
Montreal, anni '40. Il piccolo Moses Berger vede suo padre - uomo di cultura, poeta, squattrinato cronico e senza successo - vendere le proprie doti di di scrittore a un uomo tra i più ricchi e influenti del Canada dell'epoca. Bernard Gursky, padre padrone di una grande famiglia di ebrei emigrati dall'Europa centrale al Giappone, all'America del nord e di un impero economico nato dalla vendita di alcol clandestino lo assume per scrivere al suo posto. I Berger conminciano così a frequentare uno dei palazzi più sfarzosi di Montreal e in occasione di un party in casa Gursky, il piccolo Moses - vive la scelta del padre come un tradimento e si sente un pesce fuor d'acqua - sente parlare per la prima volta di Solomon, un nome misterioso che aleggia sulla famiglia, sempre sussurrato, mai ostentato. Curiosità e rabbia si mescolano e quel nome diventa un'ossessione che lo porta a decidere di scoprirne la storia e scriverla.
Nascono così le cinquecento pagine di Solomon Gursky was here, una saga familiare affondata nelle comunità ebraiche emigrate oltreoceano, misto di realtà e fantasia che a tratti ricorda
I Fratelli Ashkenazi di Israel Singer (il più sconosciuto tra i capolavori della letteratura ebraica) e a tratti riporta il lettore nelle atmosfere di casa Panowski.
La vicenda di Solomon Gursky mette a dura prova il lettore, con quasi 200 anni di storia dell'ebraismo canadese, un'epopea, in cui ai continui salti nel tempo a cui Mordecai ha abituato i suoi lettori si aggiungono i salti tra le culture e la storia dei popoli, dal Passaggio a Nord Ovest al Talmud. Un vero e proprio puzzle, le cui tessere si possono riunire solo seguendo il marasma dei pensieri di Moses, investigatore caotico e alcolizzato, che riesce però a raccoglierle una per una, ricostruendo il volto di un personaggio da leggenda, baro e benefattore al contempo, che ha viaggiato e vissuto intensamente, partecipando al complotto per uccidere Hitler e camminando assieme a Mao la Lunga Marcia.
In
Solomon Gursky was here Mordecai Richler supera se stesso, addirittura va sopra le righe, a tratti si perde, divaga, esagera. Ma sempre facendosi perdonare grazie alla sua inimitabile genialità. Mentre passano le pagine, davvero tante e a tratti faticosi (ma è una bella fatica) si ritrovano la leggerezza del
cavaliere di St. Urbain e il tenero cinismo di
Barney Panowski.
la lettura in lingua originale è davvero faticosa. Per chi ha una padronanza assoluta della lingua suggeriamo l'ottima
traduzione di Adelphi.