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di Paolo Prodi
Quando una parola viene usata troppo frequentemente mi si accende nel cervello un campanello d’allarme e non resisto alla tentazione di reagire per cercare di impedire o almeno ostacolare la diffusione di un uso improprio dei termini. Già due anni or sono notavo su questo giornale che l’allora presidente del Consiglio Berlusconi si vantava di aver attuato più riforme lui in tre anni che i precedenti governi in mezzo secolo.
Proprio per questo mettevo in guardia la sinistra da un uso troppo disinvolto delle parole riforma e riformismo cercando di dimostrare, sulla base della storia politica e religiosa d’Europa che si trattava di un uso improprio.
La riforma e le riforme si definiscono in funzione di lotta contro la conservazione vista come non valore: riformatori sono tutti coloro che vogliono cambiare lo stato delle cose in un mondo i cui ordinamenti vengono visti come indecenti; le riforme sono tutti gli interventi diretti ad attuare mutazioni o modifiche di un’istituzione, di un ordinamento o di uno stato di cose “con lo scopo di migliorarli e renderli più giusti”. Diverso da quello della parola riforma è il significato della parola riformismo così come la parola riformatore è diversa da quella di riformista. Riformista e riformismo sono termini che si sono diffusi solo nel Novecento: non significano più la proposta di restaurare o instaurare una “forma” ideale della vita politica o religiosa, proposta a cui la parola ri-forma per natura sua è legata (un sistema di valori, una visione del mondo) ma servono per identificare una linea politica, alternativa a quella rivoluzionaria, come cammino, come processo che vuole modificare dall’interno il sistema senza distruggerlo.
Oggi, dopo la caduta delle ideologie, siamo tutti o quasi riformisti. Il guaio è che, appunto, si dicono tali anche i partiti e gli uomini della destra come quelli della sinistra. Tutti vogliono modificare il sistema, anche se in modi diversi: si pensa da parte di tutti che il “valore” consista nello stesso mutamento e con il declino delle ideologie come visioni totalizzanti del mondo - che nessuno può rimpiangere - sembrano scomparsi anche i fini ultimi dell’agire politico, gli unici che possono giustificare l’impegno al di là delle pur giuste ambizioni personali di gestione del potere.
A questo proposito quindi penso sia opportuno fare tre semplici riflessioni.
La prima è quella che avanzavo già due anni fa. In un’età come la nostra, di democrazia matura, densa di pericoli di involuzioni e degenerazioni del sistema delicatissimo su cui la democrazia stessa si regge, non sempre le riforme sono un fenomeno positivo e in se stesse in ogni caso non racchiudono un valore garantito: la loro positività o negatività dipende soltanto dai contenuti, da ciò che si vuole cambiare e come. Molto spesso le riforme diventano delle contro-riforme dirette soltanto a garantire il mantenimento del potere. Pensiamo soltanto alla legge elettorale in vigore contro la quale non abbiamo sufficientemente lottato e che rappresenta il più grave vulnus che mai sia stato inferto alla democrazia con la pratica espropriazione del diritto del popolo alla elezione dei propri rappresentanti: abbiamo assistito non ad elezioni ma alla nomina dei parlamentari da parte dei dirigenti dei partiti. Anche oggi, nel caso deprecabile nel quale si sia costretti ad elezioni anticipate, sarà difficile convincere i cittadini che il voto è espressione della sovranità del popolo e persuaderli ad andare alle urne. Possono non esservi i tempi per attendere l’esito del referendum abrogativo e tantomeno quelli biblici fissati per la nascita del Partito Democratico. Le forze politiche sembrano non essere per nulla coscienti che non si tratta soltanto di un danno possibile ed eventuale, nel futuro: il danno è attuale nella misura in cui lo stesso pensiero di anticipare le elezioni (cosa che sarebbe normale in una democrazia sana) diventa praticamente impossibile perché allontanerebbe i cittadini dall'andare ad un voto farsa.
In secondo luogo la stessa moltiplicazione degli interventi delle cosiddette riforme danneggia le istituzioni che hanno bisogno di stabilità per poter funzionare: da sempre nella storia dello Stato moderno di diritto la stabilità negli anni delle istituzioni è un fattore indispensabile per la sopravvivenza di una società. I tempi delle istituzioni sono forzatamente molto più lunghi dei termini brevi della politica perché la loro qualità fondamentale deve consistere nella continuità. Tanto più questo è vero in una società così complessa come quella attuale. Pensiamo alla scuola, all’università, alla giustizia, alla sanità e consideriamo tutti i terremoti che ne hanno turbato la vita negli ultimi decenni. Il centrosinistra, l’Unione, non ha ancora fatto una verifica sulle riforme fatte, iniziate o semplicemente annunciate dai governi del centrosinistra stesso tra il 1996 e il 2001: la riforma dell’art. V della Costituzione, la riforma della scuola del ministro Berlinguer, la riforma dell’università, la riforma della pubblica amministrazione (che ha trasformato gli alti funzionari da “commis d’état” in personaggi-manager del tutto dipendenti dai politici da cui dipende totalmente la loro carriera e quindi spezzato l’autonomia e la continuità dell’amministrazione), certi tipi di privatizzazioni in cui si sono privatizzati soltanto i guadagni, e pubblicizzate le perdite ecc.
