«Il Rinascimento, solo un'illusione. Poi siamo precipitati»
Enzo d'Errico categoria
Prendete una foto di quegli anni lontani, una qualunque scattata in giornate che sembravano annunciare una nuova stagione, con i musei gremiti, le piazze restituite alla vita e i monumenti affidati alle scuole. Prendetela e in prima fila ci troverete lei, Mirella Barracco, presidente della Fondazione Napoli Novantanove, che alla favola del Rinascimento Napoletano non credeva allora e tantomeno crede adesso. Ma che lasciò la sua impronta su quella breve illusione.
«È stata un'avventura indimenticabile, ma già allora se ne coglieva l'estrema fragilità — spiega —. Ricordo che, per arginare l'euforia, dicevo: "Stiamo attenti, i risultati ottenuti sono incisi su una lastra di vetro. Se scivoleremo, nemmeno le unghie riusciranno a trattenerci". Sapevo che quei successi, fondati sull'immateriale, avevano bisogno di essere metabolizzati dalla città. Uscivamo da uno dei periodi più bui della nostra storia e non potevamo pensare di voltare pagina all'improvviso. Sarebbe stato necessario lottare con il coltello fra i denti per difendere quel poco che avevamo conquistato. Ma non andò così, purtroppo. E, senza appigli, siamo precipitati in caduta libera».
Nel '94, alla vigilia della terza edizione di Monumenti Porte Aperte, la Fondazione passò il testimone al Comune. Era già cambiato il clima? «Diciamo che si cominciava ad avvertire un calo di rigore nell'organizzazione di un evento che, al di là di ogni aspettativa, aveva ridestato l'amore dei napoletani per il loro patrimonio artistico. Qualcuno utilizzava quel palcoscenico per altri fini, lo spirito della manifestazione stava cambiando e pensai che fosse meglio fare un passo indietro. Negli anni successivi ho continuato a collaborare con Antonio Bassolino, finché nel 2000 abbiamo deciso di puntare sulla Calabria, continuando però a lavorare con le scuole vesuviane».
Insomma, il Rinascimento Napoletano è stato soltanto un fondale di cartapesta crollato al primo soffio di vento? «A questa storia del Rinascimento io non ho mai creduto. E, in verità, neppure Bassolino ci ha prestato fede. Era un'etichetta, uno slogan e basta. Si respirava un'aria di grandi speranze, questo sì. Ma nessuno si illudeva che sarebbe stato sufficiente a disegnare un orizzonte diverso. Eravamo soltanto all'inizio di una lunga strada che richiedeva tenacia e sacrificio. Ma potevamo andare avanti, perché c'erano tutte le condizioni per farlo: Tangentopoli aveva tramortito i partiti, la società civile mostrava un inedito coraggio e avevamo un leader che era diventato un simbolo. Lo ripeto, sarebbe stato indispensabile lottare all'arma bianca per difendere i risultati raggiunti. E invece...».
Invece Bassolino abbandonò il campo? «Cercare il capro espiatorio è un esercizio francamente inutile. Inoltre sarebbe davvero ingeneroso addossare tutte le responsabilità del presente a una sola persona. C'è stato un momento in cui Bassolino era il padre-padrone di Napoli: avrebbe potuto chiedere qualunque cosa ai cittadini perché riusciva a farli sentire partecipi di un progetto. Poi, ad un tratto, sembrò che avesse smesso di credere in quel sogno: fu nominato ministro del lavoro, mantenne il doppio incarico e la città si sentì tradita. Bisognava insistere, avere pazienza e scavare con inesorabile lentezza come fa una goccia nella roccia, invece di capitalizzare subito gli effimeri successi conseguiti».
Il tramonto delle attese sollevate da quella stagione ha rispedito Napoli al punto di partenza. E forse anche più indietro. «Adesso è tutto più difficile. Bisogna digerire la delusione e scrollarsi di dosso questo senso d'ineluttabile sconfitta che rischia di farci sprofondare nell'antico vittimismo. Dobbiamo scommettere sulle nuove generazioni. Sono convinta che mille maestri servirebbero più di mille poliziotti. Oggi che le scuole, i monumenti e le chiese sono sommerse dai rifiuti cosa può insegnare un professore? Gli ridono dietro perfino se dice di non buttare le carte a terra. Eppure è da lì che dobbiamo riprendere il cammino, se non vogliamo dichiararci vinti per sempre».
