Impariamo tutti a ragionare senza catechismi
Le reazioni di parte ebraica alle parole usate dal Ministro degli esteri Massimo d'Alema nella sua intervista uscita su "l'Unità" del 10 novembre hanno presentato una lettura di parte dello scontro in medio Oriente, sostenuta da una memoria parziale. La replica di d'Alema giunta ieri dalla Cina dice che lo scontro non è solo tra destra e sinistra, ma chiama in causa anche un mondo ebraico o sensibile alle "ragioni di Israele" che trova casa anche dentro ai Democratici di sinistra.
Dietro questo scontro sembrano profilarsi i temi della "lungo e grande freddo" che ha connotato il rapporto tra sinistra ed ebrei in Italia almeno a partire dai giorni caldi della "guerra dei sei giorni" nel giugno 1967. E' così? Quel confronto vive di una conflittualità di nuovo tipo che riguarda tanto le culture che attraversano le sinistre - anche quelle riformiste - come i settori culturalmente più connotati del mondo ebraico. Una conflittualità che si fonda su un paradigma culturale che vige a destra e a sinistra; che vale per il mondo ebraico come per gli islamici. L'idea di identità come monolite e soprattutto senza storia.
L'identità è oggi costruita su due pilastri: sull'idea di integrità del gruppo e su quella di continuità della sua storia. Oggi l'identità politica e sociale di un attore culturale si fonda sulla sua specificità. E quell'attore politico e culturale fonda e riconosce la sua specificità nella non contrattabilità della sua identità Gli ebrei, nella loro maggior parte si percepiscono e si raccontano come un gruppo dotato di una identità culturale fissa nel tempo, che si trasforma per autoriforma e non per influenza esterna.
Si potrebbe discutere con tanto di atlante storico alla mano che questo è un dato artificioso. Perché un gruppo umano cresca nel tempo infatti deve introiettare non l'idea di armonia, ma quella di confronto e di conflitto interno, che avvengono sulla scorta di un'ibridazione con altri attori. Si cresce e ci si mantiene nella storia non già perché si fa e si pensa ciò che pensavano e facevano i nonni. Esattamente il contrario, perché si fa e si pensa ciò che i nonni non facevano e non pensavano.
E questo processo deve e può fondarsi su un atto che implica la rottura col passato. All'origine il sionismo era questo e per questo era un fatto di sinistra. Non sul piano delle ideologie, ma su quello delle mentalità.. Perché si presentava come un nazionalismo che non rivendicava un passato ma che investiva su un futuro senza eredità e senza precedenti. Per questo a lungo il sionismo e l'esperimento di Israele hanno goduto di un appoggio tiepido da parte delle diaspore ebraiche. Quell'esperimento mandava a dire che tutto il loro passato era inutile e che la lunga storia dell'esilio era inservibile. Che la storia futura avrebbe fatto a meno di loro. Questa fase si è esaurita quando una nuova stagione politica - i cui primi elementi sono riscontrabili alla fine degli anni '60 - ha lentamente dissolto quella religione civica sostituendola con una nuova forma di teologizzazione della vita pubblica.
Un simile processo di trasformazione, in tempi diversi e in forma diverse, tuttavia non è solo specifico degli ebrei. E' la sostanza della metamorfosi delle culture politiche odierne. Si tratta quindi di una trasformazione che parla anche alla cultura della sinistra in Italia affascinata anch'essa dal monolitismo culturale, ovvero dalle ideologie chiuse o dalle culture "autosufficienti".
Come la si contrasta? Anzitutto con il possesso delle chiavi culturali che la producono per declinare una cultura diversa, una diversa idea di storia, una idea non deterministica della geografia, una conoscenza testuale delle fonti religiose. Ovvero liberandosi dei "catechismi, per sviluppare una dimensione laica, plurima, cacofonica della identità culturale. Avere identità non significa avere una linea data coerente. Significa essere come i volti dipinti di Arcimboldo, un cumulo e un accumulo di cose non omogenee fra loro che insieme fanno un prodotto la cui identità è proprio la loro non omogeneità, Altrimenti l'esito è il neonazionalismo identitario. Il paradigma è lo stesso per gli islamici, per i cattolici, per le sinistre politiche che hanno perduto un profilo culturale di laicità e che aderiscono al fascino della identità astorica e monolitica e con cui spiegano l'identità propria e quella altrui. Non aver tenuto conto di questa complessità: qui sta, a mio avviso, l'errore di Massimo d'Alema
16.11.06 00:20 - sezione
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