Sanità, come nasce una bufala
di Pietro Greco
Dunque, era una bufala. Non è vero che ogni giorno negli ospedali italiani muoiono 90 persone per errore medico, come aveva denunciato una settimana fa l'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom). L'allarme era solo allarmismo. L'autorevole associazione ha ammesso di aver sbagliato a fare i conti. Di aver preso lucciole per lanterne.
Di aver scambiato le denunce per decessi: moltiplicando forse per dieci o anche più i morti per mano dei colleghi.
Ha dunque ragione Ignazio Marino, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato: quelli forniti dall'Aiom «sono numeri di fantasia, un artificio senza fondamento scientifico: un puro esercizio teorico su dati estrapolati da fonti lette superficialmente e diffusi con molta approssimazione».
Già, ma perché questo marchiano errore si è verificato? Perché un po' tutti (compresa l’Unità) ci sono cascati? Con quali conseguenze? E quali i rimedi possibili?
Ma andiamo con ordine. Da un punto di vista tecnico l'errore, a quanto sembra, è questo. Ogni giorno in media circa 90 persone - dal primario all'infermiere - vengono denunciate per aver procurato, in maniera colpevole, un decesso in un qualche ospedale italiano. In genere per ogni decesso ci sono molte persone denunciate, in concorso di colpa. Il rapporto può essere anche di 7 o 8 denunciati per ogni decesso. Ma non tutti i denunciati dai parenti o dagli amici del defunto hanno colpa: il rapporto tra morti per reale errore medico e morti per errore medico percepito e denunciato dai parenti del defunto può essere molto piccolo.
Impossibile, senza basi scientifiche solide, tirar fuori un numero. Ma è verosimile che i morti negli ospedali italiani siano molti di meno dei 30.000 e oltre denunciati dall'Aiom sulla base di un'estrapolazione che avrebbe decretato la bocciatura in matematica di un qualunque studente di scuola media.
Emilio Bajetta, l'imbarazzato presidente dell'Aiom, ha chiesto scusa. Scaricando almeno un po' di responsabilità sull'ufficio stampa della sua associazione. Ma quella dell'errore matematico non fornisce la spiegazione profonda dell'accaduto. Non è per l'aritmetica che un allarmato annuncio si è rivelato un allarmismo privo di fondamenti.
Naturalmente noi non conosciamo la causa profonda. Siamo certi che non sia dovuta a malafede. Ma sia piuttosto il frutto di un clima culturale che potremmo definire, ci perdonino i sociologi della scienza, di «publish or perish»: pubblica o muori. Dove il pubblica non si riferisce, come nei manuali di sociologia della scienza, ai ricercatori che devono comunicare il più possibile i risultati del loro lavoro su riviste scientifiche se vogliono far carriera, ma - recitano le procedure non scritte ma molte seguite della scienza post-accademica - si riferisce ai medesimi ricercatori che devono essere «presenti sui media» se vogliono rompere il muro dell'attenzione degli shareholders, di coloro che fanno le scelte rilevanti per lo sviluppo della loro attività.
In soldoni: chi non appare in televisione o, almeno, sui giornali vede diminuite le possibilità di affermarsi. Sia esso un fisico, un biologo o un medico. Cosicché quasi tutti - fisici, biologi e soprattutto medici - subiscono la pressione o, se volete, il fascino dei media. È in questo contesto che la probabilità di errore aumenta o, se volete, lo spirito critico (e autocritico) subisce una qualche erosione. Nell'era post-accademica della scienza - ovvero nell'era in cui decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza e della tecnica innovativa non vengono più prese nelle torri d'avorio della scienza senza né porte né finestre che spalancano sulla società, ma nella confusione di una piazza aperta a tutti, esperti e non esperti - l'errore è un prezzo - talvolta un prezzo molto salato - che si paga alla democrazia.
