazioa della nostra cosiddetta civilità su quella di altri popoli. Anche senza domandarsi se le città intasate di auto sono un segno di civiltà, è comunque notare che un centinaio di anni fa i disperati delle carrette del mare che tanto infasticdiscono i fascisti travestiti da persone per bene. Per fortuna di tanti italiani che sceglievano l'ignoto, nei primi del '900, pur nella durezza con cui gli Stati Uniti controllavano glii immigrati, non c'è mai la ferocia con cui i nostri Bossi-Fini e Borghezio-Calderoli hanno legiferato o semplicemente si esprimono sui poveri profughi che riescono a sopravvivere al mediterraneo e allo scorbuto.
Per favore, quando vedete un povero extracomunitario in evidente difficoltà, spaesato, perso, pensate che cent'anni fa vostro nonno avrebbe pouto trovarsi nelle medesime condizioni. Un film che non può, per nessuna ragione, essere evitato.