Premessa: Mario Monicelli è un gigante. Uno che ha fatto La grande Guerra, I soliti ignoti, L'armata Brancaleone, Amici miei (tanto per citarne solo quattro,
l'elenco è lunghissimo) è al di sopra di qualunque critica. Esiste, ne siamo felici, non c'è altro da aggiungere. Quindi non toglie nulla alla sua grandezza il fatto che la sua
ultima fatica di ultranovantenne fresco come una rosa sia una ciofeca. Non è possibile definire altrimenti questa commediola che racconta le vicende del Terzo Reparto della Trentunesima Sezione Sanità accampato a Sorman, una sperduta oasi nel deserto libico.
La trama è fatta di poco e tutto già visto. C'è il comandante che parla come una macchietta e non fa altro che scrivere alla moglie lontana (che gli mette le corna col cugino). C'è il bel tenentino medico che si aggira per l'Africa con la Leica come fosse un turista. Ci sono gli arabi ricchi con la donna bellissima che ovviamente finisce seminuda davanti al tenentino. Ci sono i soliti soldati veneti che fanno i veneti delle barzellette e i soldati romani che fanno i romani delle barzellette. Ci sono i tedeschi, ovviamente sempre pronti a impiccare o fucilare chiunque faccia uno starnuto, che parlano come Sturmtruppen. C'è addirittura il generale basso, grasso e gradasso che appare e scompare in moto dando ordini idioti, dicendo cose idiote che dovrebbero essere le armi con cui il film critica la guerra, ma sono armi spuntate da una banalità di fondo che non perdona.
Su tutti trionfa la scontata gigioneria di Michele Placido, un attore che si avvia a diventare il Gassman minore del cinema italiano (dell'immenso Vittorio ha la gigioneria che straborda da ogni ruolo, ma non ha né la cultura né il talento) nei panni di un frate anticonformista nei modi e negli abiti.
Siamo consapevoli del fatto che la commedia all'italiana è il luogo dello stereotipo, del personaggio estremizzato e della macchietta. Ci piace per questo, perché con la risata e la leggerezza sa porre quesiti importanti. Ma qui ci troviamo di fronte a un'accozzaglia di figurine mal riuscite, dalla prima all'ultima che si aggirano per le sabbie di Djerba senza riuscire mai a uscire dalla mediocrità polverosa e obsoleta. In questo senso il giudizio da cinque stelle a prescindere dato da Maurizio Porro, critico di Corsera, la dice lunga sulla distanza tra pubblico e critica.
Consiglio per chi lo vede: tenere a portata di mano una copia di
Amici miei e assumela in dose massiccia appena usciti dal cinema.