Qualcosa di sinistra
di Gabriele Polo
Nessuno più di noi tiene alla libertà di stampa. Non è un giudizio presuntuoso, è un semplice fatto iscritto nello scopo sociale di questo giornale, sancito nella sua storia e confermato nella sua costituzione materiale. Non solo perché siamo un'egualitaria cooperativa che il luogo comune del presente considera anacronistica, ma perché siamo talmente convinti delle nostre ragioni politiche al punto da pensare che fare del buon giornalismo sia sempre di più fare qualcosa di sinistra: la libertà del dire è un fondamento dell'alternativa al conformismo del silenzio (o del ripetere tutti cose sempre uguali e rassegnate, che poi è la stessa cosa del tacere). Questa è la radice culturale che ci spinge a non essere in edicola domani: a tacere per un giorno per poter continuare a parlare in futuro.
I giornalisti della carta stampata, delle agenzie, dei siti web, scioperano per tre giorni. Non è la prima volta, non sarà l'ultima. Cercano di difendersi dall'aggressione degli editori al contratto nazionale di lavoro. Che vogliono giornalisti più precari e per questa via meno liberi.
Noi non abbiamo un editore contro cui batterci - semmai ci battiamo ogni giorno contro le nostre difficoltà e i nostri limiti. Se scioperiamo - un giorno su tre - non è solo per solidarietà (cosa già importante e costosa), ma perché difendiamo i nostri princìpi, coscienti di tutti i limiti di una categoria (di cui facciamo parte a modo nostro, cioè bizzarramente) che non è stata proprio in prima fila quando si trattava di denunciare la precarizzazione di altri lavoratori. Ma pensiamo che la durezza di questa vertenza possa far capire a tutti che oggi nessuna categoria può considerarsi al sicuro e che sia persino l'occasione per ripensare il senso e riflettere sui limiti della professione giornalistica.
Per noi non è facile questo sciopero: ragioni mercantili lo sconsiglierebbero. Ma facciamo una scelta politica, nel giorno più «costoso» dei tre, il primo; che è anche quello simbolicamente più importante. Domani, quindi, niente delirii di Bush o di Al Zawahiri, niente finanziaria o Pacs, nessun reportage dal mondo del lavoro o cronaca finanziaria, nessun approfondimento culturale o recensione cinematografica. Niente rubriche, commenti, analisi. Solo silenzio. Che peserà sui nostri lettori e su di noi. Ma è un fardello necessario, per ribadire ciò che siamo. E, magari, diventare migliori.
La nostra scommessa è che questo silenzio serva a tutti. A iniziare dalla sinistra, perché al di là della vertenza dei giornalisti il contratto nazionale di lavoro resta l'obiettivo che padroni di ogni tipo vogliono colpire: trovano insopportabile che sia qualificato come «collettivo», vorrebbero frantumarlo in tanti comparti aziendali o territoriali. Per smantellarlo. Hanno bisogno della solitudine altrui per stare meglio tra loro. E da gennaio questo sarà uno dei banchi di prova su cui saranno chiamati a giudizio il governo e la maggioranza.
Anche per questo scioperiamo contro i nostri interessi materiali e per i nostri valori politici. Perché tutti ricordino che da soli non si è nulla, perché le tutele collettive che permettono la libertà dei singoli sono un (costoso) bene comune da conquistare e difendere. Vale per un giornalista come per un metalmeccanico.
Beh, magari penalizzati oggi per avere un miglior servizio domani (ma mi illudo).
Molto vera la frase "... categoria ... che non è stata proprio in prima fila quando si trattava di denunciare la precarizzazione di altri lavoratori." Quasi un peccato originale. Immagino quanti possano essere quelli che oggi scioperano e che in passato hanno sostenuto le ragioni della "flessibilità" (che se opera solo da una parte è sfruttamento nudo e crudo). Della serie meglio tardi che mai.