Già, ma visto che ormai conosciamo il gioco, perché tutti - e primi fra tutti noi dei media - continuiamo a cascarci? Anche questa domanda rimanda a cause remote. Prima fra tutte il fatto che la spettacolarizzazione è diventato uno dei caratteri del moderno sistema dei media. E ciò è dovuto probabilmente al fatto che sempre più le notizie vengono considerate merci: beni da vendere, a prescindere dal loro valore reale e dalla loro fondatezza.
Detto in soldoni: l'audience e il numero di copie vendute la fanno da padrone. E le notizie che fanno audience o fanno vendere copie sono quelle capaci di bucare il muro dell'attenzione. 90 morti al giorno per errore dei medici è una di quelle notizie che buca il muro dell'attenzione. Quindi noi tutti, gente dei media, la pubblichiamo perché siamo convinti che i nostri colleghi e concorrenti faranno altrettanti.
È un riflesso condizionato, a quanto pare irresistibile.
Con quali effetti? Beh, gli effetti di una notizia infondata sono i più diversi. Talvolta sono diretti e relativamente facili da calcolare. Talaltra sono indiretti e fanno male nel lungo periodo. Questa dell'enorme numero di decessi per causa medica contribuisce a erodere l'immagine del nostro sistema sanitario. Che meriterebbe una stampa migliore. Non fosse altro perché - notizia che stenta a rompere il muro dell'attenzione - il nostro welfare sanitario è - udite udite - uno dei migliori e dei più efficienti al mondo.
Naturalmente ciò non significa che sia privo di errori. E che, in molte sue componenti, sia da riformare. Ma questa è un'altra storia. La nostra storia ci impone di rispondere a un'ultima domanda: cosa possiamo fare per diminuire il numero e le conseguenze degli errori mediatici, per dare spazio agli allarmi e tenere lontano gli allarmismi? Qualcuno ha proposto agenzie tecniche di valutazione delle notizie e osservatori del contenzioso e dell'errore medico. Tutto va bene.
Ma non facciamoci soverchie illusioni. Un sistema di censura preventiva, più o meno morbido, non funziona (bisogna dire, per fortuna) nel caotico sistema della comunicazione di massa in tempo reale.
D'altra parte abbiamo visto che all'origine dell'errore c'è una situazione complessa, che travalica di gran lunga la volontà dei singoli. E allora non resta che lavorare nel medio e nel lungo periodo lungo tre direttrici. Primo: un sistema di promozione dell'attività scientifica e medica che, pur restando democratico, sia meno sensibile alle fortune mediatiche. Secondo: un sistema dei media che si interroga più a fondo e in maniera più coerente sulla mercificazione (con conseguente spettacolarizzazione) della notizia. Terzo: un'opinione pubblica con una maggiore cultura critica, capace di punire chiunque - si
Io non sono un medico, ma mia sorella sì. E numerose volte, dopo quelle bellissime statistiche opportunamente verificate dai sempre bravi giornalisti - alla Vespa, per intenderci, o anche alla Giletti - molti nostri amici le hanno detto, con sarcasmo misto a risentimento: "Dovreste curarli, i vostri pazienti, invece li ammazzate".
Una nuova caccia alle streghe, insomma: che cosa non fa fare l'ignoranza, la spocchiosità e il voler fare uno scoop a tutti i costi, senza preoccuparsi se la gente perde fiducia nei camici bianchi...
una lurida campagna architettata dai vari padroni della sanita' privata per far perdere fiducia nella sanita' pubblica, campagna uscita proprio in concomitanza con la protesta per l'aumento delle tasse.
tutti i medici ospedalieri che conosco mi confermano che in reparto muore o si aggrava tantissima gente ogni settimana per disattenzione o scarsa professionalità. non è una statistica, e poco importa. importa che passare dalla caccia alle streghe alla santificazione è forse un azzardo.
berja, le tue teorie sono spassosissime. lo diventano meno pensando che ci credi davvero, a queste puttanate.
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spassati pure, io intanto sono cresciuto aspettando medici che tornassero a casa dopo 12 ore di lavoro, poco pagato.