"fu nominato ministro del lavoro, mantenne il doppio incarico e la città si sentì tradita."
Mi viene da vomitare a leggere certe cose: Bassolino usò i lavori socialmente utili a Napoli come sistema clientelare, l'avesse fatto il sindaco DC di Palermo negli anni '80 l'avremmo chiamato "voto di scambio". Tutta la retorica borbonica, ci mancava solo nel finale "il nostro buon re Ferdinando" ed il capolavoro era fatto.
Bassolino era solo il tappo che teneva fermo un vulcano pronto a scoppiare, era Piazza Plebiscito ripulita mentre i problemi restavano lì, sempre presenti.
Il sistema non è mai cambiato e per farlo cambiare ci vuole una rivoluzione culturale... impresa mai tentata.
ti sarei grato se mi dicessi in quali parti d'Italia Mao è già passato...
Più che Mao, ci vorrebbe un Franz Joseph ed uno Stato serio come l'amministrazione asburgica...
e magari un generale Radetzky che mantenga l'ordine.
sarei tentato di dire"o forse qualche Br",ma poi vi chiudono..
Io sto parlando di legge ed ordine...
pensavo che avessi carpito l'antifona
A begbie:
"...lo spauracchio della rivoluzione sociale violenta spaventa ormai solo i passerotti e gli esercenti, e mena acqua al mulino reazionario..."
(Carlo Rosselli)
va bè,non mi sono spiegato ma ti ho consentito di far sfoggio della tua cultura in "citazioni"..inutile ridurre un thread a due..
ci vorrebbe un Franz Joseph ed uno Stato serio come l'amministrazione asburgica...
e magari un generale Radetzky che mantenga l'ordine
si capiscono le tue nostalgie asburgiche, sei un abitante di quel povero contado detto "friuli".
sappi comunque che noi staremmo sempre dalla parte del balilla, di silvio pellico, di pietro maroncelli, di garibaldi, di kossuth, gavrilo princip, luigi lucheni e di oberdan, battisti, filzi.
morte ai tiranni!
"gavrilo princip, luigi lucheni "
D'accordo sugli altri, ma questi due francamente non li voglio dalla mia parte. Sono assassini e basta ; francamente, non vedo cosa avessero fatto di male Franz Ferdinand e la Principessa Sissi : ucciderli solo perchè facenti parte della famiglia reale degli Asburgo non è giustificabile.
kaiser taci.
viva gaetano bresci!
non c'è dubbio: Bassolino ha sprecato un consenso ed una popolarità straordinari.
Resta da chiedersi perchè.
La stessa domanda la fa porre Antonio Di Pietro: perchè a suo tempo non capitalizzò la sua immensa popolarità ?
perche', mr. morsello detto "il carceriere", la storia della politica italiana e' pavimentata da attendisti ingordi che nel momento di maggior successo aspettavano di averne ancora di piu': mario segni, antonio di pietro, antonio bassolino.
perche'? perche' si fanno incantare da chi dice loro "aspetta, tra poco avrai ancor piu' successo e potere".
ps: di pietro fu, in pectore, ministro degli interni nel primo governo berlusconi; fu convinto a non accettare da magistrati, di destra, che lo avevano appoggiato durante "mani pulite", consiglio saggio quantomai.
Meglio passare da una monarchia illuminata ed illuminista come quella Asburgica in cui in una città come Trieste convivevano pacificamente ebrei, sloveni ed italiani... ad una monarchia militarista di stampo prussiano (quindi destinata alla deriva militarista fascistoide) con ammiccamenti al peggior affarismo massonico-mafioso o al cattolicesimo più retrogrado ed anti-socialista.
Tutti "i martiri" che tu citi furono poi usati come miti fascisti, tranne Garibaldi.
furono poi usati come miti fascisti
e 'sti cazzi dei fascisti.
forse dovresti leggerti qualcosa di bianciardi o di montanelli sul risorgimento.
oggi c'e' chi ha nostalgia anche del "welfare" dei borboni o del buongoverno degli arciduchi di toscana, c'e' dunque spazio pure per chi dice cazzate sull'illuminata monarchia austriaca.