Voce del verbo ricordare
Quando si impara una lingua neolatina, si comincia con l'indicativo presente, poi il passato prossimo, il futuro e l'imperfetto. Poi, quando c'è tempo, l'imperativo, il condizionale e, proprio per i più fortunati, il congiuntivo. Gli allievi adulti sono ben contenti di imparare i tempi del passato, hanno molte cose da raccontare. I giovani invece dovrebbero fare assai rapidamente il futuro e, perché no?, il condizionale che poi, conoscendo il futuro, è molto facile. Verso la fine dell'infanzia il futuro è il tempo più prezioso, quello che ci proietta con molte certezze in quell'avvenire che vogliamo conoscere. Invece gli adolescenti che si affacciano sul mondo adulto hanno un reale e urgente bisogno di conoscere il condizionale che permette loro di dire “mi piacerebbe, vorrei, farei, andrei, imparerei”; il modo che ci proietta in un mondo sconosciuto in cui vorremmo poter fare molte cose. Il condizionale è un modo dalle molteplici sfaccettature, un modo adulto che prende in considerazione anche gli ostacoli che potremmo incontrare.
Chi ha letto Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer capirà. All'inizio il piccolo Oskar, fingendosi sua madre, scrive una lettera al suo professore di francese per dirgli che non andrà più a lezione da lui. Per me, è uno dei momenti più belli del libro che è un capolavoro. “Desidero ringraziarla tantissimo per tutto quello che ha insegnato a Oskar, specialmente il modo condizionale, che è un modo assurdo”. Oskar ha nove anni e non ha bisogno del condizionale. Nei mesi successivi Oskar vive tante cose che lo fanno crescere, impara l'insicurezza, la paura, l'importanza delle bugie, i cambiamenti. Nelle ultime due pagine del libro Oskar parla solo al condizionale, perché ha capito che se una certa cosa non fosse accaduta lui avrebbe camminato, avrebbe potuto, sarebbe stato…e finisce con “E saremmo stati salvi”. Il condizionale, al passato e al presente, aiuta ad andare avanti in un mondo più complesso.
Di fronte allo scempio, l'attuale ministro vuole reintrodurre lo studio della grammatica a scuola; conoscere il codice con cui comunichiamo, pensiamo è una garanzia per avere dialoghi, confronti e idee migliori. Anche senza conoscere la definizione dei vari modi verbali si parla bene, certo, però la scuola assolve il suo ruolo se spiega il codice linguistico nei suoi principi fondamentali, non solamente nell'uso che se ne fa. E' un modo per analizzare le poesie, per capire un articolo di giornale, per imparare a camminare da soli. Per adattare il proprio linguaggio a tutte le situazioni ed entrare nel mondo adulto. Insegnare la grammatica a tutti è un gesto democratico.
Due settimane fa è morto l'ex deportato, reduce da un campo di concentramento, che per molti anni una volta l'anno, è venuto a incontrare i ragazzi della scuola. Chi l'ha conosciuto è fortunato, e per me è un ricordo prezioso: amava parlare con me in italiano, aveva imparato l'italiano nel campo e aveva incontrato Primo Levi.
Dirlo ai ragazzi non è stato facile: chi si è chiuso in un silenzio immobile, chi ha chiesto l'indirizzo di sua moglie per scriverle una lettera, chi ha iniziato a ripercorrere e a ricordare tutto quello che con lui abbiamo imparato. Volete scrivere una lettera tutti insieme? Vi aiuterò. Chi dice di sì subito, chi ci riflette. Ma c'è anche chi mi dice che è fuori discussione, che di fronte alla morte non si parla, che è giusto che la vedova resti in silenzio. E comunque non ne ha voglia, di scrivere. E qui mi sono sbagliata, mi sono irrigidita e arrabbiata, come non si dovrebbe mai fare. E' sempre la peggiore delle reazioni pretendere che gli altri reagiscano come noi crediamo sia ovvio, evidente. Non si può esigere il riconoscimento delle persone, anche se per noi è la cosa più naturale e doverosa del mondo. Ma a 17 anni, la morte fa paura, forse perché si è immortali a 17 anni, forse perché non si vuole mostrare la paura, la tristezza in classe. Non so. Fatto sta che ho abbandonato questo argomento e ho fatto lezione per dieci giorni senza ritornare sulla mia rabbia, sulla loro poca dimestichezza con il linguaggio (“non ho voglia di scrivere, che palle; e poi l'ho visto solo due ore un anno fa, mica si ricorda di me!”). E poi ho fatto leggere la poesia che apre Se questo è un uomo. Senza farne l'analisi, senza spiegarla perché il testo deve parlare da solo, ognuno deve viverlo a suo modo. Ho solamente chiesto ai ragazzi di analizzare i verbi. L'indicativo, poi l'imperativo che ci ordina di riflettere, il gerundio che è il modo del perdurare e che ci dice che dobbiamo pensare sempre a quello che è stato, senza dimenticarlo mai. E la poesia è chiara. Tutti l'hanno capita, da soli senza l'insegnante che pretende silenzio e detta la parafrasi. Ci si mette molto più tempo, è vero, e non si può fare con molti testi, ma di fronte a un bambino che vuole imparare a camminare è crudele pretendere che si affretti.