O lo ami o lo odi, non c'è via di mezzo possibile. Nanni Moretti è un personaggio scomodo, spigoloso, refrattario ai compromessi, incapace di concedersi. Eppure capace - grazie a una sensibilità quasi patologica e a un'intelligenza luminosa - di leggere i dettagli della realtà invisibili ai più e mostrarli come pochi sanno fare. In questi giorni il regista offre al suo pubblico romano
l'opportunità [link a l'Unità - gratuito con obbligo di registrazione] di capire qualcosa di più della sua personalità e del suo lavoro. Al suo Nuovo Sacher si sta infatti proiettando una versione restaurata di
Ecce Bombo, seguita dalla lettura da parte dello stesso Moretti di alcune pagine scritte durante le riprese di Caro diario. L'occasione è ghiotta per il cinefilo, che è ammesso con la fantasia al backstage di un film di culto in fase di lavorazione, scoprendo problemi, difficoltà ansie e dubbi che tormentano l'autore, giorno per giorno. Ma è anche un'opportunità di comprensione per chi - avendo vissuto assieme a Nanni la stagione dei girotondi - si è trovato improvvisamente orfano di un leader che sembrava in grado di aggregare e coordinare energie e risorse come nessun altro, sparito nel nulla all'improvviso, senza dare spiegazioni.
Di Ecce Bombo c'è poco da dire che non sia già stato detto. La prima opera professionale di Moretti è un racconto feroce e minuzioso della post adolescenza di una generazione che oggi vive tra l'inizio della mezza età. Ribellioni familiari, autocoscienze, contraddizioni e tormenti affettivi sono i protagonisti di un collage di episodi funzionali alla smitizzazione di un'epoca troppo osannata negli anni successivi. Il re (ossia il '68) è nudo. A qualcuno che c'era questo può non piacere, ma è un dato di fatto che gli atteggiamenti di consapevolezza e socialità degli "anni formidabili" erano in gran parte solo una patina, sotto la quale si celavano miserie e debolezze del tutto analoghe a quelle di ogni epoca.
Dopo un centinaio di minuti di film - rigorosamente senza intervallo - compaiono un leggio, un microfono e un cerchio di luce bianca, lo scenario in cui Nanni Moretti si presenta, senza un sorriso né una parola di circostanza, per leggere il diario di bordo delle riprese del suo film forse più famoso. La scena è quasi surreale, perché contenuti anche intimi sono presentati in un distacco totale dal pubblico. Attacchi di panico, errori, morti di protagonisti e amici, traguardi non raggiunti, paure e dubbi scorrono pagina dopo pagina in un'atmosfera glaciale. Sul palcoscenico non sembra esserci Nanni Moretti, ma un ologramma, o un automa che legge restando in piedi, mani dietro la schiena, a gambe divaricate. Come non bastasse, l'automa accompagna la lettura dondolandosi sui talloni, con un atteggiamento quasi dittatoriale che esplode feroce quando uno spettatore prova a scattare una foto col telefonino. La lettura è oggettivamente interessantissima, ma agghiacciante per come è condotta e per come si conclude. Dopo le ultime parole Moretti esce dal cono di luce e sparisce, negandosi anche a un applauso commisurato alla sua affabilità (ovvero, praticamente nullo).
Che dire? Azzannando una fetta di pizza del provvidenziale botteghino di viale Aventino (a due passi da piazza Albania in direzione centro, aperto fino a tarda notte), si prova a ragionare sull'evento e sul duplice stato d'animo che lascia. Da un lato c'è la percezione del valore dell'opera di Nanni Moretti, della sua capacità di essere cronista minuzioso della realtà che lo circonda e delle umane difficoltà di chi la descrive. Dall'altro c'è quella di sentirsi non destinatari di un racconto, ma strumento con cui il regista afflitto da un complesso di superiorità che supera il livello di guardia mette a tacere le proprie insicurezze. Questa immagine di Moretti consente anche una spiegazione plausibile alla sua scomparsa dalla scena politica. L'urlo di piazza Navona e i girotondi, culminati nell'organizzazione dell'evento di piazza San Giovanni, avrebbero potuto evolversi solo con un suo coinvolgimento diretto nell'azione politica. Avrebbe voluto dire mettersi in gioco in prima persona, dialogare, discutere, mediare, tutte cose incompatibili con la misantropia e il desiderio di isolamento dell'unico regista italiano produttore di se stesso, proprietario di una sala in cui proietta i propri film a modo suo per lo spettatore che accetta un ruolo a lui subalterno.
E' chiaro a questo punto come Nanni Moretti possa dispiacere a destra e a sinistra (non è un caso se personaggi come Berlusconi e D'Alema sono accomunati - tra l'altro - anche da un insopprimibile astio nei suoi confronti). Ma è altrettanto chiaro che un regista capace di prestare la faccia alla esposizione di tante umane miserie nascoste da cui quasi tutti siamo ammalati merita comunque rispetto e attenzione. A maggior ragione la merita l'uomo che ha avuto il coraggio di salire sul palco da cui due leader sconfitti e decadenti spacciavano le solite fanfaluche, afferrare il microfono, additarli agli astanti e gridare quello che tanti pensavano, ma che nessuno aveva il coraggio di dire: "
con questi leader non vinceremo mai". Uno così, potrebbe anche darci dei fessi e farci pernacchie, ma resterebbe sempre e comunque degno di stima e rispetto. Quindi, nonostante tutto, grazie Nanni (anche per la
rinuncia alla direzione del festival di Torino).