Quanto all'anacronismo dello sciopero, potrei essere d'accordo se, d'altro canto, trovassi degli strumenti alternativi. A me attualmente viene in mente solo la mazza da baseball, ma ho il dubbio che sia poco legale...
ma a milano avete avuto questo: http://www4.autistici.org/ip/images/stories/freepress.pdf
mi sembra che spieghi molto meglio le cose dell'articolo di polo ;-)
non solo sono d'accordo con questo sciopero, oggettivamente, ma soggettivamente lo sto praticando.
l'informazione è un servizio essenziale, lo sono i trasporti pubblici e sostengo lo sciopero dei lavoratori del trasporto pubblico quando lo praticano, mi becco le conseguenze (nefaste, per me che vado in bici a roma) del traffico impazzito: sopporto per supportare.
pensare che un segnale d'allarme come lo sciopero possa essere negativo per la collettività è miope.
assistiamo oggi allo sgretolamento di alcune libertà faticosamente conquistate, come il diritto a lavorare in base a regole corrette e condivise all'atto della firma del contratto.
alcuni ruoli sociali sono particolarmente delicati, e l'informazione è l'anello debole della catena dei "poteri" democratici.
anello delicatissimo e continuamente, specie in fasi di regime nelle aggregazioni umane, sottoposto ad attacchi violenti di chi vuole mani libere e regole zero.
generalmente si tratta di "padroni", di esponenti della società ricca che vuole diventarlo sempre di più in base al noto principio che l'appetito vien mangiando.
il ruolo di chi informa è narrare con meno soggettivismi possibile la giornata che il paese e il mondo vivono.
se lo si fa con un coltello alla gola lo si fa male.
se lo si fa male si snatura il processo mentale che porta, in seguito, al consenso o al dissenso su temi comuni.
in democrazia ciò è male.
già adesso l'informazione fa schifo. può sicuramente peggiorare, se a farla è gente ricattabile giorno per giorno, e sempre sull'orlo della mancanza di reddito, come oggi vorrebbero gli editori.
se voi viveste nelle redazioni di oggi, non pensereste alla correttezza o meno di questo sciopero, ma direttamente ad applicare picchettaggi e persino violenze di vario tipo ai proprietari delle testate, e vi stupireste del perché non viene proposto uno sciopero di un mese consecutivo. o anche di più.
Non sono d'accordo con lo sciopero così fatto perché credo che (1) sostanzialmente non faccia un baffo agli editori e in compenso (2) vada a intaccare pesantemente un diritto fondamentale dei cittadini.
Credo che ordine e sindacato dei giornalisti non abbiano più alcuna ragione di esistere. In realtà oggi servono solo a tutelare una lobby che resta attaccata con la colla a quel che resta degli antichi privilegi, aggrappandosi alla fanfaluca della libertà di informazione. In Italia l'informazione libera e indipendente esiste solo su Internet. Carta, radio e TV sono colluse coi mondi degli affari e della politica. I mezzi - nessuno escluso - sono tutti house organ di questo o quel potentato.
Se i giornalisti avessero l'onestà intellettuale di (1) chiedere lo scioglimento di un ordine che non ha più alcun senso, (2) spostarsi armi e bagagli in un sindacato serio, (3) inventare forme di sciopero che possano danneggiare l'editore in misura maggiore rispetto al cittadino, allora riconquisterebbero credibilità. Oggi questa è una professione inflazionata, dove per pochi resistenti noti e oscuri ci sono migliaia di scaldasedie cinici e bari, pronti a vendere il culo proprio e quello dei figli per un posto più prestigioso e meno faticoso.
Aggiungo che la questione dei precari è una misera scusa. Da anni i primi carnefici dei precari (ci sono passato, ho vissuto una vita da free lance per scelta consapevole, rinunciando anche a scrivanie comode e presatigiose) sono proprio i giornalisti che per la maggior parte li vessano, facendoli lavorare come somari. Ora li sfruttano una volta di più per spuntare un contratto. Quanto scommettiamo che quando arriverà l'accordo, la vita per i free lance resterà grama, nonostante un sacco di meravigliose dichiarazioni di intenti che accompagneranno i benefici concreti per chi ha un contratto indeterminato?
