Un’altra tv, la mission ora è possibile
Tana de Zulueta
Ho letto con molto interesse l’articolo di Carlo Rognoni sulla mission impossible degli attuali alti responsabili RAI. Rognoni, lui stesso Consigliere RAI, ci descrive un servizio pubblico in perenne tensione tra le spinte delle opposte fazioni politiche che si contendono i massimi incarichi dell’azienda. Un’analisi tristemente confortata dalla decisione della Procura di Roma di aprire un’indagine per abuso d’ufficio nei confronti dei cinque Consiglieri della RAI che nominarono l’ex-direttore generale Sandro Meocci nonostante la palese incompatibilità. Una nomina evidentemente dettata dalla volontà politica dell’allora governo di Silvio Berlusconi, piuttosto che da valutazioni aziendali. Se le cose stanno così, la sostituzione, richiesta a gran voce da tutti i partiti dell’Unione, del consigliere Petrone, nominato a suo tempo dal ministro Tremonti, rischia di apparire come l’ennesimo atto di conquista politica dell’azienda. Ritengo invece importantissima la constatazione di Rognoni, che è anche un auspicio di vedere cambiare le cose: «il rapporto fra politica e servizio pubblico - scrive Rognoni - così come è stato finora non regge più».
Sono, anzi, siamo, assolutamente d’accordo, perché qui scrivo a nome del Comitato “Per un’altra Tv”, promotore di una proposta di legge di riforma del settore radiotelevisivo nata per dare risposta all’esigenza di liberare la RAI dal controllo dei partiti. La promotrice più convinta di questa proposta è Sabina Guzzanti, che di censura e del peso morto della politica sulla libertà del servizio pubblico ne sa qualcosa. Molti si ricorderanno che dopo l’uscita del suo film “Viva Zapatero”, Sabina lanciò un appello per dotare il Paese di un servizio pubblico «all’altezza delle sue esigenze democratiche». Firmarono in tanti. Noi tentammo un passo in più: insieme ad un gruppo di giornalisti e di giuristi provammo ad andare al di là delle generiche dichiarazioni di principio, formulando un’ipotesi di soluzione concreta, una bozza di legge che potesse dare risposta all’appello di Sabina per una RAI «libera dal controllo dei partiti», e al contempo nuove regole di sistema per uscire dal duopolio e dal far west delle frequenze.
I proponenti della bozza e i consulenti che ci aiutarono erano così diversi fra di loro da garantire un risultato libero da preconcetti ideologici, oserei dire realmente liberal. C’erano i giornalisti Giovanni Valentini, Giulietto Chiesa, Curzio Maltese, Maria Cuffaro, Udo Gumpel (corrispondente della TV tedesca ARD), Lidia Ravera, Enrico Fontana, Marco Travaglio, il filosofo nonché fondatore dei girotondi romani Edoardo Ferrario, la stessa Sabina e altri. I nostri consiglieri furono Alberto Gambino, giurista e allora assistente del Presidente Oscar Luigi Scalfaro, e due suoi colleghi docenti alla Luiss. (Tutti i nomi si trovano in appendice al libro di Travaglio e Peter Gomez Inciucio). Aderirono, con le proprie proposte, Paolo Serventi Longhi, segretario nazionale della FNSI, e Roberto Natale dell’USIGRAI.
Credo che l’idea di raccogliere le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare fu di Sabina. Un’idea forse temeraria, ma molto giusta: in fondo, quello che è in gioco nel buon governo del sistema radiotelevisivo è la libertà di espressione. La Costituzione italiana la garantisce, ma è anche una delle poche al mondo che consente ai propri cittadini di farsi promotori di leggi. Quale miglior tema, allora, per esercitare questo diritto che l’informazione?
La nostra proposta fu depositata presso la Cassazione a dicembre dell’anno scorso. Il 15 gennaio di quest’anno lanciammo la campagna per la raccolta delle firme con un’affollatissima assemblea al teatro Ambra Jovinelli di Roma, presenti sul palcoscenico (e firmatari) Corrado Guzzanti, Moni Ovadia, Paolo Flores D’Arcais, Daniele Luttazzi, Paolo Hendel, Fiorella Mannoia, Federico Zampaglione dei Tiro Mancino, Nando Popu dei Sudsoundsystem, Claudia Gerini, Paolo Beni dell’ARCI, Roberto Natale, e tanti altri.
