Confronto o resa dei conti?
di Gianfranco Pasquino
Ho l´impressione che la futura collocazione internazionale e europea dell´eventuale Partito Democratico sia, nei suoi termini più banali, entrare o no nel Partito Socialista Europeo, un falso problema. Peggio, sia diventata una preziosa discriminante che, da un lato, consente ad una parte dei Democratici di Sinistra di chiamarsi fuori, anche se le loro credenziali di socialisti europei sono davvero limitate, dall´altro, offre agli ex-Popolari della Margherita un pretesto.
Un pretesto per continuare ad evitare un confronto sulle politiche, soprattutto sociali e culturali, che i socialisti europei attuano nei loro rispettivi paesi e delle quali sono portatori anche a livello di Parlamento europeo.
Rutelli, la cui identità politica è sempre stata molto fluttuante, certamente «leggera», pensa di cavarsela sostenendo che (cito dall'intervista dell'11 dicembre su Repubblica) «far diventare socialista la maggioranza relativa degli italiani è un tema non più all´ordine del giorno da almeno vent'anni». Quand'anche fosse così, e direi «purtroppo», due ambiziosi temi sembrano all'ordine del giorno, di oggi e di domani: primo, fare diventare riformista la maggioranza, magari assoluta, degli italiani, e , secondo, stabilire che sui temi della vita e della morte la decisione riguarda i singoli e la loro scienza e coscienza, non una «sana laicità» affidandone l'interpretazione al Papa, ai cardinali e, meno che mai, ai teo-dem della Margherita.
Insomma, la formuletta democratica di Rutelli sembra piuttosto un mix di divieti: né socialisti né laici. Dal canto suo, per ragioni che mi sfuggono, Giuliano Amato, che pure dovrebbe volere recuperare con orgoglio il suo corposo passato di socialista riformista, trova una motivazione inedita per accelerare la costruzione del Partito Democratico. Con grande classe, dimentica l'ostracismo che i prodiani gli imposero negandogli la candidatura a Primo ministro nel 2001 e l'ostilità di una parte ampia dei Democratici di sinistra ad una sua candidatura alla Presidenza della Repubblica.
Sembra, però, dimenticare anche che l'onda populista non è una roba olandese. È l'antipolitica, significativa componente dell'autobiografia della nazione italiana, che ha già prodotto qui da noi non uno, ma due leader a vario, ma pregnante, titolo sicuramente populisti: Bossi e Berlusconi. Interpretazioni diverse di sezioni diverse, ma compatibili, dell'elettorato, hanno consentito ai due leader populisti italiano-padani di collaborare con una efficace divisione del lavoro politico, dopo avere constatato che, sfidandosi e dividendosi, come nel 1994 e nel 1996, perdevano entrambi, ma che trovando accordi tattici, entrambi ottenevano vantaggi, persino a scapito dei loro alleati.
Ciò rilevato, non è chiaro come un indefinito (nei programmi e nella leadership) Partito democratico possa ridimensionare l'onda populista se non ne individua con chiarezza gli esponenti e se, con altrettanta chiarezza, non suggerisce semplicemente un contenitore politico, ma formula i contenuti specifici di politiche anti-populiste. La verità è che tutta la discussione sul Partito Democratico si è ampiamente «incartata».
Probabilmente, è resa ancora più difficile dalle non buone prove dell'azione di governo e, in special modo, dalla oscura definizione di quella che dovrebbe essere o diventare la missione del governo dell´Unione una volta superato lo scoglio della Finanziaria.
La ripetizione della doppia formula rituale che il Partito Democratico è sostanzialmente la logica conseguenza di un decennio di collaborazione fra ex-comunisti e ex-democristiani, con una spruzzata di ambientalismo (ma i Verdi non sembrano affatto inclini a entrare nel Partito Democratico) e di socialismo (ma Valdo Spini, un socialista vero, ha già scelto un´altra strada; Boselli è scettico e lo Sdi se ne sta fuori; e Amato predica bene, ma, come ho spesso detto, non razzola male, piuttosto non razzola per niente) e che unirebbe il meglio delle culture riformiste (ma Giorgio Ruffolo, una delle migliori intelligenze riformiste, si è chiamato fuori dal gruppo che dovrebbe elaborare il Manifesto programmatico), sembra esaurirsi e appare decisamente logora.
Altro che accelerare, allora, meglio fermarsi e ripensare. Se qualcuno è ancora in grado di controllare modi e tempi della costruzione del Partito Democratico, dovrebbe dichiarare la assoluta necessità di una pausa di riflessione, di quella riflessione aperta e alta che dovrebbe esprimersi almeno nei congressi dei due partiti contraenti. Invece, entrambi i congressi, a giudicare dai movimenti nei loro dintorni, sembrano procedere ad una resa dei conti: Popolari contro Prodiani; Centro diessino contro gruppi della sinistra. Se continua così, i conti non torneranno e la fusione di gruppi dirigenti non riuscirà affatto ad essere una buona somma, ma, quel che è peggio, non produrrà né entusiasmo popolare né quella cultura politica nuova in grado di sconfiggere il populismo e i populisti reali, in carne e ossa, del nostro paese.
La brava senatrice Finocchiaro e' andata in televisione a dire che gli Italiani hanno protestato contro la finanziari perche' hanno perso la fiducia nel futuro.
Quello che dice e' condivisibilissimo.
Pero' questa critica potrebbe indirizzarla prima ai suoi leader di partito, poi al resto degli Italiani.
Come fanno gli Italiani a fidersi del futuro quando vedono i loro leader politici completamente paralizzati?
Perche' gli Italiani devono subirsi una finanziaria di lacrime e sangue, quando i partiti della maggioranza non sanno nemmeno forumlare una proposta univoca? Il tutto con un costo elevatissimo per i contribuenti?
Spero che arrivi presto un forte movimento dalla base che smascheri questi leader "paurosi", perche, come dice la Finocchiaro, in Italia c'e' bisogno di coraggio.