In terzo luogo il riformismo esasperato finisce per aggravare il senso di insicurezza che ormai domina tutta la nostra vita quotidiana; io penso che le paure che ormai incombono sulla vita degli italiani non dipendano tanto dal terrorismo, dalla malavita organizzata o dalla delinquenza comune, quanto dalla mancanza di certezze sul nostro futuro in tutti i campi, dalla vita sociale a quella economica, tutti sono preoccupati e molto spesso ormai spaventati dalle parole continue e a volte confuse proposte di mutamento perché sembra venir meno la stabilità stessa della nostra società e delle nostre istituzioni. Il riformismo malinteso si sta trasformando in un’arma contro la sinistra perché spaventa non tanto i moderati conservatori (che in ogni caso riescono a difendere i loro privati interessi) quanto i poveri diavoli che si sentono abbandonati ad un futuro sempre più incerto.
Ben vengano dunque gli interventi che sono necessari per eliminare le deformazioni più evidenti del nostro sistema e che rischiano di portare l’Italia al fallimento, come ha ricordato in questi giorni Piero Fassino: la riforma delle pensioni, la riorganizzazione della pubblica amministrazione, la scuola, il mercato del lavoro, il federalismo fiscale, le liberalizzazioni delle professioni.
Ma con due cautele che sono necessarie. Innanzitutto non confonderle con le vere e autentiche riforme, con i valori che dobbiamo riaffermare in campo etico prima che politico. I veri valori che possono connotare la sinistra sono la lotta per i diritti umani, per una maggiore giustizia sociale, (contro la divaricazione sempre più pericolosa dei livelli di reddito che continua imperterrita nonostante tutte le riforme), per la solidarietà, per l’uguaglianza delle opportunità, per una politica che sia veramente di servizio per il bene comune e non ridotta ad un giuoco di potere. In secondo luogo dobbiamo essere credibili nei comportamenti: i veri riformatori, non i riformisti, non possono sopravvivere difendendo i privilegi di un ceto legato alla politica mentre il costo della politica sta crescendo in modo patologico e insopportabile per la stessa economia del Paese. I dati che sono usciti in questi giorni e che sono stati oggetti di analisi spietate non permettono indugi e non c'è bisogno di sondaggi per misurare una reazione che fatalmente e in tempo breve porterà ad una controriforma. Al di sotto delle perturbazioni delle discussioni sulla finanziaria un orecchio attento può avvertire un brontolio sotterraneo molto più pericoloso. Quando la spinta riformatrice si esaurisce è inevitabile una controriforma.
Mai parole più sagge ed opportune. E farebbero bene ad ascoltarle i personaggi che oggi vivono a Roma. Siamo andati a votare al buio e questo perchè l'obiettivo era proprio togliersi dalle scatole l'avversario numero uno: il berlusconismo! Badate non Silvio Berlusconi, ma il sistema di pensiero che lui ha impersonificato in questi anni ed avallato dai suoi scudieri, Fini, Casini e Bossi. Questo è stato l'ultimo regalo che ci hanno lasciato lor signori. Farebbero bene a vergognarsi. Metà del paese li ha votati con quel sistema elettorale, quindi significa che metà degli italiani avalla in ogni caso quel modo di fare! L'altra metà no, ma non è contenta di cosa si sia fatto in aprile. Muoversi a cambiare quello scempio. Che abbiano il coraggio almeno di mettersi realmente in gioco se si va ad elezioni anticipate!! Sveglia sinistra i valori menzionati da Paolo Prodi sono quelli che ci contraddistinguono, mettiamoli in atto perchè la base ne ha piene le scatole!
Ma sì, ritorniamo a DC e PCI.
E pure all'iri, alle partecipazioni statali e all'orgia del debito pubblico.
Prodi..come dire: buon sangue non mente.
"Mai parole più sagge ed opportune". E anche, se me lo consentite, un po' superficiali. Già, i veri valori, il bene comune.... che splendido democristiano! Ma perché la sinistra si è dimenticata di Marx? Ce lo vedo, il serio Karl, scrivere una terribile invettiva delle sue contro queste banalità.
PP non mi pare una cattiva persona, è certamente in buona fede, ma esprime perfettamente la vuotaggine e l'inconsistenza dell'attuale progetto di Partito Democratico. Come capisco Mussi!
Paolo, mi stai diventando un esponente della "sinistra radicale"?
no dedalus stiamo così che il debito pubblico diminuisce e intanto i privati non me lo mettono in fiocco nè sui telefonoi , nè sui trasporti , nè sulla sanità...
vai dedalus!
tranquillo che così va bene
Caro paolo, tu le riterrai pure superficiali, io le trovo invece sagge e profonde. Trovo che in questo paese tutti pensano di avere il diritto di parlare e di dire la propria, ma a volte non si fa la fatica di pensare 10 secondi prima di emettere il pensiero. Le parole di questo signore non hanno nulla a che vedere ne con la DC ne con il PCI, ma definiscono bene ciò che qualcuno sta sostenendo debba essere il centrosinistra oggi. Il resto dei commenti è ridicolo e non meritano attenzione.