Gava e Pomicino, i fantasmi di Napoli
di Enrico Fierro
Napoli, Napoli, Napoli. Parlano tutti. La camorra uccide. La città ha paura e si interroga. Lo Stato corre ai ripari. Mentre due vecchi viceré dei disastri andati tentano un’operazione impossibile. Un mostruoso lifting della loro storia di uomini che a Napoli hanno gestito il potere per un ventennio e più. In un colpo solo quei due uomini provano a far dimenticare ad una Italia smemorata cosa furono «i loro anni». «Questo qui è peggio di noi» hanno sentenziato Antonio Gava e Paolo Cirino Pomicino ai cronisti che gli hanno chiesto lumi e giudizi su Bassolino.
I «ras» degli anni Settanta e Ottanta si autoassolvono «leggendo» la Napoli di oggi. Ma «quella» Napoli, con la Dc fortissima e il pentapartito, collezionava 2621 omicidi dal 1981 al 1990. La camorra, il cemento. Il Comune nel 1993 fallisce: «Stato di dissesto». Ecco come «erano meglio» loro.
«Quando a Napoli c’eravamo noi», è il ritornello recitato in questi giorni con patetica nostalgia da don Antonio e da Paolo «’o ministro». I cronisti annotano, si compiacciono dell’innocente «ciciniello» (l’abnorme anello infilato sul dito di Gava gioia e dolore delle tumide labbra dei fedelissimi) e della colorita parlata di Pomicino e passano oltre. «Scurdammece ‘o passato».
Anni Ottanta. Il terremoto. Anni Novanta. Il sacco di Napoli. 24 giugno 1993, la giunta comunale della città dichiara lo stato di dissesto del Comune. 12 agosto, il Capo dello Stato accoglie la richiesta del ministro dell’Interno di sciogliere il Consiglio. Il sindaco della città, Tagliamonte: «Siamo decisi ad assicurare la governabilità...». Su 80 consiglieri comunali del consiglio eletto nel ‘92, 18 sono raggiunti da ordini di cattura. Sette del Psi, 5 Dc, 2 repubblicani, 2 liberali, 1 a testa per Pds e Msi. Nel calderone della Napoli bollente di quell’anno finiscono anche 2 consiglieri provinciali (un liberale e un Dc), 13 consiglieri regionali (7 Dc, 5 Psi, 1 Pli). «Tutti questi amministratori - si legge nella relazione sulla camorra della Commissione parlamentare antimafia del 21 dicembre 1993 - sono stati coinvolti in vicende giudiziarie connesse alla loro attività di governo e spesso in concorso con elementi della camorra». Questo accadeva nei tempi d’oro dell’«eravamo meglio noi».
Era la Napoli di Gava e Pomicino, dove la camorra era fortissima. Organizzata. Politica. Violentissima: 2621 omicidi, il 21% degli assassinii di tutto il territorio nazionale, dal 1981 al 1990. I clan sono 111 nel ‘93 e gli affiliati 6700. In città 25 sono i gruppi dominanti. Nel decennio la camorra si è ingrassata col terremoto e le grandi opere pubbliche. Una torta da 60mila miliardi di vecchie lire dell’epoca. «L’attività di ricostruzione - si legge nella relazione dell’Antimafia - è caduta quasi interamente nelle mani della camorra che controllava capillarmente il territorio». Ma il passato va «scordato». E così nel 2005, venticinque anni dopo la tragedia, gli amministratori pubblici della Campania - questa volta tutti di centrosinistra - il terremoto lo ricordano tra fiumi di lacrime e litri di champagne. Si distribuiscono medaglie, onorificenze. La retorica seppellisce gli scandali del passato. «’O ministro» e don Antonio sono raggianti.
