Ciao Philippe, amico nostro
di Alberto Crespi
Il suo vecchio amico Giuliano Montaldo, che lo diresse negli Occhiali d'oro ispirato a Bassani, diceva (e dice) di lui che era (è) un attore italiano. Effettivamente, basta pensare al proiezionista Alfredo di Nuovo cinema Paradiso di Tornatore, al redattore capo Perozzi di Amici miei di Monicelli e al Raffaele di Tre fratelli di Rosi per convincersi che Philippe Noiret doveva chiamarsi, in realtà, Filippo Neri. È uno scherzo, sia chiaro, ma gli farebbe doppiamente piacere: perché si considerava ormai mezzo italiano, dopo le lunghe e gloriose frequentazioni del nostro cinema, e perché era un uomo talmente innamorato dei piaceri della vita che gli scherzi sulla sua morte non potrebbero che compiacerlo.
Philippe Noiret è morto ieri a Parigi dopo una lunga malattia. Recentemente il festival «France Cinéma» di Firenze, organizzato da Aldo Tassone, gli aveva dedicato un omaggio al quale non era potuto intervenire. I suoi amici si erano subito preoccupati, perché non era da lui sottrarsi a una gita in una città d'arte e di cucina come Firenze (la città di Amici miei, poi!). Era un amante della buona tavola e delle buone maniere: sapeva sempre in quale bicchiere bisognava bere quel dato vino e come era stato cucinato quel dato piatto. Non avrebbe potuto, diversamente, essere così perfetto nella Grande abbuffata, altro film indimenticabile di un grande italiano come Marco Ferreri, dove teneva testa ad altri tre «gourmet» quali Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e Michel Piccoli. Con quella sua aria paciosa, che lo faceva sembrare maturo anche nei film giovanili, Noiret non aveva il fisico da divo hollywoodiano e non somigliava neppure ai belli e dannati del dopoguerra francese, come Delon o Belmondo; né al più bello dei belli, Gérard Philipe, che aveva incrociato agli esordi in teatro. Ma la Francia è un paese dove a volte la bonomia e la ferocia della provincia hanno la meglio sull'eleganza chic di Parigi, e quindi possono diventare divi attori come Jean Gabin, Fernandel, Gérard Depardieu. Questo, assieme al talento, spiega perché Noiret abbia avuto una carriera da vedette (per quanto sapesse essere, all'occorrenza, un caratterista di lusso, come nel piccolo ruolo che ancora Monicelli gli affidò in Speriamo che sia femmina). Stiamo citando solo film italiani. È più forte di noi: è morto uno dei nostri, ed è morto a soli 76 anni, maledizione! Ma è venuto il momento di raccontare la vita francese del buon vecchio Filippo - pardon, Philippe. Philippe Noiret nasce in provincia (a Lille) il 1° ottobre 1930 e da giovane è tutto fuorché uno studente modello. Comincia a recitare per disperazione: all'università non c'è verso di sfondare, più facile tentare in palcoscenico. Per tutti gli anni ’50 e buona parte dei ’60 il teatro è la sua casa. In particolare il Théatre National Populaire di Jean Vilar, palestra di recitazione impegnata e proletaria dove conosce il citato Gérard Philipe e la giovane attrice Monique Chaumette, che diviene sua moglie nel 1962. Sfiora la Nouvelle Vague (La pointe courte di Agnès Varda, Zazie nel métro di Louis Malle) ma ottiene un ruolo da protagonista solo con Alexandre, un uomo felice di Yves Robert, nel 1967. All'inizio degli anni '70 è in film importanti come La grande abbuffata e Non toccate la donna bianca di Ferreri, inizia un proficuo rapporto con Bertrand Tavernier (che lo chiama per L'orologiaio di Saint-Paul e per Che la festa cominci, e gli regalerà uno dei ruoli più belli con Colpo di spugna, del 1981), compare persino nel film più brutto di Alfred Hitchcock, Topaz. Ma a farne una star, in Francia, è un film poco noto in Italia: Le vieux fusil di Robert Enrico, che da noi, per motivi imperscrutabili, viene intitolato Frau Marlene. È la storia di un tranquillo chirurgo di campagna che, nella Francia occupata del '44, diventa un feroce vendicatore dopo che i tedeschi gli hanno sterminato la famiglia. È il suo primo César, il premio francese che corrisponde all'Oscar. Ne vincerà un secondo nel '90 con La vita e niente altro, ennesimo capitolo del felice sodalizio con Tavernier.
È probabile che l'amicizia con Ferreri, un milanese che aveva imparato a far cinema in Spagna e preferiva Parigi a Roma, convinca Noiret a costruirsi una carriera parallela in Italia. Sta di fatto che negli anni 80 e 90 i ruoli migliori vengono da Cinecittà. Mentre in Francia si specializza in film di genere, spesso di grande successo, diretti da abili mestieranti come Claude Zidi, Jean-Marie Poiré e Bertrand Blier, in Italia i grandi registi pensano a lui per grandi ruoli. Gli occhiali d'oro, ad esempio, è un'opportunità splendida: quel dottor Fadigati, doppiamente represso (come omosessuale e come antifascista) nella Ferrara del ventennio, sembra pensato per lui. Oltre ai ruoli citati, va ricordato il lontano parente francese Jean-Luc che Ettore Scola gli affida in La famiglia; e naturalmente il ritratto di Neruda tratteggiato con finezza nel Postino, accanto al povero Massimo Troisi. Addio, Filippo: checché ne dicano a Parigi, eri proprio un italiano.
bona Ugo, sor Perozzi, alla prossima...
Supercazzola come fossero antani for ever.
oddio, un granché non è mai stato...
Francesco: con scappellamento. A destra.
*oddio, un granché non è mai stato...*
E' una battuta ... o cosa?
alberto: non l'avrai mica presa per un'offesa, vero?
perché la mia era una citazione da "Amici Miei", pronunciata proprio al funerale del Perozzi!
charlie: appunto.
Ricordo che quando il Perozzi morì, il Mascetti esasperato dalla stronzaggine della vedova si augurava per l'amico un funerale con la banda, puttane e militari!
non dimentico neppure che era proprio il Perozzi la voce narrante del film.
"Tarapia tapioca come se fosse antani con la supercazzola prematurata con scappellamento paraplegico a sinistra"
Francesco - Charlie : 1 - 0
Indimenticabile davvero. Lo immagino, di nuovo insieme agli amici suoi, impegnato nell'irriverente coro: http://www.youtube.com/watch?v=YE5TC_M1WI4 :'-)