Non bastano atti di carità e Stati di polizia
Alla fine dell'Ottocento nella Russia Zarista si verificavano sommosse popolari che percorrevano le strade dei quartieri ebraici durante le quali si incendiavano le case e si uccideva qualcuno. Poi più o meno tutto tornava come prima. Si chiamavano “pogrom”. Spesso avvenivano perché qualcuno accusava gli ebrei di furto, di malversazioni. In Europa sono avvenuti varie volte. L'ultima volta è accaduto a Kielce , in Polonia, era il luglio del 1946. In quel caso la causa fu che gran parte degli abitanti di quella città non voleva che quegli ebrei tornati dai campi e sopravvissuti al genocidio stessero nazista accanto a loro. In due giorni ne uccisero 40. Nessuno di loro era razzista convinto, in cuor loro erano tutti buoni cristiani.
E' esagerato dire che l'anima profonda di chi ha dato fuoco alla tendopoli di Opera, nella zona Sud di Milano il 21 dicembre scorso, e che di nuovo si è ripetuta tre giorni fa nella zona del Cimitero Maggiore, nella zona Nord-ovest di Milano, presenta sintonie con quelle scene che dall'Ottocento russo portano a Kielce? In ogni caso è importante riflettere e non farsi spaventare dalle parole: sulla questione della coabitazione con i Rom, più in generale con gli immigrati servono politiche. Per quanto encomiabili gli atti di carità non sono sufficienti.
Sta nascendo un nuovo sentimento, spalmato tanto a destra come a sinistra se è vero - come molti indicatori lasciano supporre - che gran parte delle persone che non hanno partecipato attivamente all'incendio a Opera, che hanno assistito e che in cuor loro non hanno avuto dubbi sull'opportunità di fare un'azione esemplare, o che comunque non la condannano (secondo il vecchio motto: “colpirne uno per educarne cento”), politicamente non si collocano a destra, votano a sinistra, talora anche all'estrema sinistra.
E' facile, in questi casi, parlare di razzismo. Tuttavia, la risposta non risiede nell'evocare questo termine pensando che questo sia sufficiente a dissolverlo o a farlo recedere. L'uso dispregiativo della categoria di razzismo, o il richiamo etico alla tolleranza - non sono più - ammesso che mai lo siano stati - deterrenti efficaci per far recedere chicchessia o dalle proprie azioni o indurlo al pentimento.
Secondo Marzio Barbagli (Immigrazione e reati in Italia, il Mulino), sociologo che da anni studia il fenomeno dell'emigrazione, l'innalzamento della percentuale del crimine è un dato legato ai processi migratori che hanno investito il nostro Paese. Questo fenomeno non è equamente diviso su tutto il territorio nazionale, né riguarda in maniera indiscriminata tutti gruppi di immigrati. Lo stupro, il furto, l'estorsione sono alcuni tipi di reato che sono cresciuti, ma hanno come protagonisti attivi gruppi distinti. E hanno anche destinatari distinti: gli italiani, ma anche più spesso altri immigrati. Per esempio i delitti più gravi, come gli omicidi e le violenze sessuali, avvengono prevalentemente tra immigrati all'interno del gruppo etnico di appartenenza o tra gruppi contigui, mentre i furti d'auto, in appartamento e in negozio sono consumati a danno della popolazione italiana.
Esiste un problema di ordine pubblico. E, allo stesso tempo, un problema di cultura politica. All'origine del razzismo non sta solo una convinzione di superiorità, spesso sta la costruzione di un nemico “astratto”. Trattare gli immigrati come persone l'esercizio della carità non basta. Per quanto di tutto rispetto, infatti, questo esercizio alla fine soddisfa più l'interiorità di chi lo compie anziché produrre una politica. In ogni caso, è efficace solo a fronte del vuoto di politiche, sociali, di controllo, di prevenzione e di intervento.
Che cosa significa pensare una politica? Implica obbligare l' “altro” (un insieme di individui concreti e distinti e non una massa informe), attraverso le sue forme di controllo, ovvero i suoi capi, i suoi vertici alla definizione di un rapporto che passa per politiche che lo responsabilizzano. Ovvero che sono il risultato di uno scambio. Chi viola il patto paga.
In definitiva, gli incendi sono la conseguenza di una mancanza di politica. Non c'è molto tempo davanti a noi. La notizia che a Opera il campo si ricostruisce e a Milano si intensificano i controlli ma i campi rimangono sono due notizie non negative. Ma ancora non sono una replica politica. Sono il suo rinvio. Il problema non è superato. Il malessere rimane ed è destinato a crescere se, appunto, le politiche di replica si limiteranno all'assistenza solidaristica o alla militarizzazione del territorio. Nessuna delle due assomiglia a una politica.
10.01.07 01:02 - sezione
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