Cemento, appalti, rapporti con le grandi imprese del Nord e legami con la politica: la ricetta era questa. Eppure, in un freddo pomeriggio di febbraio del 1992, Paolo Cirino Pomicino lancia la grande idea per la città. Appalti pubblici per migliaia di miliardi. «Neonapoli», la chiama e il gioco è fatto. A quel tempo «’o ministro» non conta moltissimo nella Dc napoletana: appena il 25%, poco rispetto al 60 dei suoi due rivali storici, Gava e Scotti. Come risollevarsi? Semplice, proponendo un nuovo ciclo del cemento: 7227 miliardi di lire per rifare il volto della città. Nuovi quartieri, 150mila vani, speculazioni edilizie su Bagnoli e Napoli Est. La città degli affari applaude. «Perché questa - spiega all’epoca Mirella Barracco - è una realtà dove è possibile ogni fondazione e ogni rifondazione. Qui si è costantemente all’anno zero». Pomicino è un occasionista, si fa moderno Principe, parla a quei ceti che aspirano ad un diverso sviluppo della città. Il progetto muove tanto fumo. Poi si ferma. La storia prende un’altra piega.
Aprile 1981. Sulla carne di Napoli e della Campania le ferite del terremoto sanguinano ancora. La città è sconvolta dall’irrompere sulla scena della follia brigatista. L’azione più eclatante è il sequestro di Ciro Cirillo, braccio destro di Antonio Gava. Lo tengono prigioniero per 90 giorni. Tre mesi e succede di tutto. Imprenditori napoletani vicini al partito di Gava raccolgono fondi, la Dc e i servizi segreti trattano con Raffaele Cutolo e le Br per la liberazione del notabile di Torre Del Greco. Quello che non era stato fatto per Aldo Moro viene fatto per Ciro Cirillo. Alla fine viene pagato un riscatto: 1miliardo e mezzo alle Br, quasi il doppio a Cutolo. Il resto della storia è una lunga catena di morti, almeno 12 possibili testimoni. Depistaggi. Uccisioni per fermare la verità. Antonio Ammaturo, capo della Squadra Mobile di Napoli, aveva scritto un dossier sui retroscena di quel sequestro, viene ucciso dalle Br nell’82. Il commando gode dell’appoggio di uomini della camorra. Quando sei anni dopo il giudice istruttore Carlo Alemi consegna la sua inchiesta sul sequestro Cirillo, viene attaccato in Parlamento e definito dal capo del governo «un giudice che si è posto al di fuori del circuito istituzionale». Presidente del Consiglio era Ciriaco De Mita, ministro dell’Interno Antonio Gava. Alemi fu messo sotto inchiesta dal Csm. Aprile 2001, Ciro Cirillo viene intervistato da Giuseppe D’Avanzo de «La Repubblica». «Signore mio - dice - la verità sul mio sequestro la tengo per me. Ho scritto tutto in una quarantina di pagine che ho consegnato al notaio. Dopo la mia morte si vedrà». Accadeva a Napoli, ai bei tempi di quelli che «eravamo meglio noi».
SE COLPEVOLI SONO IMMENSE FACCE DI CULO MA SOPRATTUTTO FACCE DI CULO COLORO CHE PERMETTONO A CODESTI FIGURI ANCHE SOLO DI PARLARE
Non erano meglio loro e non sono meglio quelli di oggi, per il semplice motivo che sono le stesse persone.
Vi ricordo la provenienza della 'signora' Iervolino (ex DC); vi ricordo che nelle fila di questa maggioranza siede il De Mita che distribuiva ai suoi amici i miliardi del terremoto e lasciava la gente a marcire nei container (alcuni anche per 20 anni); vi ricordo che lo stesso Cirino Pomicino per poco non è riuscito ad infilarsi in qualche lista legata a questa maggioranza che si spaccia per sinistra ma è solo il residuo peggiore del pentapartito (almeno per quanto riguarda Napoli).
Napoli ha bisogno di gente nuova, che non venga dalla politica. Delle visite di Prodi e di Amato non ce ne facciamo un emerito cazzo. Vogliamo soluzioni che non provengano da chi ha contribuito, negli ultimi dieci, quindici o venti anni a rendere Napoli quello che è.
Erano uguali