Un centro di potere da smontare subito
«Più di una volta l’Aci è stata sul punto di essere commissariata. Ma non è accaduto mai. Non è accaduto con il governo di centrodestra, quando il controllo dell’Ente era sotto il ministero della Attività produttive, non è accaduto con quello di centrosinistra quando la delega è passata in mano alla vice presidenza del Consiglio dei Ministri (on. Francesco Rutelli). E questo nonostante le ripetute segnalazioni da parte dei sindacati, degli uffici vigilanti del governo, e nonostante la recente interrogazione di 35 deputati. Non sono bastati esposti, ammanchi, condanne». Chiunque abbia provato a pagare il bollo di un'auto può aver pensato che l'ACI vada abolito senza perdere. Ma gli uffici polverosi, gli impiegati spocchiosi e fannulloni, la burocrazia vessatoria sono solo una faccia - e neppure la più impresentabile - di un ente che dovrebbe rappresentare gli automobilisti, ma che in realtà, come molti "rappresentanti" in Italia, rappresenta solo se stesso (e - il va sans dire - i propri referenti politici). C'è una bella inchiesta di Roberto Rossi su l'Unità di oggi.
da l'Unità del 19 gennaio 2007
Aci, un rally tra buchi e conflitti di interesse
LO SPETTRO di operazioni finanziarie spericolate e di illegittimità amministrative accompagna l’Automobil Club d’Italia, l’antica associazione che rappresenta l’automobilismo italiano nel mondo e che raccoglie ancora oltre un milione di soci. Soprattutto gestisce immatricolazioni, tasse, patenti...
di Roberto Rossi
Operazioni finanziarie spericolate, ammanchi non giustificati, gestioni poco chiare, gare senza appalti. Benvenuti all’ACI, Automobil Club Italia, la federazione che rappresenta l’automobilismo italiano nel mondo, con 1 milione e 200mila soci, circa diecimila dipendenti, un presidente, Franco Lucchesi, condannato in sede penale e contabile, organi esecutivi illegittimi e ingolfati da conflitti di interessi, 30 milioni di perdite e molti agganci politici per un ente pubblico non economico diventato nel tempo un ingranaggio della pubblica amministrazione. Per conto dello Stato ACI svolge, infatti, varie funzioni di pubblica utilità. E anche grazie allo Stato, oltre che alle rendite patrimoniali, alle quote annuali dei soci, ai servizi offerti (come la gestione di parcheggi ed aree di sosta o i servizi assicurativi), che si finanzia. In che modo? Con il Pubblico registro automobilistico (il Pra), un istituto con il quale si registra e si certifica la proprietà dei veicoli, o con la riscossione e il controllo delle tasse automobilistiche in nove regioni e due province autonome, ma anche con la revisione delle patenti. Con i nostri soldi, insomma.
RALLY D’ITALIA
E con questi, ma non solo, l’ACI, che controlla diciotto società, organizza anche eventi sportivi. Come il Rally d’Italia, la manifestazione automobilistica più importante dopo il Gran Premio di Formula 1 di Monza. Per quello 2006 (svoltosi in Sardegna dal 18 al 21 maggio) sono stati spesi 2 milioni e 300 mila euro e cioè un milione e tre in più di quanto preventivato. Soldi, questi ultimi, che nessuno sa come siano stati spesi. Né la controllata ACI Sport, che opera sotto la direzione di Marco Rogano presidente dell’ACI di Ancona e che è stata incaricata di gestire la parte finanziaria, né il comitato organizzatore, presieduto da Angelo Sticchi Damiani presidente dell’ACI di Lecce che sulle spalle ha avuto la realizzazione della parte tecnica (tracciati, permessi, ecc), hanno fornito un consuntivo regolare, come ha denunciato tra l’altro il Collegio dei revisori dei conti dell’ACI il 6 novembre scorso. E due anni prima non era andata certo meglio. Nel 2004, come si evince dalla censura da parte della camera di conciliazione del Coni redatta il 12 dicembre dello stesso anno, Lucchesi sfilò all’AC di Sanremo l’organizzazione del Rally D’Italia e spostò la competizione in Sardegna. Chiamata a gestire la corsa (senza appalto) l’associazione sportiva Europe Team di Cagliari che mai prima aveva messo in piedi una competizione ad alto livello perché sprovvista di licenza sportiva di organizzatore. Spese oltre 3 milioni di euro quando l'anno precedente all’AC di Sanremo ne erano bastati 900mila. Soldi pubblici che l’ACI dovette sborsare per chiudere il buco.
