Quel 16 ottobre del ’43 a Roma
di Furio Colombo
Oggi chiedo ai lettori di seguirmi lungo due strade, la memoria e una speranza. Oggi è il 16 ottobre, una data che l’Italia non dovrebbe mai dimenticare. Prima dell’alba di quel giorno del 1943 formazioni di SS, le truppe scelte hitleriane, con la complicità di fascisti italiani, hanno circondato le strade del ghetto di Roma, hanno costretto tutti coloro che hanno trovato nelle case ad ammassarsi su una colonna di camion, hanno caricato anche i neonati, i malati, i vecchi, legandoli alle sedie. Più di mille cittadini italiani ebrei sono stati catturati a cinquecento metri dal Vaticano, nel mezzo di una città in cui non era neppure cominciata la Resistenza.
Più di mille persone sono state deportate (dopo una sosta di giorni in un collegio militare sorvegliato da militi fascisti) e solo dodici sono tornate.
Nuovi documenti ci dicono che le unità tedesche non si sono limitate alla razzia di via Arenula e del quartiere romano intorno alla Sinagoga, ma sono andate a colpo sicuro anche in altre parti della città. Hanno cercato, trovato e catturato cittadini italiani ebrei anche a Trastevere, a Montesacro, a Testaccio. Hanno potuto farlo perché, a quanto pare, la polizia fascista aveva fornito mappe, nomi e indirizzi a queste truppe appena arrivate a Roma. Hanno potuto farlo anche perché al diffuso sentimento personale e umano di molti prelati, superiori e guardiani di chiese e conventi, non ha fatto riscontro alcuna presa di posizione politica in difesa di quei cittadini. C’era una sola autorità, allo stesso tempo italiana e internazionale, nella città di Roma quel 16 ottobre del 1943. Quella autorità, la Santa Sede, ha mostrato, prima e dopo e in molti modi comprensione e solidarietà agli individui e alle famiglie in pericolo che ha potuto salvare. Ma politicamente, ovvero quanto al tremendo principio che ha ispirato leggi e guidato l’immensa impresa della deportazione di un popolo, non c’è stata alcuna voce né alcuna obiezione pubblica.
Quando, negli anni Ottanta, la studiosa americana Susan Zuccotti - che allora lavorava presso la Columbia University - ha lavorato al suo libro più importante, «The Italian Holocaust» (L’Olocausto italiano) per il quale io ho scritto l’introduzione, l’autrice mi ha fatto vedere pagine di diario che le erano state mandate da una signora romana che aveva accesso al Vaticano e che, quasi nelle stesse ore della razzia di Roma, era riuscita a farsi ricevere dal Cardinale Segretario di Stato. La signora aveva annotato nel suo diario: «Occorre fermarli. Se gli ebrei arrestati partono non tornano più». Non era una notizia, in quelle ore. Sul destino dei deportati ebrei nessuno sapeva niente, ma era un triste e ragionevole presagio, dopo avere constatato l’impegno dettagliato, informato, implacabile, di quella spedizione militare contro donne, bambini, famiglie, neonati, malati e morenti.
La sua richiesta al Segretario di Stato Vaticano, con cui aveva abbastanza familiarità da ottenere una visita all’alba era: sono italiani, bisogna che non li portino via da Roma. La risposta dell’alto diplomatico vaticano - in quella nota di diario - era stata formalmente logica: «Li arrestano e li deportano in quanto ebrei. Non c’è una autorità diplomatica degli ebrei in Italia o nel mondo, che io possa avvisare».
Ma poiché una domanda così drammatica era stata posta, per non lasciarla cadere nel silenzio, il Cardinale Segretario di Stato (e qui concordano altri e più autorevoli documenti) ha subito convocato l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede (chi altri?). E gli ha affidato una «nota verbale» in cui si diceva al governo tedesco tutta la preoccupazione delle autorità vaticane per quanto stava accadendo a Roma. Non si ha notizia di alcuna risposta e neppure gli altri interventi in materia, prima o dopo, anche se non sarà mai abbastanza ricordato l’aiuto silenzioso offerto dalla Chiesa italiana ai cittadini ebrei ricercati che riuscivano a sfuggire al primo arresto.
