Governare le paure. Islam. Il caso di Genova
Che cos' è laicità? E che cosa significa oggi avere un'identità laica?
Qual è la minaccia che sottostà alla costruzione della moschea a Genova? Perché costruirla sarebbe un gesto così scandaloso o comunque il segnale di un cedimento al nemico?
Essere laici, oggi significa, preliminarmente, tenere divise queste domande. Se noi oggi nella discussione pubblica le sovrapponiamo e confondiamo in un'unica domanda, allora possiamo anche dichiarare inutile la discussione che stiamo avviando: semplicemente decidiamo che la laicità è una subordinata di una specifica forma di fede e che questa specifica forma di fede decide degli spazi delle altre fedi.
Ciò detto tuttavia, se il nostro obiettivo deve essere il governo delle paure, allora è bene anche dire che esse né si superano, né si risolvono nominandole, ma governandole. Nella discussione sulla moschea il problema della paura esiste. Lo prova anche il contrasto fra i parroci di Cornigliano che non la vogliono e i frati di Campi che hanno offerto l'area per dare seguito a una soluzione ideata dall'ex arcivescovo Tarcisio Bertone. Due istanze opposte che provengono dalla stessa istituzione.
Si può decidere di spingere l'acceleratore su di esse e erigere muri di non comunicazione. Oppure si può procedere verso pratiche di confronto e di coabitazione, all'interno di regole certe. Laicità significa scegliere verso questa seconda ipotesi.
Probabilmente per molti la moschea è un luogo di riunione non sufficientemente sorvegliato, sospetto, comunque che si sottrae allo sguardo esterno. Un luogo dove si ritrovano persone nei cui confronti sono presenti diffidenze.
Diciamocelo direttamente. Negli ultimi cinquant'anni l'Italia è passata da un modello sociale a forte connotazione cattolica a una situazione in cui la società ha lentamente ha spinto al margine la sfera del religioso, o comunque dove la pratica della frequentazione della Chiesa si è abbassata. In questo passaggio la nozione di laicità ha spesso coinciso con un senso diffuso di irrilevanza del religioso. Laicità e irreligiosità hanno coinciso: se numericamente questa condizione può anche apparire come una sconfitta della fede, culturalmente è anche una sconfitta della laicità, assorbita come terreno della non identità, dell'assenza di vincolo morale.
La laicità è molte cose, ma soprattutto è una dimensione mentale e culturale che vincola gli individui all'interno di uno spazio pubblico comune e condiviso. In forza della sua accettazione sono garantiti e riconosciuti spazi di espressione dentro un sistema legislativo dato. La laicità, prima ancora che un'ideologia, è una convenzione. Di questa convenzione noi oggi dovremmo parlare e dunque anche riconoscervi quei vincoli cui tutti noi - in un sistema di diritto - siamo obbligati a sottoscrivere.
Così come per la scuola araba di Milano, la vicenda che nella settimana scorsa ha occupato le prime pagine dei gioranali, la questione della moschea non testimonia del grado di liberalità di cui siamo capaci o meno. Il diritto non è un optional e non prevede garantisti a giorni a orari alterni. Possiamo e dobbiamo, anche per farci carico delle ansie e delle angosce di molti cittadini, assumere una politica attenta, volta al controllo.
Ma la risposta laica alla costruzione della moschea non è inibire questa scelta. E' fare in modo contemporaneamente di consentire a che un a pratica religiosa esca dalla clandestinità e allo stesso tempo imporre dei vincoli e delle norme, perché quella pratica sia anche un'opportunità di conoscenza. Essere laici non significa propagandare un inconsistente quanto ridicolo “Conoscersi è bello!”, ma sapere che la conoscenza e il confronto si fa tra persone, diverse, lontane e anche avversarie, sulla base di una premessa appunto: che le regole valgono per tutti.
17.10.06 13:08 - sezione
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