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Alberto Biraghi
Il mio migliore amico
François, mercante d'arte, ha successo, denaro e una socia carina e brillante che tenta di controllarne alcuni eccessi. Totalmente concentrato su se stesso e sull'obiettivo del momento, perde regolarmente di vista il mondo che lo circonda, non si accorge delle persone e dei loro sentimenti. L'inizio
del film ce lo mostra al funerale di un cliente, incapace di accorgersi della desolazione della chiesa vuota, senza amici che diano l'ultimo saluto al defunto, attento solo a cogliere l'occasione propizia per concludere con la vedova un affare rimasto in sospeso. E' proprio raccontando l'episodio che la sua socia gli fa notare che anche il suo funerale sarà desolato, perché lui non ha amici. Nasce così la scommessa: François si impegna a dimostrare entro il mese di avere anche lui un migliore amico.
L'idea non è male, ma il bravo Patrice Leconte stavolta non gioca la sua briscola al meglio. Il primo limite del film è il protagonista. Daniel Auteil semplicemente non è credibile. Il bravo attore francese è troppo dolce e simpatico per riuscire a calarsi nella parte del protagonista. Non te lo vedi a trattare con distacco l'amante innamorata e la socia che vorrebbe essergli anche amica.
Il secondo limite è la sceneggiatura, a tratti stiracchiata nel primo tempo e poco incisiva nel secondo. La storia è intelligente, ma minuscola, non riesce a reggere la pur breve ora e mezzo di film e a tratti annoia. Terzo limite - abbastanza comune di questi tempi - è l'estremizzazione dei caratteri di alcuni personaggi. Soprattutto l'amico Bruno, tassista con la testa enciclopedica, nonostante la bravura di Dany Boon a volte esce dai binari e scade un po' nella farsa. Un giudizio severo, che deriva dall'aspettativa che Leconte ha saputo creare negli anni. Nonostante i difetti, il film è intelligente e spicca nell'orrida offerta tetteculi di Natale.
25.12.06 21:41 - sezione
cinema