Eccoci all'acqua...
Chi si trovasse in questi giorni ad attraversare uno dei ponti che collegano il “di qua d'Arno” con “l'oltr'Arno” difficilmente potrebbe immaginare che quel fiume dalle dimensioni tutto sommato modeste, che scorre placido tra gli argini facendo da specchio a monumenti e palazzi antichi sia stato capace di tanta rabbia e fiuria assassina. La mattina del 4 novembre scorso, in Palazzo Vecchio, centinaia di persone, hanno ricordato l'ultima impetuosa alluvione che ha coperto di acqua e fango la città di Firenze. Sono tornati quelli che allora vennero chiamati gli “Angeli del fango”, i ragazzi che quarant'anni fa accorsero nella culla della cultura per aiutare libri e persone ad uscire dalla melma che tutto aveva ricoperto.
Frugando nella storia della mia città ho scoperto che di queste calamità a Firenze ne capita di media una ogni secolo, ma l'unica che per dimensione e danno può essere paragonata all'innondazione del 4 novembre del 66, è un'alluvione avvenuta seicento anni prima, guarda caso proprio il 4 novembre, del 1333. Come se l'Arno, simile a un amante, puntuale e appassionato, ogni tot di tempo decidesse di uscire e andare a fare all'amore con la sua fidanzata che di solito è costretto a guardare da lontano, senza poterla toccare né penetrare. Spesso trova anche qualche sensale compiacente, che organizza l'incontro, nel '66 è stato aiutato dalle autorità che hanno pensato bene di aprire le dighe solo all'ultimo momento, ma si sa senza l'aiuto degli amici pochi amori sarebbero giunti a buon fine. Loro, il fiume e la città, si conoscono da millenni e quando decidono di toccarsi non ci sono Santi che tengono.
L'ultimo rendez vouz ha però messo in evidenza un altro aspetto importante, come diceva “De Andrè”, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior, e così da quel letame, mischiato alla nafta e alla mota, è nato l'impeto solidaristico che ha segnato una generazione. Dopotutto quei ragazzi che corsero a Firenze avevano la stessa età di quelli che due anni dopo pensarono di pulire dal fango la vecchia politica europea, con risultati, va detto, meno scintillanti. Come sappiamo agire per risolvere una realtà concreta, tangibile si rivela spesso più efficace, che muoversi nel pantano della burocrazia e del potere invisibile ma non meno infido e scivoloso. Quindi nel 1966 un fiume, e una generazione hanno segnato la parola Vittoria sul proprio curriculum ( il 4 novembre si festeggia appunto il giorno della Vittoria della Battaglia di Vittorio Veneto, e la fine della prima guerra mondiale), lui per aver “saltato il fosso” e loro per averlo rimesso al suo posto.
L'unico punto oscuro di tutta questa vicenda non sta tanto nel fatto che quella catastrofe si poteva evitare, come ho detto i libri di storia sono pieni di questi eccessi di passione del fiume Arno. L'aspetto a mio avviso misterioso, che le varie commemorazioni che ieri hanno riempito televisioni e giornali, non si sono preoccupate di sottolineare è quello riguardante il numero dei morti. Rai uno dice 26, Rai tre dice 37, altre fonti 40, 43 ecc. L'Arno ha straripato di mattina presto, in un giorno do festa in una città che aveva quattrocentomila abitanti, molti dei quali, appena inurbati dalle campagne, vivevano nei seminterrati… va bene che i fiorentini sono svelti e particolarmente intelligenti, ma trenta vittime, o al massimo quaranta non vi paiono un po' pochine?