Non un soldo per questa Venezia
di Francesco Giavazzi
Il 4 Novembre di quarant'anni fa il mare tracimò nella basilica di San Marco e salì un metro e venti oltre il livello del pavimento. Due anni dopo l'Unesco pubblicò un documento che illustrava come evitare che Venezia facesse la fine di Atlantide, un mito disperso in fondo al mare. Sugli amministratori della città quelle proposte ebbero l'effetto di un bicchiere di acqua fresca: per tentare di scuoterli Indro Montanelli iniziò a scrivere, giunse fino a produrre un film nel quale denunciava l'incapacità della classe dirigente della città ad affrontarne i problemi (era andato perduto, dobbiamo al professor Gherardo Ortalli dell'Università di Venezia il recupero di quel documento straordinario). Risultato, il sindaco denunciò per diffamazione Montanelli e Giovanni Spadolini, allora direttore del Corriere della Sera.
Il processo durò alcuni anni e come sempre accade finì in nulla.
Oggi una delle soluzioni proposte dall'Unesco è in costruzione, un sistema di paratie mobili che in occasione di maree particolarmente impetuose possono essere alzate chiudendo le bocche di porto e impedendo che il mare inondi la città. Ma il sindaco vorrebbe fermare i lavori per valutare soluzioni diverse, come abbiamo fatto per quarant'anni senza venire a capo di nulla. Massimo Cacciari è troppo intelligente per non capire ciò che aveva intuito già trent'anni fa Bruno Visentini: il problema di Venezia è politico, non di ingegneria idraulica; quello che manca alla città non sono le opzioni tecniche per salvarla dal mare bensì la capacità di decidere.
Il giorno dell'alluvione a Venezia vivevano 130 mila persone, oggi sono meno della metà: ma non eleggono loro il sindaco perché i cittadini di Mestre (la terraferma del Comune) sono tre volte più numerosi. Costoro hanno interessi diversi dalla salvaguardia della città: Venezia affondi pure, purché prima di affondare faccia affluire alle casse del Comune ancora un po' di denaro pubblico. Per questo motivo Visentini propose un referendum per dividere Mestre da Venezia, ma la separazione non ha evidentemente alcuna possibilità di passare. Una democrazia bloccata.
Fra trenta, quarant'anni è matematicamente certo che a Venezia non abiterà più nessuno: rimarranno solo i turisti e i venditori che dalla terraferma giungono in città con il loro ciarpame per raccogliere un po' della rendita prodotta dal turismo a buon mercato. Di fronte alla basilica di San Marco ogni mattina si installano alcuni venditori di mangime per piccioni: ognuno di quei banchetti vale qualche centinaia di migliaia di euro e produce un reddito congruente al suo valore. Non importa che, poco a poco, il guano dei piccioni stia distruggendo San Marco. Il sindaco, come i suoi predecessori, ogni anno rinnova le licenze e attraversa quella piazza straordinaria senza più nemmeno accorgersi di quell'orrore.
Patriarca Scola, la basilica è affidata anche a Lei. Come Gesù nel Vangelo, esca sul sagrato e scacci i mercanti di piccioni. Non creda nell'inutilità di questo gesto: talvolta un gesto riesce a rompere un equilibrio che anni di rassegnazione non erano riusciti a scalfire. E' accaduto nella metropolitana di New York: dieci anni fa pochi vi si avventuravano la notte, poi l'equilibrio cambiò ed oggi è uno dei luoghi più sicuri della città (lo racconta un libro «The tipping point», che consiglio ai nostri sindaci).
A Venezia arrivano ogni giorno decine di migliaia di turisti, ma gli amministratori della città la gestiscono come se si trattasse di un qualsiasi borgo: la spazzatura viene raccolta una volta al giorno e non nei giorni di festa. Così la domenica sera nelle calli scorazzano pantegane e gabbiani disseminando rifiuti e avanzi di cibo. Il settimanale inglese Observer — devo anche questa citazione al professor Ortalli, uno dei pochi che riesce ancora a ragionare su Venezia — alcuni mesi or sono lanciò una provocazione: se l'unico destino di Venezia è il turismo a buon mercato affidiamo la città alla Walt Disney Corporation.
Ad Orlando, in Florida, questa azienda gestisce con efficienza grandi flussi di visitatori: per terra non si vede una carta, una bottiglietta di plastica, le code sono ordinate.
Se Venezia non vuole diventare Disneyland deve ritrovare i suoi abitanti. Con una popolazione di sessantenni un boom demografico è evidentemente improbabile. Una soluzione è portarvi studenti universitari: c'è già un'università, e vi è un gran numero di edifici abbandonati.
Ma gli studenti vanno cercati all'estero, perché la demografia è un problema italiano, non solo di Venezia. Il motto potrebbe essere «un turista cinese in meno, ma uno studente cinese in più». Per riuscirci però i corsi debbono essere insegnati in inglese: oggi nessuno lo fa e infatti non c'è neppure uno studente straniero. Il rettore dice che ci penserà, ma in realtà nulla si muove. Che interesse hanno i professori a cambiare il loro comodo tran tran? Magari studenti cinesi residenti chiederebbero di essere ricevuti dopo le quattro del pomeriggio, magari chiederebbero biblioteche aperte la sera. Troppa fatica. Il seminario dei Gesuiti è abbandonato: da anni il Comune si illude di attrarvi la sede di un'organizzazione europea, ma non c'è mai riuscito. Sindaco Cacciari perché è tanto difficile aprire nell'ex seminario una residenza universitaria?