Pensate che non sia nato anche qui, in queste ore, in questo tragico momento italiano (così simile a quanto stava accadendo in tutta Europa, nel silenzio di tutta l’Europa) l’idea, l’ideale, il sogno, di uno Stato per un popolo che veniva perseguitato da secoli e da secoli non aveva un punto di salvezza in cui raccogliersi? Non è ragionevole immaginare che proprio in quelle ore, in quei mesi, in quegli anni di dolore e di sangue, il sogno irredentistico e risorgimentale del sionismo abbia cominciato a diventare per molti un realistico e necessario progetto politico?
Certo ci ha pensato appena cinque anni dopo il deputato comunista (e presidente dell’Assemblea Costituente che ha firmato la Costituzione italiana) Umberto Terracini. Per una curiosa coincidenza ha parlato il 16 ottobre 1948 alla Assemblea interparlamentare riunita per discutere quale posizione prendere sull’attacco che Egitto, Libano, Siria, Giordania e Iraq stavano muovendo al neonato Stato d’Israele. Trovo il testo di ciò che ha detto Terracini nel libro appena pubblicato dello storico Luca Riccardi (Università di Cassino) dal titolo «Il Problema Israele». Mi aiuta (ma credo che sia anche l’intento del libro) a collegare un’epoca storica con quella che stiamo vivendo, attraverso ciò che c’è di comune: la lotta contro il fascismo e il nazismo.
Vorrei far notare il sottotitolo del libro di Riccardi: «Diplomazia italiana e Pci di fronte allo Stato Ebraico».
È una straordinaria collezione di documenti, da cui risulta la ferma opposizione del Vaticano verso Israele, la diffidenza verso Israele dell’Ialia filo-araba, la lontananza dell’Europa, l’iniziale assenza degli Stati Uniti (contro tutte le leggende). E la presenza solidale, accanto al giovane Stato appena nato e già in pericolo dei comunisti italiani. Ecco una parte dell’intervento di Terracini, proprio mentre scoppiava la prima guerra per la cancellazione di Israele, mentre il resto del mondo sembrava disposto a guardare.
«Sarebbe ben strano che nel momento in cui gli interessi degli arabi possono essere rappresentati da ben cinque Paesi (Egitto, Libano, Siria, Giordania, Iraq), il popolo ebraico si trovasse qui senza voce. Quanto a me, non ho dimenticato gli orrori degli stermini di massa degli ebrei d’Europa, i mucchi di cadaveri, le centinaia di migliaia di famiglie smembrate, distrutte, ridotte in cenere; la tortura, la carneficina spaventosa sulla quale il governo nazista progettava di costruire la sua selvaggia religione razziale. Io non arrivo a farmi una ragione della attitudine di alcune personalità illuminate che, avendo condotto i popoli arabi sulla strada della indipendenza e del progresso, sembrano ora preferire di mettere in pericolo la loro opera storica piuttosto che accettare una transazione che è stata dettata da una ricerca di equità nella quale vogliamo fondare il mondo rinnovato. Sì, la Palestina può diventare i nuovi Balcani in una Europa senza speranza. Ma lo diventerà se alla fine prevarranno gli odi ereditati del passato».
Forse ricordare queste parole di un grande protagonista dell’antifascismo italiano della sinistra e della rinascita dell’Italia con la Costituzione nata dalla Resistenza, mentre tanta opinione a sinistra sembra provare insofferenza e anche ostilità verso Israele (non la politica ma l’esistenza stessa di quello Stato) non è fuori posto. Ricordiamo ciò che è successo a Roma il 16 ottobre 1943, quando, come ha osservato il Cardinale Segretario di Stato, si poteva convocare per chiarimenti solo l’ambasciatore tedesco. Quello di Israele non c’era. E avrebbe dovuto non esserci per sempre.
un solo appunto a Colombo: il 16 ottobre la reistenza a Roma era gia' cominciata e gia' aveva le sue vittime ed i suoi eroi.
dell'appoggio dei comunisti italiani al nascente stato d'israele e' stato scritto da poche e sporadiche fonti, sicuramente ci fu anche un grosso sciopero dei portuali contro il blocco delle coste palestinesi imposto dalla marina inglese.
per non parlare delle armi per l'esercito israeliano fornite dalla repubblica socialista di cecoslovacchia.
...dell'appoggio dei comunisti italiani al nascente stato d'israele e' stato scritto da poche e sporadiche fonti,...
Ricordo voci (e mi piacerebbe averne conferma) di un paio di navi verso la palestina partite da Ravenna, nel '46 47, comunque prima della proclamazione dello stato.