Obama, un senatore «benedetto»
di Giancesare Flesca
Alle presidenziali del 2008 resterà a guardare. Ma i più entusiasti lo immaginano presidente nel 2012, quando avrà appena 52 anni. Si chiama Barack Obama e Barack, nella lingua di suo padre che è lo swahili dell'Africa Orientale, vuol dire «benedetto». Chi lo ammira, spera che la benedizione gli apra un giorno le porte della Casa Bianca, primo presidente non bianco della storia americana. Al momento rappresenta in Senato l'Illinois, è democratico e fino a martedì era l'unico nero di questa legislatura. È stato eletto nel novembre del 2004, ad appena 43 anni e Newsweek lo ha scelto come la persona più in vista del 2005. Non a torto. Anche chi non crede alle sue chances presidenziali immagina comunque per lui una carriera ricca di successi, anzi di trionfi. Basta pensare che suo padre pascolava le pecore in un villaggio del Kenya per capire quanto la sua figura gratifichi la persistente vitalità del «sogno americano». E come non soccombere al fascino di un personaggio la cui storia sembra uscita da un libro di William Faulkner o da un film di Frank Capra? Tutto comincia nel villaggio keniota di Nyangoma. Non si sa bene come il padre di Barack vince una borsa di studio per le Hawai, uno stato d'America che prospera nell'estremo sud-est del Pacifico. Ad Honolulu il papà incontra una ragazza bianca che s'era trasferita laggiù dal Kansas, i due si innamorano, si sposano e il 4 agosto del 1961 nasce Barack. Il ragazzo cresce bene, anzi benissimo. Malgrado il suo pedigree ottiene studi gratuiti ad Harvard, nella più importante scuola di legge degli Stati Uniti. E sfonda, diventando il primo afro-americano chiamato a presiedere la «Harvard Law review», una Bibbia per i giuristi di tutto il mondo. A Chicago, dove risiede, se lo contendono i migliori studi legali dello Stato. Ma lui si dedica ai diritti civili e alla politica. Nel 1989 mette su famiglia con un'avvocatessa conosciuta all'Università, e dieci anni dopo le nozze arrivano due figlie, Malia Ann e Natasha. In tutto questo periodo Obama diventa senatore dello Stato ma continua ad appassionarsi alla sua storia familiare, alle famose «radici». Prima di scrivere nel 1995 un libro di memorie «Sogni di mio padre, una storia di razza e di eredità» volle tornare in Africa a visitare il villaggio da cui era partito suo padre. Qui Barack compie un lavoro duro e sofferto. Sua nonna ricorda che pur potendosi permettere il noleggio di un'auto, lui preferisce girare in lungo e largo per la provincia di Nyanza strizzato all'interno di affollati Matauiu, i coloratissimi e chiassosi pulmini su cui si muove a prezzi economici tutto il Kenya. Questo viaggio diventò un momento centrale della sua vita. Non soltanto ne scrisse, ma ne raccontò la storia proprio alla Convention democratica di Boston dove si stagliò come leader, fra gli urrah dei delegati, raccogliendo ovazioni quando parlò di suo padre che «con un duro lavoro e con tanta perseveranza ottenne una borsa per studiare in un posto magico, l'America». L'uomo è scaltro e non abbandona l'orgoglio nazionale, mai. Sebbene contrario alla guerra in Iraq, in diretta televisiva dice: «Ci sono patrioti che si oppongono alla guerra e patrioti che la sostengono. Ma siamo un unico popolo, tutti orgogliosamente devoti a Stelle e Strisce, e pronti a difendere gli Stati Uniti d'America». Tina Brown, sul Washington Post, scrive: «Non è soltanto un nuovo tipo di democratico ma un nuovo tipo di politico intelligente, con senso pratico, capace di riconoscere e correggere i suoi errori». Un'altra giornalista Clarence Page del Baltimora Sun va oltre: «Bisogna contenere il nostro entusiasmo perché non è giusto accollare fin d'ora a Obama il destino della nazione. Ma resta il fatto che Obama ci ricorda Martin Luther King».
bello. Pero' siamo convinti che questa cosa (al di la' del valore simbolico, ammetto enorme) sarebbe veramente un cambiamento importante?
abbiamo illustri esempi di politici statunitensi di colore che non fanno rimpiangere i propri alter ego dalla pelle chiara: Condoleeza Rice, Colin Powell, ...
Più passa il tempo e più mi convinco che i 'nuovi neri', in America, siano i poveri, di qualunque colore abbiano la pelle...
...un presidente operaio :D, quello sì sarebbe una rivoluzione! o grasso, calvo, con un difetto di pronuncia...(illuminante a riguardo è la lettura del ventennale ma ancora attualissimo 'Divertirsi da Morire' di Neil Postman, 1985]
..o donna! (eresia? Hilary è dietro l'angolo?)
beh, baraka in arabo è la fortuna vista come benevolenza di Allah, Baruch in ebraico è "benedetto"... non è che abbiano tanta fantasia con i nomi :-)