I progressisti vincono se uniti
di Howard Dean
Testo tratto dall’intervento del presidente dei democratici Usa al congresso del Pse di Oporto
Trovarmi in Portogallo nella splendida città di Porto mi ha fatto venire in mente Enrico VII «il Navigatore», nato proprio in questa città. Come suggerisce il suo soprannome, fu un grande esploratore. Incoraggiò lo sviluppo di molte soluzioni innovative e trasformò la cartografia in una vera e propria scienza. Nelle sue scuole riunì persone diverse formando squadre di navigatori, cartografi, marinai preparati. Finanziò molti viaggi e aprì le porte alla grande era della esplorazione europea.
L’eredità di Enrico il Navigatore è in qualche modo la nostra eredità. I partiti progressisti sono i partiti delle soluzioni innovative. E noi siamo quelli che portano le persone a unirsi tra loro. Qualcuno, una volta, mi disse che i progressisti dicono «noi», mentre i conservatori preferiscono dire «io».
Il Partito Socialista Europeo è un'organizzazione creata per unire le persone, per farle lavorare insieme nella soluzione dei problemi e, insieme, battersi per quello in cui credono.
Io apprezzo profondamente questo spirito. Lo apprezzo perché, per semplice che possa sembrare, si tratta di un principio che non sempre viene messo in pratica. Credo e spero che il nostro successo alle recenti elezioni americane, le cosiddette elezioni di mid-term, abbia dimostrato che il Partito Democratico negli Stati Uniti ha imparato questa lezione. Dopo troppi anni di dominio repubblicano di estrema destra, ci siamo alzati per batterci in quello in cui crediamo. Siamo andati dagli elettori in ogni angolo del Paese, anche nelle zone più conservatrici. Abbiamo mostrato tutto il rispetto che meritano chiedendo il loro voto. Abbiamo compreso che il potere non cala dall'alto verso il basso: al contrario, abbiamo capito che il potere cresce dalla terra, dalle radici, e sale verso l'alto. Ci siamo associati, ci siamo uniti come partito. E abbiamo vinto.
Ora che abbiamo ottenuto i voti degli americani abbiamo il dovere di mantenere le nostre promesse. I Democratici oggi hanno la maggioranza nella Casa dei Rappresentanti e al Senato, la maggioranza dei corpi legislativi dei singoli Stati e la maggioranza dei governatori. E questo ci obbliga a ripetere, ancora una volta, alcuni principi che abbiamo affermato in modo chiaro durante la campagna elettorale: che è giunto il momento per gli Stati Uniti di rinsaldare le nostre relazioni con i Paesi del mondo; che è arrivato il momento di trattare i nostri alleati con rispetto e onestà. E che il Partito Democratico ha il dovere di costruire il consenso, attraverso relazioni bilaterali e multilaterali.
Questo è il modo di governare che ha funzionato così bene durante l'amministrazione Clinton. E questo è il tipo di dialogo descritto in maniera convincente dal primo ministro Antonio Guterres e dal primo ministro Poul Rasmussen.
Proprio questa settimana, la relazione della Commissione Baker sulla situazione Iraq (Iraq Study Group) invita gli Stati Uniti, fra le altre cose, a cercare un approccio multilaterale in Iraq. E questo rispecchia quello che il popolo americano ha detto in modo inequivocabile nelle elezioni dello scorso mese: è ora che gli Stati Uniti cambino la loro politica in Iraq. Il rapporto della Commissione inoltre va nella stessa direzione indicata dal Partito Democratico quando sostiene la necessità di iniziare, il prima possibile, il ritiro graduale dell truppe.
I Democratici vogliono rinnovare e rinsaldare le relazioni con i diversi Paesi del mondo e continuare la battaglia per i diritti civili e i diritti dell'uomo. Questo significa sostenere la nostra convinzione che per essere bravi cittadini della comunità globale, bisogna anche essere dei sinceri difensori dell'ambiente. Crediamo che la classe politica americana debba smettere di negare l'esistenza del riscaldamento globale. L'Unione Europea ha aperto la strada verso la comprensione di quanto pericoloso possa essere il riscaldamento del pianeta e l'America dovrebbe diventare il vostro compagno di viaggio in questo cammino.
Come progressisti condividiamo gli stessi valori da una parte e l'altra dell'Atlantico: valori come creare posti di lavoro dignitosi e con uno stipendio rispettabile, valori come educazione di qualità e assistenza sanitaria. E crediamo che una vita di duro lavoro debba portare a una pensione di tutto rispetto e dignità. Per quanto riguarda il commercio, crediamo che la globalizzazione non debba essere una corsa verso il basso ma verso l'alto, non verso il peggioramento ma verso il miglioramento. E come Democratici non saremo protezionisti per quanto riguarda gli scambi commerciali.
Crediamo anche che i Paesi con cui attiviamo scambi commerciali debbano rispettare i diritti dei lavoratori e che pretendere questo rispetto sia essenziale per difendere sia la globalizzazione sia la democrazia.
Ma ci sono anche altri valori fondamentali che ci uniscono e per i quali dobbiamo batterci. È importante che, insieme, ci impegniamo per aiutare le democrazie più giovani. E, nello stesso tempo, dobbiamo fare il possibile per contrastare quelle forze che le minacciano.
Nonostante le molte difficoltà che oggi travagliano e condizionano il mondo musulmano, le democrazie progressiste devono avere una visione di più lungo termine. Non importa quanto vasta sia la scala dei tempi: quello che conta è fare il possibile per costruire un ponte permanente verso quelle nazioni del mondo musulmano che si dirigono lungo la strada delle riforme democratiche.
A questo proposito vorrei ricordare che dire di credere nel coinvolgimento e nell'inclusione è importante ma non è sufficiente: soprattutto se poi le persone, i cittadini vengono lasciati al di fuori dei processi politici. Per essere schietti: questo è proprio quello che è accaduto ai Democratici nel mio Paese. Alcuni pensavano che il cammino verso il successo elettorale (nelle scorse elezioni presidenziali, ndt) fosse imitare i Repubblicani e concentrarsi solo su quelle zone del Paese dove avevamo le migliori possibilità di vincere.
Nelle elezioni di «mid term» il mio partito ha invece compiuto un passo importante diventare nuovamente un partito nazionale. Abbiamo vinto in posti dove pensavamo che non ce l'avremmo mai fatta. E abbiamo ottenuto i voti di persone che non avevano votato per i Democratici da molto tempo. Abbiamo preso voti persino da persone che non avevano nemmeno “visto” un Democratico da molto tempo…
Ma soprattutto siamo andati in ogni Stato del Paese ed entrati in contatto con tutti i cittadini, a prescindere dalle loro scelte politiche o religiose.
Sono convinto che proprio questa sia una lezione utile per i progressisti di qualunque Paese. Perché il potere è nelle mani del popolo, della gente: noi politici lo abbiamo solamente in prestito. Come ho detto: il potere non si muove dall'alto verso il basso, ma sale dalle radici. E soprattutto cresce dovunque, non solamente nel terreno che avete coltivato finora. Questa è quella che chiamo la «Strategia dei 50 Stati». E che prevede che noi, come partito, dobbiamo comunicare con tutti: tutti i nostri sostenitori e tutti i nostri cittadini.
(Americano medio sconvolto): He's a COMMUNIST! :-))