All’Ambra Jovinelli c’erano Alfonso Pecoraro Scanio, presidente dei Verdi, Achille Occhetto e Elio Veltri, i quali hanno attivato i propri sostenitori e dato un contributo importante. La caratteristica, però, di quell’evento e della campagna che ne è seguita è stato il forte impegno della società civile. Il grosso delle firme furono raccolte all’uscita degli spettacoli degli artisti che ci sostenevano. Daniele Luttazzi fu molto generoso. Moni Ovadia offrì addirittura un suo spettacolo a Napoli per sostenere la campagna. Si sono mossi l’associazione Cittadinanza Attiva, circoli dell’ARCI, Megachip. Lilli Gruber è venuta in piazza per raccogliere le firme insieme a Sabina Guzzanti. Luciano Canfora firmò e organizzò una bella assemblea all’università. Ci furono banchetti anche a Saxa Rubra.
Strada facendo si sono aggiunti altri nomi importanti. Beppe Grillo, inizialmente scettico (ritiene che la televisione sia già in via di superamento grazie ad Internet), ci diede una grossa mano insieme ai ragazzi dei circoli Meet Up. Dario Fo e Franca Rame firmarono, poi ci fu uno spettacolo di Franca al teatro Eliseo, insieme all’attrice napoletana Rosaria De Cicco, sempre a sostegno della nostra proposta di riforma TV. Firmò anche Enzo Biagi.
Questi nomi e il loro impegno costituiscono indubbiamente un movimento d’opinione significativo. Non c’è dubbio che sia forte e radicata in Italia, in particolare nel mondo della cultura, la convinzione che la degenerazione della nostra vita politica e culturale negli ultimi anni sia in buona parte da ricondurre alla cosiddetta «anomalia italiana» che vede il monopolista della TV commerciale protagonista della vita politica, e per cinque lunghi anni addirittura capo del governo e dominus della stessa TV pubblica. Per sanare questa situazione non basta certo un cambio di governo con conseguenti nuovi equilibri politici a Saxa Rubra. Come disse Moni Ovadia all’Ambra Jovinelli: «La riforma della TV è la prima delle riforme, quella che dovrebbe precedere tutte le altre».
Va detto, però, che con l’importante eccezione de l’Unità, i giornali, almeno in Italia, parlarono poco di noi. All’estero, invece, la mobilitazione degli artisti italiani per l’indipendenza del servizio pubblico suscitò un certo interesse, e non solo in Europa. Ne parlarono Le Monde, Paris Match, il Times di Londra, il Toronto Star e il giapponese Tokio Shimbun, oltre che la BBC, la televisione tedesca, la PBS americana e Arte, tra gli altri. La chiusura a riccio della televisione italiana su questo tema fu probabilmente una reazione difensiva: della campagna per la riforma della TV parlarono le piccole, a cominciare da Europa7, vittima di uno sfratto ope legis (vedi la Gasparri e il decreto salva-Rete4).
È vero che stavano succedendo tante cose: le elezioni, il nuovo governo. Ma anche nel (quasi) generale silenzio dei media un’idea ha cominciato a circolare: che è possibile, anzi urgente, garantire il pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo facendo fare un passo indietro alla politica. A luglio lo dichiarò per la prima volta in un’intervista Paolo Gentiloni, neo-ministro delle telecomunicazioni. Ora annuncia una proposta di riforma della RAI da portare in Parlamento. La nostra proposta, che si basa sulla creazione di un Consiglio Nazionale dell’audiovisivo, composto da rappresentanti della società civile, è un’ipotesi di soluzione. È stata depositata in Parlamento. La proposta del ministro Gentiloni per la riforma della RAI si basa su una soluzione diversa: la proprietà in mano a una fondazione, ma sempre con lo stesso obiettivo, garantire l’indipendenza.
Il dibattito è aperto. Toccherà al Parlamento valutare, ma una cosa è certa: se il ministro farà sul serio troverà tanti alleati nel mondo dello spettacolo e della cultura italiana, per non parlare dei giornalisti, e non solo quelli della RAI.
Privatizzazione! quello che la mggioranza dei cittadini vogliono e che i nostri politici vedono come una minaccia xke' fa comodo lottizzare la tv di Stato, è la prima cosa che fanno appena saliti al Potere.a nessuno dei nostri politicanti interessa realmente una Rai libera veramente, neanche agli amichetti della Guzzanti.
la rai è come l'alitalia, serve solo ai dipendenti e atutti quelli che ci campano attorno. Non è riformabile, men che meno con le proposte fantasiose della signora zuleta diventata parlamentare perl'appunto per meriti televisi e che meriti!