Di riformismo girotondino e altre invenzioni
di Francesco Pardi
Ora che siamo tutti riformisti non si sa più che cos'è il riformismo. In realtà anche se lo sapessimo avremmo scarse possibilità di applicarlo. Per una ragione elementare: perché, prima di perdere, il centrodestra ha inventato una legge elettorale col preciso scopo di rendere ingovernabile il Senato. La legge ha funzionato così bene che oggi qualsiasi minimo progetto progressivo si scontra con la relativa impotenza del Parlamento. Che il centrodestra, dimentico del suo passato, vorrebbe perfezionare impedendo il voto ai senatori a vita.
Ma la legge elettorale è solo l'ultima «porcata» del centrodestra: è la degna conclusione di una legislatura dominata da un soggetto ineleggibile e segnata, in tutti i campi, dal perseguimento dell'interesse privato di pochissime persone a danno dell'interesse pubblico. La politica è stata inquinata, l'equilibrio tra i poteri costituzionali intaccato: la Repubblica esce da questi cinque anni deturpata da un virus di cui sembra incapace di liberarsi. Questa incapacità coinvolge tutti, e infatti perfino un esponente del mondo prodiano come Santagata arriva a dichiarare che non si può perdere tempo a sostituire le leggi sbagliate del centrodestra.
Così oggi nell'ambito delle forze di maggioranza dell'Unione sembra che il massimo del riformismo sia modificare il sistema pensionistico (attenzione: dei salariati, non dei manager che hanno affossato ferrovie e Alitalia), liberalizzare vasti settori economici, privatizzare molte funzioni pubbliche.
In Italia il riformismo economico trovava già un serio ostacolo nella tradizione del capitalismo nostrano, e anche oggi tende a essere applicato con tutte le riserve che derivano da un suo principio essenziale: socializzazione delle perdite e privatizzazione degli utili. E la concorrenza è sempre stata disciplinata da potenti patti di cartello: accordi di produttori e venditori a danno dei consumatori. Ma, come ha sempre scritto Sylos Labini, le distorsioni introdotte dalle leggi ad personam minano alla radice la credibilità stessa del capitalismo. Se è possibile fare falso in bilancio, gli azionisti saranno o complici o ingannati, la concorrenza apparente sarà viziata da monopoli occulti, l'economia legale sarà intrecciata, in modo invisibile, all'economia illegale. E se i falsificatori escono dai processi con il trucco di prescrizioni anticipate questa confusione diventerà abituale. Dunque è impossibile impostare un serio riformismo economico se non ci si libera dalle leggi sbagliate e se non si disegnano leggi essenziali come quelle sul conflitto d'interessi e sullo scioglimento del duopolio televisivo.
Queste necessità sembrano oggi dimenticate anche dai più autorevoli commentatori.
Nell'articolo su Repubblica in cui, per rinsaldare l'Unione, proponeva per Prodi i poteri del «dictator» romano, Scalfari indicava i temi principali del riformismo economico ma tralasciava del tutto l'abrogazione e la sostituzione delle leggi prodotte dall'anomalia italiana. Omissione curiosa ma non motivo di scandalo: ogni articolo ha il suo nucleo principale e non si può sempre dire tutto. Ma nell'articolo successivo, domenica scorsa, la critica alle scelte dell'economista e senatore Nicola Rossi ha spinto il fondatore del quotidiano a immaginare per lui e i suoi sodali un destino di «riformismo girotondino».
Qui la trovata espressiva, richiamata nello stesso titolo, è in grave contrasto con la logica delle cose. Rossi è esponente di punta di un riformismo solo economico e così moderato da proporsi come terreno d'incontro tra le opposte coalizioni. Il vero riformismo girotondino ha invece dato il primo segno della riscossa contro l'anomalia italiana e ha condotto tutte le sue battaglie contro le leggi da quella volute e contro le macerie istituzionali da quella lasciate. Ha fatto esprimere una vasta platea sociale, ha dato un suo intenso contributo alle successive vittorie elettorali del centrosinistra e più in particolare alla lotta per salvare la Costituzione. E la straordinaria vittoria referendaria costituisce al tempo stesso un grande successo del protagonismo civile e un punto di partenza per la realizzazione di un lavoro ancora incompiuto: liberare l'Italia dall'anomalia che l'ha inquinata nell'ultimo decennio.
Ma la classe dirigente dell'Unione sembra intenzionata a dimenticare la portata e il significato della vittoria referendaria. Se sul terreno dell'economia, nel contesto europeo, la libertà d'azione era di necessità limitata, a maggior ragione il governo dell'Unione aveva il dovere di confortare e consolidare il suo paziente e generoso elettorato con uno sforzo perentorio ricostruendo le basi della democrazia incrinate nella passata legislatura. Invece si profilano nuove possibilità di confusione. Forza Italia e An, che hanno voluto la legge elettorale e lucrato su di essa, hanno la faccia di bronzo di firmare per il referendum che la cambierebbe e vengono accettati come interlocutori insostituibili per la riscrittura di una nuova legge. E poiché i nuovi sistemi elettorali hanno possibili conseguenze sull'assetto costituzionale ritorna l'incubo di nuove intese tra le coalizioni per nuove modifiche costituzionali. Ma se l'anomalia italiana rischia di radicarsi in profondità nel tessuto istituzionale del paese, se la Costituzione appena salvata torna a diventare materia di contrattazione negli equilibri tra le parti politiche, non solo il riformismo girotondino ma una più larga opinione pubblica avrà ancora
molte battaglie da sostenere.
Caro Pancho Pardi Le domando: se le riforme le iniziassero a fare davvero ?
con tutto il rispetto per Lei e per Eugenio Scalfari.
dai Alberto, l'articolo è condivisibile... certo il tentativo di strappare quella parola al suo destino, ossia quello di diventare semplicemente una parolaccia, una bestemmia, è donchisciottesco. E sbagliato. Niente a che vedere, però, con la follia del "dictator" scalfariano. Quella sì che è la parte che fa accapponare la pelle... Da lì sì che emerge tutto il disprezzo che questi soloni hanno per "la ggente", una massa di ignoranti, di beceri, di pavidi, di caproni egoisti cui loro, "i dirigenti", devono dettare la linea. Perché loro, invece, sono lungimiranti, moderni, raffinati. Dimentichi, però, del fatto che senza quegli squallidi che gli comprano il giornale e che li votano non sarebbero nulla. E per tutto ringraziamento li vorrebbero ridurre al silenzio sotto la cappa di piombo addirittura di un dittatore. Che però, detto alla latina, fa molto più figo. E poi Repubblica accusa Chavez di essere un dittatore...
Forse sarebbe il caso di cominciare a fare un ragionamento di cultura politica, per capire, una volta per tutte, perché questa borghesia italiana "riformista" sia, da sempre, criptofascista. Sempre pronti a eccitarsi per l'uomo forte (ieri Craxi, poi la breve stagione di Baffo di ferro, senza voler andare troppo indietro),a inneggiare al "manganello democratico (do you remember Napoli? O la contrarietà assoluta dei "riformisti" a fare una commissione d'inchiesta - su cui pure si erano impegnati di fronte a noi - su quella che Amnesty ha definito "la più grave violazione dei diritti umani in Europa occidentale dalla fine della guerra").
Questa gente, questa piccola casta di figli di, di nipoti di, di amici di, invoca in continuazione la "modernizzazione del paese". Senza accorgersi (forse...) che l'unico elemento arcaico sono loro, è il loro potere oligarchico e familista.