Suggerimenti: sciopero lungo a macchia di leopardo, sciopero della firma, sciopero dei commenti (solo pagine di notizie in stile agenzia), sciopero delle interviste, sciopero della pubblicità (pagine bianche), sciopero della correzione di bozze, ecce ecce ecce. Un po' di creatività spicciola sarebbe sufficiente per non passare dalla parte del torto, ma togliere tout court l'informazione al Paese è secondo me un atto non condivisibile.
Entrambe le posizioni son ben argomentate, ma la tentazione di aggiungere la mazza da baseball alla creatività è davvero forte!
comprendo le argomentazioni di alberto e le ho condivise a lungo, finché non ho realizzato che erano un cavallo di troia per l'asservimento non già dei giornalisti ma dell'informazione.
anch'io trovo oscena l'esistenza di un ordine che dica: "tu puoi scrivere come giornalista certificato, tu puoi (purtroppo) scrivere perché te lo consente la costituzione, ma a me piacerebbe che tu scrivessi romanzi invece di scassare il cazzo a noi".
e be', la partita non è qui. questo è fumo negli occhi e il senso dello scontro attuale è un altro.
si cerca di "liberalizzare" la professione non per dare a chiunque l'opportunità di informare in base alle sue qualità di informatore, ma all'opposto per dare agli assetai di protagonismo, disposti a letteralmente tutto, un palcoscenico con la firma (così mamma è contenta) in cambio di uno scrivere "flessibile".
per flessibile intendo dire tonnellate di cose che so e che ho visto e che è complesso raccontare.
quando sono stato assegnato ad una redazione economica ho scritto un pezzo, praticamente il primo vero (sarà stato il ventesimo,ma in due giorni) con il quale sono inconsapevolmente riuscito a fermare un contratto di tre miliardi di lire con la parte "comunicazione" della mia testata.
e non l'aveva capito nessuno, né io né il mio capo né il suo capo.
e ci hanno sfasciato i coglioni a tutt'e tre per giorni, ma non potevano fare niente perché era tutto a posto.
era tutto corretto. il punto era che qualcosa avrebbe essere potuto essere scritto DIVERSAMENTE, pur essendo lo stesso pezzo.
me l'hanno fatto capire, gliel'hanno fatto capire.
ovviamente da allora in poi ho potuto solo evitare di scrivere di quella realtà economica, nulla più.
e questo è solo il primo degli episodi. poi ho dovuto navigare per altri mari, peggiori.
impensabile pensare di scrivere cose sentite e sapute su l'agente economico x,y,z gamma, delta, alfa, beta e fottutame andante.
per uscire da questa situazione ci ho messo sei anni.
ma io insisto non solo per lo stipendio: per un capitolo della mia esistenza precedente all'età postadolescenziale che mi ha profondamente colpito.
ma vi assicuro che se non fossi così testardo, l'ultimo mestiere (mestiere, sottolineo) al mondo che fare è questo, in italia, oggi.
e ripeto: può peggiorare.
non c'entra un cazzo l'ordine o le guarentigie: è che qui, da sempre, si cerca di far passare il messaggio che conviene, non quello raccolto.
quindi sciopero, e spero che la cosa abbia un esito contrario ai potentati economici che ci sovrastano tutti, nessuno escluso.
forse cambierò mestiere, ma non ora. ancora no.
quanto ai punti di alberto: 1) sciolgano pure. 2 )non esiste un sidacato serio in questo paese di marionette 3)propongo da tempo picchettaggio e uno sciopero annuale (un anno di sciopero, nel frattempo vado a fare il barista o il meccanico o lo skipper, roba che so fare e non voglio fare per una miriade di motivi) e ovviamente non esiste che mi diano il benché minimo ascolto.
questo è un paese che non lotterà mai per obiettivi lontani dalle mandibole.
ps di sintesi
è possibile informarsi
è molto difficile dirlo correttamente agli altri
è probabile che in futuro sia impossibile