Se a Venezia la democrazia è bloccata che cosa può fare lo Stato? «Non possiamo certo tagliare i fondi per la salvaguardia della città» direbbe il ministro dell'Economia. E invece è proprio quello che bisognerebbe fare.
Non più un soldo pubblico senza un progetto.
Perché se il progetto è solo il turismo a buon mercato allora basta la Walt Disney Corporation. Il parco di Orlando non riceve neppure un dollaro dal governo, anzi fa lauti profitti.
Gli amministratori gestiscono la città come un qualsiasi borgo È meglio un turista cinese in meno ma uno studente cinese in più.
A Giavazzi piacciono le tesi estreme, che servono a farsi notare. E poi sa che non le segue nessuno, così due annidopo, quando nulla sarà cambiato, lui avrà buon gioco nel dire "Io l'avevo detto che si doveva fare così..."
la soluzione qui esposta e' delirante, se si vuole che il popolo torni ad abitare a Venezia che si abbassi l'ici e si rendano deducibili i costi di ristrutturazione e manutenzione degli immobili (che a venezia sono altissimi), che si incentivi chi e' fuggito sulla terraferma a tornare; trasformare Venezia da parco dei divertimenti in citta' universitaria sarebbe solo prolungarne l'agonia, gli studenti sarebbero solo dei turisti per periodi piu' lunghi e con spese molto piu' contentute.
Venezia e' una delle citta' piu' vivibili del mondo, niente auto, poco traffico, bellissima e ricchissima vita di via e di piazza (unico neo, la vita notturna: assente), perche' ucciderla?
Da l'Unità del 5 noevembre 2006
Stato di conservazione e prospettive di sopravvivenza, impatto ambientale delle ondate di turismo. In base a questi parametri il National Geographic di Washington affoga Venezia in fondo alla classifica dei siti patrimonio dell’umanità. Triste, divorata dal turismo, i commissari del NG arrivano addirittura a «rimpiangere di essere venuti». Afflitti, quasi, da una «Venezia Syndrome», il comitato di giudici americani ne esce con sintomi di non poco conto: «Ci si sente colpevoli del partecipare al deterioramento della città». Senso di colpa, insoddisfazione, e forse anche un pizzico di irritazione: «non si ha mai un'idea della vita reale degli abitanti, dal momento che tutti sembrano presi dal tentativo di sfruttare al massimo i turisti».
Dei 94 siti patrimonio dell'umanità censiti dal National Geographic e ordinati dalla George Washington University Venezia è quindi solo la quart'ultima. Peggio, in tutto il mondo, fanno solo le Isole Galapagos, il distretto di Portobelo a Panama e la valle di Kathmandu in Nepal. Venezia la triste ottiene solo 46 punti su un totale di 100 a disposizione. Un punto in meno e sarebbe entrata di diritto nella categoria del «serio degrado», appena sopra la «catastrofe». Meglio fanno Portovenere e tutte le Cinque Terre. E persino la Costiera Amalfitana, nonostante «il traffico da infarto» ottiene un paio di punti in più grazie a come «gli edifici moderni sono stati integrati nel paesaggio». Mentre i due siti italiani più in alto nella classifica sono Assisi (75 punti) e Siena (77).
E il problema di tutte le "città d'arte". Nessuna comunità sopravvive senza le normali attività degli uomini che consentono di lavorare, sopravvivere. vivere, prosperare. Una città è come un immenso frullatore, che macina, tritura, amalgama, conserva, modifica. Fare di una città un museo a cielo aperto, affidata solo ad attività commerciali e di vetrina, vuol dire ucciderla, magari con le più nobili delle intenzioni. L'assassino di Venezia si chiama Porto Marghera e l'idea che si potessero separare gli uomini e le loro attività, dalla conservazione dei muri e dei palazzi... Disneyland (nel senso dell'industria turistica di massa che banalizza, storia e valori) non è un pericolo del futuro è una realtà, anche se senza l'efficenza dell'organizzazione (tanto vale). Si può correre ai ripari? Sono pessimista.
Giavazzi è il solito professore da salotto dal populismo americaneggiante.
Venezia per me non è Piazza San Marco e neppure il Canal Grande.
Per me Venezia non è mai stata neppure Palazzo Grassi con le sue mostre-evento sugli Etruschi o sui Galli, che con Venezia non avevano niente a spartire.
Per me Venezia è la Scuola di San Rocco e Tintoretto, oppure la chiesa dei Frari e Tiziano.
Questa è la Venezia per pochi, dove non trovi folle di turisti ammassate.
Che le orde con la "cultura americana" di Giavazzi che affollano la Venezia da cartolina non la considerino più bella è solo un bene.
Se i venditori di gondole di plastica dei baracchini o di "vetri di Murano made in China" si lamentano non m'importa molto.
Nel blog del Campo dell'unione oggi c'è un dibattito su questo articolo di Giavazzi che comincia con un mio post dal titolo "Venezia confonde anche Giavazzi". Marta Meo