CONFLITTO DI INTERESSI
Ma chi vigila e chi decide se ripianare le perdite delle società controllate come Aci Sport? Secondo lo statuto dovrebbe farlo il Comitato esecutivo (composto da 11 membri compreso il presidente Lucchesi) che ha potere sui preventivi e bilanci assieme al Consiglio generale. Ma su questi organi pende un gigantesco conflitto di interesse. Ad esempio, a rispondere dell’ammanco dell’ultimo Rally il Comitato esecutivo ha chiamato Sticchi Damiani, cioè il responsabile della parte tecnica del Rally. Un’assurdità. Perché Sticchi Damiani è anche un membro del Comitato stesso. Un controllore che controlla se stesso. Sembra paradossale ma all’ACI è una prassi comune. Molti dei presidenti dei Club provinciali hanno occupato nel 2006, a vario titolo, cariche all’interno delle società del gruppo ricoprendo, allo stesso tempo, ruoli nell’Assemblea, nel Consiglio generale e nel Comitato esecutivo. Con effetti facilmente intuibili. Due esempi per capire. AciGlobal spa, società strumentale (che dovrebbe cioè lavorare solo per ACI, ma che in realtà opera sul mercato tanto che solo il 18-20% del suo fatturato è riconducibile a servizi erogati all’Automobil Club), in sei anni (dal 1998 al 2004), ha depauperato 32 milioni di euro. Chi doveva rispondere di una gestione non felice era il presidente della società, tale Angelo Orlandi (ACI di Modena), il quale però sedeva anche nel Comitato esecutivo (oggi nel Consiglio generale). Se Orlandi era il responsabile delle perdite, Orlandi era anche colui che controllava. Stesso schema per Ventura spa, società nata da una costola di Parmatour, che nel giro di tre anni ha ricevuto da ACI la bellezza di 11 milioni per ripianare le perdite, facilitata anche dal fatto che il suo presidente Alfredo Grandi (ACI Milano) è stato (fino al 2006) anch’esso membro del Comitato.
CONTO ECONOMICO
Il vigilante che vigila su se stesso ha un costo. Che si ripercuote sul conto economico. Quello dell’ACI è molto elevato. Secondo quanto riferito dal gruppo al sindacato, il 17 novembre scorso, il 2006 si chiuderà con un passivo stimato di circa 8 milioni di euro. Al quale deve aggiungersi un maggiore onere per l’Ente costituito dall’obbligo di acquistare dalla controllata Sara Assicurazioni partecipazioni azionarie di Targasys per un importo di circa 21 milioni di euro. Il buco totale ammonta a 29 milioni di euro. Un’operazione se non spericolata quanto meno poco accorta quella di Targasys. ACI acquistò questa società di servizi nel 2002 da Fidis e cioè da Fiat. Fu valutata 74 milioni quando nello stesso anno il fatturato non superava i 64. Ma il giro d’affari presto scese rapidamente come si evince dai bilanci. Attualmente è intorno ai trenta milioni circa per una azienda che ACI non ha ancora finito di pagare visto che Fidis detiene un’altra opzione di vendita nei confronti dell’ACI per un altro 40%. Altri 17 milioni di euro che andranno ad assommarsi alle perdite stimate nel 2007 (6 milioni circa). Da coprire come? Secondo le comunicazioni date ai sindacati mediante l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione (che passerebbe da 62 a 12 milioni di euro). In pratica con ciò che l’Ente nella sua storia ha messo da parte a garanzia del proprio futuro e quello dei propri dipendenti.
CONDANNE E ILLEGITTIMITÀ
Lo spettro finanziario non è il solo che aleggia sull’ACI. Sull’Ente pende anche l’illegittimità dei suoi organi. Almeno secondo il Tar del Lazio che con la sentenza n. 10838/2006 ha ribadito che ACI, che come federazione sportiva ha l’obbligo di mutuare dal Coni il proprio ordinamento, deve «garantire negli organi direttivi nazionali la presenza, in misura non inferiore al 30% dei loro componenti, di atleti e tecnici sportivi». Cosa che l’ACI non garantisce nonostante una recente ma non esaustiva modifica dello statuto. Organi illegittimi ma anche un presidente condannato. Nel luglio 2005 la V sezione del Tribunale di Roma ha ritenuto Franco Lucchesi colpevole di reato di abuso d’ufficio per aver annullato nel 1998 una gara d’appalto a favore della Salerno Corse. Un appalto che finì, mediante trattativa privata, a una società, la Sponsor Service, che si rivelò inadempiente ma che ottenne dall’ACI 1 miliardo e 200milioni di lire dopo una transazione grottesca. Per quell’abuso Lucchesi prese 5 mesi di reclusione e altrettanti di interdizione dai pubblici uffici e una condanna da parte della Corte dei Conti sezione Lazio (sentenza n.2921/05) a rifondere l’ACI del danno erariale. Soldi che non sono mai stati restituiti visto che in base allo statuto spetta proprio al comitato esecutivo presieduto da Lucchesi ogni scelta in ordine alle azioni legale dell’ACI.
APPOGGI POLITICI
Più di una volta l’Aci è stata sul punto di essere commissariata. Ma non è accaduto mai. Non è accaduto con il governo di centrodestra, quando il controllo dell’Ente era sotto il ministero della Attività produttive, non è accaduto con quello di centrosinistra quando la delega è passata in mano alla vice presidenza del Consiglio dei Ministri (on. Francesco Rutelli). E questo nonostante le ripetute segnalazioni da parte dei sindacati, degli uffici vigilanti del governo, e nonostante la recente interrogazione di 35 deputati. Non sono bastati esposti, ammanchi, condanne. Forse perché ACI resta comunque un centro di potere, un bacino di utenza per un sistema di consensi. Sul quale finora nessuno è intervenuto.